Il Rolex e la collana d’oro di quel riccone di Theodore

pianigiani

Canestri e canestri d’auguri, caro Paron. Sono ottantatre oggi. Pensavo ottantadue. “Non ti sa neanca più contar”, mi ha detto stamattina sogghignando sotto i baffi. La voce di Tonino Zorzi la riconoscerei tra altre mille nell’inferno di un palasport indemoniato. Forse perché non passa giorno che non ci sentiamo al telefono almeno una volta. Oggi parlando di Trento-Milano di ieri sera: “I gatti di Vicolo dei Miracoli, come te li ciami ti, i molto bravi e par che i gabbia davvero sette vite”. Però è dell’Armani che volevo soprattutto sapere. “Non è una squadra maschia”. E mi aveva già detto tutto. Trovandomi pienamente d’accordo. Ma ha voluto aggiungere un’altra perla ancora più gustosa alla sua collana di giudizi trancianti. “Come direbbe la moglie del povero Anton Luigi Lelli: “Ma i xè bei, tanto bei”. Troppo bei e tanto coioni, le rispondevo io quando perdevamo solo per colpa nostra e non tanto per merito degli avversari”. Elisa Lelli ha novant’anni. O anche più. Era la cara moglie del grande dirigente della Reyer di Giancarlo Ligabue agli inizi degli anni settanta e ben oltre. Era la Reyer del Paron e di Gorgetto, Carraro e Steve Hawes. “Ma i xè bei”. “Va ben, ma i gà perso da coioni, insistevo a dirle. E lei: Sì, ma i xè bei”. E abbiamo riso insieme. Belli da vedere come Mindaugas Kuzminskas e Arturas Gudaitis, però non si possono lasciar finire dieci rimbalzi nella mani di Toto Forray che sarà anche un gatto, ma è alto pur sempre una spanna meno di loro. Non sarà cappotto. Meglio così. Con questo caldo. Ma adesso vi voglio raccontare delle due uova che Maria Pia stamattina mi ha preparato alla coque e che aveva raccolto ancora calde dai contadini tra i meleti e i ciliegi che hanno preso quest’anno troppa acqua. Peccato. Maria Pia è la padrona di casa dell’agritur Le Giare che mi ospita in queste ore di playoff scudetto con una partita dietro l’altra come le ciliegie delle mie brame. Anche lei mi vizia. Come ha fatto Luisa a Milano ad inizio settimana. “Per domani a colazione ti preparo una torta di mele: ti va?”. E me lo chiedi? E chi se ne frega del diabete. Il mattino con l’oro in bocca. Come il Rolex Daytona che ieri durante il riscaldamento pre-partita aveva al polso Jordan Theodore che di nuovo non ha partecipato alla sfida tricolore. Sarò anche un ricco storico, come mi piace definirmi ringraziando mio padre, e sarò anche nato seduto sul burro, come dice un mio amico stronzo, ma non mi piacciono questi ricchi che ostentano i loro guadagni in pantaloncini corti e scarpe tennis, raccolgono i palloni sotto canestro e li smistano ai loro compagni con una collana pure d’oro che gli balzella sul petto. Theodore neanche in panchina, ma al fianco di Livio Proli e suo figlio in prima fila. Come Amath M’Baye che dice d’essere molto più forte di Kuzminskas, ma di questo non è ancora riuscito a convincere Simone Pianigiani (sconsolato nella foto). Che non so come abbia fatto a non perdere la calma e a non beccarsi un tecnico come Walter De Raffaele per tre volte in semifinale. Perché va bene tutto, e fa bene Trento a metterti le mani addosso se gli arbitri chiudono un occhio. E non sarà io certo a scandalizzarmi ricordando la Milano di Dan Peterson. Questo è il basket aggressivo dei playoff che, come dice Tonino Zorzi, non è sport per femminucce. Questa è la pallacanestro di Fred Buscaglia: mordi e non fuggi. E dei poveri e neanche belli. Chapeau. Però ho visto cose da bordo parquet che voi umani non potete neppure immaginare. Come Hogue e Gutierrez che si aggrappano da tergo a Kuzminskas e Goudelock e nessuno fischia. Ho visto Sutton dare una spallata a Tarczewski che ho temuto lo aprisse in due. Antisportivo? Manco per sogno. E allora aboliamolo, fatemi una cortesia. E comunque non vi sembra strano che l’Armani sia andata per la prima volta in lunetta a metà del terzo quarto? Se si può bastonare, ci si picchia. Da una parte e dall’altra. Indistintamente. O mi sbaglio? E invece Paternicò e Rossi, zittendo il buon Mazzoni, non hanno perdonato a Goudelock neanche i sospiri mentre ai gatti trentini sono stati permessi placcaggi che pure nel rugby non sarebbero passati lisci. Oggi non ho fatto il solito salto al mercato: era chiuso. Chi è andato ai monti e chi ai laghi. Che da queste parti sono un amore. Domani, dopo la torta di mele di Maria Pia, passerò invece di banco in banco e troverò di sicuro qualcosa di buono e fresco anche per Mamma Rosa. Intanto, sul far della sera, Trieste ha alla fine piegato (83-79) la generosa Casale. Ma siamo appena all’inizio e andrà, penso, molto per le lunghe. Anche se Tomassini è definitivamente out. Bowers in cattedra e arbitri anche qui allo sbando.