Siamo questi. No, non ditemi questo. Meglio dei tedeschi dovremmo essere comunque. Se non a palla avvelenata. Almeno nel gioco della palla nel cestino. Anche senza i chicchirichì del Gallo che per la verità non ha mai vinto nulla in vita sua: neanche al baraccone del tiro ai barattoli di latta. Cusin con la borsa del ghiaccio sulla tempia, Belinelli e Datome tristi in panchina come al funerale dei loro gatti siamesi: questa è la faccia dell’Italia che non fa già sperare nulla di buono a metà dell’ultimo quarto dopo una schiacciata del generosissimo Melli. Ma la Germania non è tanto meglio: solo avanti di due (45-47). Almeno Cinciarini ci ha messo il cuore, ma resta un carro armato. E Filloy si è inventato un paio di numeri da capogiro, ma gli altri? Un pianto infinito. Nessuno escluso. A parte Nicolò Melli sotto canestro con un ginocchio sfasciato. Zero virgola zero in attacco. Marco Belinelli è divino, ma può avere anche lui la giornata storta. Nella quale, come oggi a Tel Aviv, più sbaglia e più si ostina a sparacchiare senza senso. Anche dallo spogliatoio. Dove è rimasto Hackett, mai in partita. Come del resto Gigi Datome. E allora, se hai i tuoi principali terminali offensivi che hanno le polveri bagnate, puoi anche dannarti l’anima in difesa, ma è lo stesso improbabile che si riesca a cavare un ragno dal buco. E così purtroppo è stato negli strazianti ultimi cinque minuti azzurri di una sfida che definire di basket è una parola troppo grossa. Denis Schroeder, il numero 17 degli Atlanta Hawks coi quali giocherà assieme a Belinelli, ci ha fatti neri nel finale. Ma anche il lungo Voigtmann è andato a nozze con Biligha. Già, Paul Biligha: non voglio salire sul pulpito, dove non c’è più posto se non hai la maglietta di Sky addosso, ma cosa vi avevo raccontato ieri sul conto del neo acquisto della Reyer? Che è un grillo con le antenne belle dritte, ma non è ancora un fenomeno. Come lo vuol far passare Ciccioblack Tranquillo. Che ne ha rovinati tanti di giovanotti ai quali aveva predetto a occhi chiusi un futuro nella Nba e che poi invece non hanno trovato squadra neanche in EuroLega. Come Pietro il grande Aradori che ho visto sfiduciato e non è certo da lui rifiutare di saltare l’ostacolo quando gli si chiede a mani giunte un’allegra scorribanda delle sue per scuotere il gruppo sfiduciato e depresso. Sette su ventinove da tre punti e appena il 31 per cento dal campo: con percentuali del genere al tiro non vai da nessuna parte. E difatti senza le bombe di Filloy non avremmo perso d’appena sei incollature: 55-61, un punteggio da donnicciole, ma almeno d’una dozzina di punti. E senza fiatare. Non mi permetterò mai comunque di mettere al muro Ettore Messina e di sparargli come fecero tutti i sacerdoti del tempio petrucciano con Simone Pianigiani tre secondi dopo la sconfitta ai supplementari della sua nazionale con la Lituania nei campionati europei di due anni fa a Lille. Ma nemmeno posso pensarla come Massimo Oriani che sostiene che non si può mettere in discussione il cittì di Catania per nessuna ragione al mondo. Ritengo invece che il mio compaesano (acquisito) abbia anche lui commesso più di qualche errore anche in questa avventura azzurra. Indipendentemente dal fatto che l’Italia vinca o perda domani con la Georgia e abbia ugualmente conquistato gli ottavi di finale di Istanbul come terza o quarta del girone infernale. Nelle scelte per esempio: sono sicuro infatti che gli avrebbero fatto molto più comodo Cervi di Baldi Rossi e Della Valle di Cinciarini. Ma evidentemente non gli piacciono i reggiani. Al contrario del sottoscritto. E comunque non allena una nazionale di marziani. Però ci sarà pur un modo da attaccare il nemico, si chiami Germania o Vattelapesca, diverso dal tiro da tre punti e alternativo alle bombe a raffica del Divino o di Capitan Coraggio. Quanto a Ariel Filloy, adesso magari avrete finalmente capito perché Venezia ha vinto lo scudetto con un jolly del genere nel mazzo e perché Avellino, per portarglielo via, gli ha offerto un contratto folle. Sempre che Nicola Alberani mi confermi le cifre dell’ingaggio dell’italo-argentino che ho sentito fare in giro.