Cani e porci: non appartengo a nessuna delle due razze

castradinaAlzi un dito chi nel Belpaese della palla a spicchi non ha ancora vinto il Premio Reverberi per la stampa? Solo io al mondo. E per questo sono caduto in un stato di depressione così spaventoso che la Tigre preoccupata mi ha legato mani e piedi al letto: di modo che non potrò saltare giù dalla finestra e potrò invece mangiare la minestra che mi ha preparato con tanto amore. Saprò comunque farmene una ragione. O, meglio ancora, un punto d’orgoglio. Però dovrei anche cominciare a chiedermi il perché di così tanto accanimento nei miei confronti da parte di una commissione di illuminati colleghi di Reggio Emilia che ogni anno, dall’inizio di questo millennio, si riuniscono a Montecavolo, e non scherzo, frazione del comune di Quattro Castella, attorno a un tavolo per mangiare e bere. E, visto che ci sono, per premiare cani e porci, non proprio tutti, tra gli allenatori, i giocatori, le giocatrici e i massimi dirigenti di pallacanestro. Oltre che, ovviamente, il miglior arbitro e il miglior giornalista del momento. E mi rispondo subito: perché sono il più grande dei rompicoglioni che esistono sulla terra. Più pennivendolo in verità che barbone. Visto che qualcuno potrebbe magari anche pensare che vado elemosinando questo prestigioso Reverberi senza il quale mi è proprio passata la voglia di vivere. Voi credete ancora che scherzi, ma vi giuro che per riprendermi dalla depressione la Tigre è stata due giorni sui fornelli e alla fine mi ha servito la più buona castradina che si possa mangiare a Venezia nel giorno della Madonna della Salute. La castradina? Capisco che chi non è nato nella mia Repubblica possa anche non sapere di cosa stia parlando. Questa minestra in brodo di verze sofegae e castrato di montone appartiene infatti soltanto alla tradizione della cucina della Serenissima. Che dal 1630 festeggia la fine della peste a Venezia con questo piatto che mia nonna ha insegnato a cucinare a mia mamma e a sua volta mia mamma, buonanima, a mia moglie. La coscia di montone salato, affumicato e essiccato arriva dalla Dalmazia. Ma per favore non arricciate il naso. Vi garantisco che è una carne deliziosa che, se preparata con infinita pazienza, si taglia con un grissino e si scioglie in bocca. Precisato che la Madonna della Salute cade ogni 21 di novembre e che ho divorato tre piatti di castradina della Tigre, sono tornato in piena forma, ho preso la Freccia rossa e sono volato a Torino. Ieri la partita della Juve con il Barcellona in Champions, non una gran cosa, e domani l’esordio della nazionale di MaraMeo Sacchetti con la Romania, spero meglio. Però per guarire del tutto mi hanno insegnato che bisogna sputare il rospo e quindi oggi non mi allontano dal Reverberi. Che è stato vinto per il giornalismo da Tacchini, Montorro, Fuochi, Tranquillo, Bezzecchi, Pedrazzi, Guerrini, Limardi, De Cleva, Barocci, Bogarelli, Pancrazi, Costa, Civolani, Ellisse e quest’anno da Dembiski che finalmente ho imparato come si scrive grazie al copio e incollo. Domanda: dov’è l’errore? Ce n’è più d’uno. Risposta esatta. Ma il bello ha ancora da venire. “Non dirmi che non hai mai vinto il Reverberi?” si è meravigliato uno dei reggiani della tavolata del (Monte)cavolo lo scorso settembre di ritorno da una battuta di golf. “Sono stati premiati cani e porci”. E’ quel che ho sempre sostenuto io. Come è strano che nell’elenco dei Nobel per il basket non ci sia nessun giornalista di Mamma Rosa. “Però questa volta ci penso io”. Lascia perdere. Che mi vien già da ridere. Perderesti solo tempo e fiato. E neanche ti ascolterebbero. “No, no: quest’anno ci penso io”. Ve la faccio breve. Lunedì, durante la riunione degli illustri colleghi di Reggio Emilia, presieduta credo da tal Sidoli, c’è stato uno di loro che ha avuto il coraggio di buttar là il mio nome mentre infuriava la disputa tra quelli di Edi Dembinsky e ET Fanelli. Ebbene l’amico che avrebbe dovuto battersi per me a spada tratta, alzando se ne necessario anche la voce, si è girato dall’altra parte e ha partecipato pure lui al minuto di un agghiacciante silenzio di tomba. Che altro dire? Senza parole.