Sciopero al Ghiro: Mamma Rosa è molto ricca e cattiva

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Non vi arrabbiate, spero, se torno a parlare di ciclismo. E non per raccontarvi chi ha vinto la seconda tappa del Ghiro d’Italia che io chiamo così perché, almeno nella prima settimana, è di una noia terrificante e spesso persino mortale. Salvo che non salti fuori qualcuno che per pedalare in pianura, o magari anche solo per rimanere nel gruppo, non si spari in vena qualcosa che gli fa sul serio male. E allora mi diverto a vedere quelli che mi accusano da anni di dare la caccia alle streghe quali retromarce e capriole devono ogni volta fare per difendere il resto dei dopati cronici da quella mela bacata che si è fatta ingenuamente beccare con le dita nella marmellata. Dovete credermi: non lo so davvero chi si è imposto ieri sul traguardo di Nijmegen, a 190 chilometri da Arnhelm, dopo quattro cinque ore di veloce pedalata nel vento tra i (suoi) mulini. E neanche, se posso dire, non è che me ne freghi più di tanto saperlo. So piuttosto per certo che i girino un giorno o l’altro, saltando domani perché è previsto il trasferimento – spero in aereo – dai Paesi Bassi a Catanzaro, anche scenderanno dalla bici e a braccia conserte sciopereranno. Si lamentano infatti, e ovviamente sto dalla loro parte, di fare una vita d’inferno. E non ce l’hanno tanto con gli animatori della corsa della Gazzetta che magari ti prendono per i fondelli come ha confessato sabato lo stesso Vincenzo Nibali, al quale pure hanno confezionato un Giro su misura che gli sta meglio d’un abito griffato Armani che oltre tutto costa l’occhio della testa. “Mamma Rosa ci aveva promesso, se avessimo fatto i bravi, di portarci tutti martedì al mare. Peccato che a dieci chilometri dall’arrivo, sulla spiaggia di Praia a Mare, ci facciano arrampicare su per il Fortino che è uno strappo con una pendenza media del 18 per cento”. Ma non è tanto questo, dicevo, il motivo per il quale prima della tappa che farà tappa il 19 di maggio a Bibione, e non a Jesolo, come ha scritto la Nuova Venezia, l’inserto di Repubblica, i corridori si asterranno dal pedalare. Quanto quello dei controlli ai quali ogni mattina sono sottoposti quei poveracci. Non bastava infatti l’antidoping di routine alle otto e mezza dopo un paio d’ore di rulli, e quello a sorpresa tra una fetta biscottata e un’altra, un biberon e un caffè doppio in tazza grande, preavvisato comunque almeno con un paio di giorni d’anticipo. Altrimenti non vale. Adesso si devono anche mettere in fila indiana prima della partenza e pazientemente aspettare, con le belle bici di riserva in spalla, il loro turno davanti agli ispettori che verificano con un iPad (che genera un campo magnetico) se hanno per caso anche qualche motorino a bordo. Insomma non ne possono proprio più, Pozzovivo e compagni, di una coda quotidiana che non finisce mai e che, al confronto, quella per i prelievi di sangue all’Azienda sanitaria locale (Asl) fa ridere i polli. Però se sono tornato oggi a riscrivere di ciclismo, e magari ho fatto arrabbiare qualcuno, è perché ieri non mi ero accorto che anche Maurizio Crosetti, bella penna viperina di Repubblica, era al seguito del Giro d’Italia e ha subito scritto quello che mi ero chiesto venerdì scorso. Ovvero: quanti soldi intasca la Gazzetta dalla corsa in rosa che ha un montepremi annunciato d’appena un milione e trecentosessantaseimila euro che si devono dividere (non in parti eguali) centonovantotto poveri cristi? Dal lucano Pozzovivo col numero 1 e all’albanese Zhupa con il 219. Leggo insieme a voi: “Il Giro d’Italia è bizzarramente partito dall’Olanda per due milioni e duecentomila buonissimi motivi, tanti sono gli euro che la regione del Gelderland ha versato (alla Rcs) per averla tre giorni qui: lo sport va dove ci sono i soldi”. E io cosa vi avevo detto? E quindi querelate pure Repubblica e il suo inserto prima del sottoscritto. O mi sbaglio?