Dustin Daye come i fuochi d’artificio la notte del Redentore

daYe

A Zigo Zago c’era un mago con la faccia blu, ma non ho dovuto disturbarlo per sapere come sarebbe andata a finire. Era infatti sin troppo facile prevedere che alla prima pesante sconfitta Pozzecco avrebbe sbroccato, come si dice a Trastevere, e avrebbe sbracato, come si dice dalle mie parti di uno che si toglie improvvisamente i pantaloni e si lascia andare. E così è stato al termine della quinta partita-scudetto. Nello spogliatoio del Taliercio. Meraviglioso Poz. Mi avevano giurato che eri cambiato e di questo avevi convinto tutti. Non certo il sottoscritto che ti chiamò la Formica Atomica la prima volta che ti vide giocare a Varese a metà degli anni 90. Così piccolo e così esplosivo. Poi Laurito in diretta su Raidue ti storpiò il nome in Mosca Atomica che non vuol proprio dire niente, ma nella vita ho imparato che bisogna aver pazienza e per questo non mi sono nemmeno arrabbiato. Anche se ci tengo maledettamente all’imprimatur dei miei nomignoli d’oro: il Paron, Acciughino, il Messi(n)a, Ciccioblack, Dindondan, So-na-lagna, San Bernardi, MaraMeo, Max Chef, Sacripantibus, Paperoga, C10H16O, Citofonare Lamonica e qui mi fermo altrimenti faccio notte e qualcos’altro da raccontarvi anche ce l’avrei oltre a queste benedette finali dei playoff che vorrei non finissero mai. Ora che sono diventate tanto calienti dopo che all’inizio erano invece tutte rose e fiori: ma quanto sei bravo, no ti sbagli, sei molto più bravo tu. E sbadigliavo come un ippopotamo. Per esempio vorrei raccontarvi dello Zio Fester (Marco Aloi) e della sua ombra (Francesco Riccò) che potrebbero benissimo girare insieme una nuova serie del famoso Carosello che sponsorizzava il caffè Hag. O della conferenza che Ettore Messi(n)a ha tenuto nel primo pomeriggio in una palestra secondaria del Forum alla quale non sono stato fortunatamente invitato come del resto Livi(d)o Proli e Piangina Pianigiani. Dove si son dette – mi hanno detto – le solite cose trite e ritrite che si dicono in queste occasioni. Tranne la verità. Volete mettere invece quanto ci si è divertiti ieri sera con il Poz. Ha sbattuto i pugni sul tavolo e sono volate parole grosse. “Quelli che piangono devono andare a fare in culo” ha urlato perché lo sentissero sino a Rialto e soprattutto nello spogliatoio della Reyer dove c’era anche il sindaco di Venezia. “Sempre a piangere e a lamentarsi. In Italia abbiamo una cultura sportiva che fa schifo”. Ma va? L’ha sempre giustamente sostenuto anche l’ex cittì prima d’andarsene a Mosca tappando le orecchie al piccolo figlio perché non sentisse le parolacce e gli insulti contro di lui della gente becera che nel frattempo è cambiata in peggio. E ora sputa, più dei lama, sugli allenatori come è successo a Max Menetti due sere fa a Capo d’Orlando. Eppure nel BelPaese tutti prima o poi ritornano (a lavorare): il fiero Ettore dal Texas, l’eterno ragazzo da Formentera, il buon Daniele Baiesi da Monaco di Baviera dopo che a settembre, nella Convention milanese della Banda Osiris, aveva usato il lanciafiamme contro l’Armani e tutta la pallacanestro italiana. “Io non piango e non mi lamento”. Quando mai? E neanche si toglie infuriato la giacca, si strappa la camicia e dalla panchina entra sbraitando sino a metà campo. Peccato che l’abbia fatto dal primo all’ultimo minuto di gara 5 protestando con gli arbitri che evidentemente hanno avuto ordini dall’alto di lasciarlo piangere e lamentarsi finché vuole. Altrimenti avrebbero dovuto cacciare Pozzecco dal parquet già dopo un quarto d’ora. Come Napoleone Brugnaro li ha sovente sollecitati a fare alzandosi dalla seggiola in prima fila del parterre fucsia e sbracciandosi come un vigile urbano che dirige il traffico. Se posso dire la mia, lo show del Braccobaldo triestino è stato stavolta più esagerato del solito. E tutto perché al 2’ del secondo periodo si è infortunato Stefano Gentile in uno scontro doloroso con Mitchell Watt che ho rivisto su Eurosport e vi posso garantire del tutto involontario (coscia contro ginocchio) e non falloso come il colpo alla testa che domenica a Sassari ha preso Julyan Stone da Jack Cooley.  La Dinamo era già alle corde (26-17) e solo un favoloso Rashawn Thomas l’aveva tenuta in piedi. Il resto lo sapete: lo showman, più del Poz, è stato Austin Daye (nella foto) che ha firmato un altro Apocalypse Day, spettacolo nello spettacolo con i fuochi d’artificio nel gran finale che pareva d’essere a San Marco nella notte della Festa del Redentore. Domani sera mi sarebbe piaciuto per la verità andare a Sassari, ma i sardi mi hanno tolto il passaporto e di farmela clandestinamente in gommone dal continente o dalla Corsica non me la sono proprio sentita. Peccato. Mi vedrò il primo match ball di Venezia nella mia stanzetta con vista sullo scudetto. Dalla quale senza muovermi ho saputo che Gigi Datome ha rinnovato il suo  contratto con il Fenerbahce per altre due stagioni mentre al Forum si andava dicendo che sarebbe arrivato a Milano. Sì, magari insieme a Nicolò Melli e a Milos Teodosic che non può vedere il Messi(n)a neanche dipinto dopo averlo mal digerito ai tempi del Cska. Ma quante se ne inventa ogni giorno Mamma Rosa?