Non sparate sul Gallo: il nostro basket è ancora vivo…

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Scusatemi ma proprio non vi capisco. L’Italia del basket mette sotto anche la Nigeria, vola nei quarti del torneo olimpico dove affronterà Francia o Stati Uniti o la vincente di Spagna-Slovenia, è stato sinora tutto bellissimo e voi che fate? Ve la prendete col povero Gallinari, inconsistente e fiacco, invece di pensare che a Tokyo non dovevamo nemmeno esserci se Fontecchio, Polonara, Mannion e Tonut, e aggiungeteci pure Pajola, non avessero giocato un grande match a Belgrado e non avessero inaspettatamente buttato fuori dai Giochi la Serbia der Monnezza (Milos Teodosic). Senza Belinelli e senza Datome che hanno anticipato le loro vacanze al mare. Il che è stata a posteriori, fidatevi, paradossalmente un’enorme fortuna dal momento che non hanno così tolto spazio a Stefano Tonut e Simone Fontecchio che hanno invece bisogno di giocare parecchi minuti in totale fiducia. Altrimenti si deprimono e rendono poco o nulla. Soprattutto la piccola Italia ha vinto senza il Gallo impegnato con Atlanta nelle finali dell’Est perse con Milwaukee. Nelle quali il figlio di Vittorio ha più che altro scaldato la panchina e comunque anche sul parquet ha sempre recitato un ruolo da attore non protagonista. Checché ne dica Ciccioblack Tranquillo che da anni vi racconta su di lui un sacco di balle che vi riempiono la zucca di lustrini, coriandoli e stelle filanti. Con i nigeriani di Mike Brown, assistente ai Golden State Warriors di Steph Curry e Nico Mannion, un coach buono da niente, una ciofeca come Igor Kokoskov, il cittì dei serbi rispedito di corsa a dar danni in America, non è stato comunque semplice vincere e non perché otto di loro giocano nella Nba come vi hanno sempre scioccamente insegnato a valutare, ma solo perché gli africani erano molto più alti e grossi di noi, però non di sicuro più bravi o meglio istruiti. Abbiamo inoltre difeso male almeno sino a quando non ci è arrivata l’acqua alla gola (56-63) permettendo a Jordan Nwora (20 punti) e Chimezie Metu (22) di farci un mazzo grande come una casa. Sul fatto poi che nell’ultimo periodo abbiamo ripreso in mano una partita che all’inizio ci era sembrata addirittura una passeggiata di salute (al 7’ 27-12) sistemando le cose in difesa ma anche riaggiustando la mira in attacco, non serve che adesso mi sbattiate sotto al naso l’immagine di un Danilo Gallinari mortificato, e forse anche leggermente infortunato, che non era in campo né nel pronti-via pirotecnico del più 15, né nell’entusiasmante rimonta finale. Quando Nicolò Melli, Mannion e Tonut nell’ordine sono stati i migliori, ma pure Polonara, Fontecchio, Vitali, Pajola e Pippo Ricci  hanno fatto la loro parte da leoni. Ancora ci vedo bene, soprattutto da lontano, ed infatti cosa avevo scritto senza darmi troppe arie dopo il successo nell’esordio olimpico con la Germania? Che Polonara e Gallinari si erano pestati i piedi e che quindi la presenza di uno sul parquet escludeva quella dell’altro. Ma mentre io la mia scelta in favore del due metri e zero tre d’Ancona che Sasha Djordjevic avrà il piacere d’allenare dal prossimo settembre al Fenerbahce l’ho già fatta da tempo, capisco anche che per MaraMeo non sia stato semplice preferire Polonara a Gallinari. Così come a molti di voi credo che sia andato di traverso vedere che un buon giocatore d’EuroLega abbia fatto le scarpe ad una stell(in)a della Nba nonché cocco di Ciccioblack e della Banda Osiris. Ma qui a sbagliare siete voi soprattutto se puntate adesso il dito contro il povero Gallo perché con la Nigeria è stato un vero fiasco e Azzurra si è benissimo arrangiata lo stesso anche senza di lui. Com’era già successo a Belgrado snobbata da Belinelli e da Datome e con capitan Melli ancora giù di corda e vittima dei due anni trascorsi e persi negli States dove ha giocato poco e si è allenato ancora meno. Tanto più che non è detto che l’avventura della nazionale finisca qui ad un passo dal sogno e dal paradiso delle medaglie. Certo, non saprei quale squadra augurarle d’affrontare nei quarti di finale tra Dream Team, Francia, Spagna o Luka Doncic. Forse proprio la Slovenia dal momento che alla palla nel cestino in Europa si gioca sempre in cinque contro cinque, si difende tutti insieme e non s’attacca da soli alla baionetta come pure il 22enne fuoriclasse di Lubiana è avvezzo fare con la maglia dei Dallas Mavericks. E allora lasciatemi quanto meno sperare che il Gallo possa tornare nuovamente utile a Sacchetti per la prossima partita fosse anche l’ultima. Se invece non avete ancora capito che il basket della Nba è diventato il gioco della playstation che ha stufato persino gli americani e gli sbarbati che lo seguivano su Sky, non mi sembra questo il momento di provare a convincervi che quello che si gioca dalle nostre parti è la vera pallacanestro. Con tecnici che allenano anche due volte al giorno e non come all’Armani di Ettore Messi(n)a un’oretta e mezza prima di pranzo per avere poi tutto il pomeriggio libero per fare acquisti in via Monte Napoleone. Né voglio essere proprio io il difensore d’ufficio del Gallo dalle uova d’oro quando sono stato in verità il primo e forse l’unico nel Bel Paese a non applaudire le sue prime scelte. Quando cioè volò a New York da Mike D’Antoni sposando la Nba e solo i soldi che questa le avrebbe dato a palate. Anche a costo di sacrificare il talento che il ragazzo di Sant’Angelo Lodigiano senz’altro aveva da vendere a vent’anni, giocava nella Milano di Artiglio Caja e l’ha invece in buona parte purtroppo, e troppo presto, gettato alle ortiche. Un perdente di successo, un peccato mortale.