Messina, santo e martire, al rogo come Giovanna d’Arco

giovanna darco

Telegraficamente senza fili. Se ne sono capace. Ne dubito, ma almeno ci provo. Ho passato una settimana oltre modo difficile tra il Giustinianeo, il vecchio (caro) ospedale di Padova, dove martedì mi hanno beccato anche i valori della glicemia un po’ alti, maledetti dolci che sono l’unica cosa che ancora mangio di gusto, oltre agli scampi crudi e ai gamberetti olio e limone, e la mia camera da letto, non più grande della prigione di Silvio Pellico, dove ho sfasciato il televisore nuovo di zecca al quarto gol che si è divorato a porta vuota Moise Kean contro il Genoa. Per favore, toglietemi subito di torno quella sola e, già che ci siete, spedite a casa pure Pavel Nedved che nella Juve non capisco cosa ancora ci faccia. A parte giocare a golf con Andrea Agnelli sui fairway ed i green del Royal Park i Roveri. E comunque al posto di Max Allegri sarei entrato in campo a prendere a calci sul sedere Kean e, già che c’ero, pure Re Arthur che per me non è nato a Goiana, in Brasile, come racconta, ma a Rugby, nella contea inglese del Warwickshire, dove è rigorosamente vietato passare avanti la palla. Men che meno con le mani, altrimenti sarebbe un gioco da villani. Ho poi ammaccato e strisciato il paraurti destro parcheggiando (male) l’auto in cortile contro la 500 di mio nipote Giovanni e così ho perso tutto mercoledì tra assicurazioni, polizze, periti e carrozzieri ed ero troppo stanco a fine giornata per andare anche ad applaudire al Palaverde il generosissimo Erode Messi(n)a e la sua squadra di milionari che al tramonto del sole ha regalato alla Nutribullet una vittoria che per la verità neanche è servita a Treviso per salvarsi. E comunque stasera al Taliercio ci vado in bicicletta a vedere la Reyer contro l’Armani ricordandomi di portarmi dietro la mascherina e pure i fazzolettini di carta per Walter De Raffaele che non ha gradito che lo chiamassi ironicamente Bobby Solo cantando Una lacrima sul viso. Mi spiace, ma è più forte di me: posso infatti rinunciare alle caramelle alla menta e al gelato di crema, ma mai e poi mai ai soprannomi del basket. Che sono il mio pane. Da Gas Gas Trinchieri a Gesù Cripto Eleni. Da Ciccioblack Tranquillo a Merendino Ramondino.

Ancora non bastasse, mi sono anche girate terribilmente le scatole di pagare giovedì 55 euro, lo giuro, per cinque scampi di numero, che non venivano nemmeno dal ricco mercato di Ancona, in un ristorante di pesce a Zianigo che, se non sapete dove si trovi, non vi perdete assolutamente nulla. Anzi, è una fortuna mica da poco. Così come non vedere in tivù il Ghiro d’Italia che è partito venerdì da Budapest. E perché non da Kiev visto che c’era? Domandatelo ad Urbano Cairo che deve essere amico di Viktor Orban, il primo ministro d’Ungheria che è la marionetta di Putin e culo e camicia con Salvini. Una vergogna mondiale. E comunque seguire quest’anno la corsa in rosa fa molto male al fegato se sei nato per sbaglio nel BelPaese di Coppi e Bartali o di Gimondi e Motta, ma anche di Imerio Massignan e di Vito Taccone o di Beppe Saronni e Francesco Moser. Il quale non ricordo a quale giornale, ma non di certo alla Gazzetta, ha dichiarato: “E’ un Giro con tante salite e poche cronometro”. Difatti Filippo Ganna se ne è rimasto a casa. Tra le alture del Verbano. E ha fatto bene. “Ma i nostri corridori dove sono finiti? Sono tutti spariti. Povero ciclismo italiano che è diventato davvero un disastro”. Come l’Alice, di cognome Tim, che sabato mi ha lasciato a piedi. Peggio di Dazn. Per non parlare di Sky. Che oggi ha proposto in diretta nientepopodimeno che Juventus Under 23-Renate, libidinosa partita d’andata dei quarti di finale dei playoff di serie C, mentre di lì a poco il Milan di Stefano Pioli si sarebbe giocato nella fatal Verona, infausta a Nereo Rocco e Righetto Sacchi, una grossa fetta di uno scudetto che strameriterebbe di soffiare all’Inter. E io pago! Ma non più dall’inizio (13 agosto) della prossima serie A. Quando dopo oltre vent’anni non rinnoverò l’abbonamento a Sky.

Ma perché vi racconto tutte queste cose delle quali magari, togliete anche il magari, non ve ne importa un fico secco? Perché avevo promesso agli aficionados della palla nel cestino che avrei scritto la seconda puntata di Scheletri nell’armadio dopo che la prima ha avuto un enorme successo sul mio blog libero e bello che, non dimenticatevelo, si chiama Mors tua vita Pea e ha festeggiato a San Marco (25 aprile) il suo ottavo compleanno senza l’aiutino d’alcun sponsor. Che aborro. Come direbbe Giampiero Mughini. Il quale ha fatto benissimo a prendere per il collo Littorio Sgarbi che oggi compie 70 anni e che si sarebbe anche meritato un bel pugno diritto alla mascella o al mento. Ebbene mi dispiace parecchio, e me ne scuso, ma stavolta proprio non ce la faccio ad essere di parola. Dal momento che avevo deciso di spalancare l’armadio a sei ante di Ettore Messi(n)a da Catania, ma non me la sono alla fin fine sentita temendo non tanto d’essere travolto da una montagna scheletri e di farmi un sacco male, quanto di passare per quello che spara alla croce rossa e questo non è da me specie in questi giorni di vigliacchi bombardamenti all’Ucraina dove sono già rimasti uccisi oltre duecentotrenta bambini. L’ultimo dei quali un giovane volontario di quindici anni mentre stava dando da mangiare agli animali dello zoo dell’Ecoparco di Lisna. Ad aprire l’armadio di Messi(n)a mi sarebbe stato oltre tutto d’aiuto l’amico Nico che ha due braccia più dure del marmo di Carrara e in più mi sarei munito di scudo e di corazza in acciaio inox, ma non me la sono assolutamente sentita di scoprire tutti gli altarini di un pover’uomo che, dopo la peraltro vergognosa – ammettiamolo pure – eliminazione dall’Eurolega addirittura ai playoff, è stato vittima da almeno un paio di settimane di violentissimi e ingiustificati attacchi da parte di tutta la stampa specializzata milanese e in particolare da Daniele Dallera, gran capo dello sport al Curierun, e Paolo Bartezzaghi, responsabile della rubrica basket e parole crociate presso Mamma Rosa. Oltre che dall’Orso Eleni che senza pietà ha sparato uno zero tondo tondo in pagella all’Armani che in fondo è una squadretta costruita al risparmio con pochi euro e al massimo con un paio di stranieri trovati per strada mentre cercavano disperatamente un lavoro anche da lavapiatti.

Dovendosi accontentare di prendere Alviti e Baldasso, che non glieli avrebbe ordinati nemmeno il dottore, o Trey Kell solo per far contenta Varese e Toto Bulgheroni. E così bruciando a Capodanno l’ultimo visto internazionale a disposizione. Povero Ettore. Per non apparire uno spendaccione agli occhi del padrone, che pare abbia più granchi in tasca di Danilo Gallinari, si è sacrificato quasi gratuitamente a fare contemporaneamente due mestieri: l’allenatore e il presidente. Finendo per fallire in entrambi, ma va capito e perdonato. E invece no: l’hanno massacrato. Senza concedergli il minimo alibi. Neanche quello del doping e di una squadra ridotta all’osso con appena venti giocatori a disposizione. Sbattendolo sul rogo come Giovanna d’Arco (nella foto). Dopo che già aveva sofferto da morire d’aver perso la corsa al Quirinale, battuto come Berlusconi dall’ottantenne Sergio Mattarella, ed essersi accontentato della poltrona di presidente degli allenatori. Seduto sulla quale s’era illuso di poter almeno ammansire finalmente gli arbitri. Non essendosi mai sognato di mandarli una sola volta, dico una, a quel paese. Da bravo cristiano qual è sempre stato. Ora consacrato santo e martire. Così carino e educato. Sorridente e comprensivo, molto disponibile al dialogo e per nulla rancoroso. E invece, ancora non bastasse, quel cattivone di Luca Baraldi gli ha tolto tutte le foto dalle pareti celebrative del corridoio della palestra Porelli affinché i tifosi della Virtus dimentichino il passato e se ne facciano una ragione: Messi(n)a è oggi come oggi il loro nemico numero uno. Poche storie!

E qui mi fermo. Con un bel punto esclamativo. Perché lo so: sono bravo ma lento come hanno sempre pensato tutti di me. E non si sono mica sbagliati. Davo infatti la mancia ai custodi del palasport affinché tenessero aperta la sala stampa un altro buon quarto d’ora per finire di scrivere il pezzo sulla partita che era finita da un paio d’ore. E sono stato l’ultimo di quattrocento praticanti a consegnare l’articolo su Paolo Rossi e il calcio scommesse nella grande aula ormai deserta all’esame per diventare giornalista professionista nel caldo giugno capitolino del 1980. Altrimenti mi perdo anche Venezia-Milano. Che si gioca alla stessa ora o quasi di Verona-Milan e del Gran Premio di Miami. Robe da matti. E difatti chi volete che la veda in televisione? Forse Gesù Cripto e Ciccioblack. Ma nemmeno. Perché sono tifosissimi entrambi del Diavolo. Come del resto Napoleone Brugnaro. Che in settimana mi ha chiarito al telefono tante cose interessanti sul futuro della Reyer maschile e femminile. Vi prometto comunque che domani butterò giù le pagelle del campionato prima che lo faccia la Gazzetta. Che all’Armani (voto 4.5) darà comunque sette per non far arrabbiare il Messi(n)a e soprattutto lo sponsor di buon cuore. Non so se ci siamo capiti. Spero proprio di sì visto che non siete nati l’altro ieri.    (continua –2-)