Messina rinuncerà al Colle per le Olimpiadi di Parigi?

petrucci

Lupus in fabula. L’altra mattina, se non sbaglio venerdì mattina, mi stavo facendo il pelo e il contropelo davanti allo specchio, dove sono rimasto tra i pochi pennivendoli del BelPaese in cui mi posso ancora guardare a testa alta, quando è squillato il telefonino e l’ho imbrattato di schiuma da barba per rispondere precipitevolissimevolmente alla chiamata di Giannino Petrucci. Ora non sono come Mario Canfora, il povero C10H16O della Gazzetta che salta giù dal letto anche alla quattro di notte e si mette sull’attenti se lo chiama il presidente federale che gli anticipa l’arrivo imminente di una velina, intesa come foglio di carta, sia chiaro, onde evitare vecchi equivoci e altre querele, e non come valletta di Ezio Greggio e Enzo Iacchetti da accompagnare eventualmente fuori a cena di nascosto dalla gelosissima consorte. In pochi per la verità mi credono, ma da oltre quarant’anni Giannino ed io ci conosciamo e, se non siamo proprio amici, non ci manca poi molto. Ci conosciamo dalla calda estate del 1979: il nuovo palazzetto di Mestre ospitò il girone dell’Europeo degli azzurri di Giancarlo Primo, non c’era l’impianto d’aria condizionata ed infatti si scivolava sul parquet del Taliercio come ad Holiday on ice. La nostra nazionale non era poi così male, anzi: c’erano Meneghin, Brunamonti, Caglieris, Bonamico, Villalta, Vecchiato, Gilardi che solo quattro anni dopo sarebbero diventati campioni d’Europa a Nantes assieme a Marzorati, Riva, Sacchetti, Costa e Tonut. Eppure fu un clamoroso fiasco se riuscimmo a prenderle persino dalla Cecoslovacchia, che per la verità all’epoca era un colosso nell’hockey su ghiaccio, e se a Torino successivamente gli arbitri ci diedero una buona mano per battere la Spagna di Antonio Diaz-Miguel e salvare almeno il quinto posto. D’accordo, pure io sono scivolato a gambe all’aria e molto lontano da quel che avevo iniziato a raccontarvi. Ovvero che mi stavo facendo la barba quando ho subito risposto ad una chiamata dell’amico (tra virgolette) da Valmontone. Ma se pensate che adesso sia pentito della mia divagazione (fuori tema) o non mi conoscete abbastanza o non avete capito niente di me. Infatti mi diverte ancora scrivere di tutto (ma anche di niente) non perché me l’hanno consigliato i medici che mi hanno in cura e men che meno perché ho un blog abbastanza seguito di basket che voglio mantenere ad ogni costo in vita. Ma semplicemente perché scrivere è la passione della mia vita e mi piace dividere con gli altri le mie emozioni. Giuste o sbagliate che siano. Se invece v’interessa molto di più sapere dove andrà a giocare il prossimo anno per esempio Leonardo Candi, classe ’97, da cinque anni a Reggio Emilia, che qualcuno pensava potesse diventare chissà quale fenomeno quando ancora vestiva la maglia della Fortitudo, sicuramente sono più curioso di una scimmia e non nego che è mi diverte di dare i buchi all’Anonimo Veneziano o all’Hemingway di Varese o a Mamma Rosa soprattutto o alla Pettegola di Sportando che si abbevera spesso alla mia fonte come un ladruncolo da due soldi, ma non è questa l’anima del mio blog che, non dimenticatevelo mai, si chiama Mors Tua Vita Pea e non il Mercato del pollame dove una volta giocava il Limoges in Coppa Campioni e la Milano di DindonDan Peterson riuscì a perdere per un canestro banalmente sbagliato nel finale di partita da Roberto Premier. Il quale fece incazzare da morire Dino Meneghin. Pure quel ritorno nel piccolo charter da Pau a Linate senza che per sbaglio volasse una mosca sarebbe bello che un giorno anche vi raccontassi. O di quella volta, nel ’84, in cui a Basilea feci il giro del St. Jakob-Park sollevando al cielo la Coppa delle Coppe che la Juventus di Trapattoni aveva vinto in finale con il Porto (2-1) e che l’amico Claudio Gentile mi aveva gentilmente passato. E comunque ve l’ho già detto un mese fa e ve lo ripeto: Leonardo Candi lascerà sicuramente quest’estate Reggio Emilia per andare a giocare dove lo pagheranno meglio (circa 200 mila euro a stagione). Io penso a Venezia per sostituire Stefano Tonut che dalla Reyer se ne andrà di sicuro sganciando i 200.000 euro di buyout che gli passerà Milano. Anche se Federico Casarin per la verità mi ha smentito l’operazione, mentre la piccola Pravda reggiana l’ha di recente confermata e Sciacallando della news se ne è subito scandalosamente appropriato. Nella torrida estate di 42 anni e mezzo fa Petrucci era il vispo segretario della Federbasket di Enrico Vinci che spesso e volentieri s’appostava sotto lo studio di Giulio Andreotti nel cuore di Roma e qualche volta gli riusciva pure di bere un caffè con lui dopo la santa messa. Ettore Messina, che viveva a Mestre, non aveva ancora vent’anni e quindi escluderei che Giannino avesse già un debole per lui come ha oggi. Dal momento che ormai gli lascia fare quel che vuole sostenendo che è il migliore allenatore della terra “col più bel sorriso (nella foto, ndr) del mondo”, ma questo probabilmente lo dice a me scherzando solo per farmi arrabbiare. O ingelosire? Forse. Tra me e Giannino ci sono stati anche momenti bui: è inutile negarlo. Quando consideravo Messer Ferdinando Minucci il miglior dirigente italiano di questo secolo, e ancora lo penso, mentre lui lo soffriva terribilmente e non lo poteva proprio vedere al pari di un altro mio pupillo, Simone Pianigiani. Negli ultimi anni invece ci sentiamo almeno un paio di volte al mese, Gianni con me è sempre molto carino, ma quel che ci diciamo al telefono – mi spiace – sono soltanto cose nostre. Ed è questo (forse) il bello. Anche perché lui sostiene che non legge il mio blog e quindi per me, satiro convinto, non c’è gusto prenderlo troppo per il cesto. Però nemmeno posso star zitto quando in un’intervista rilasciata al buon Piero Guerrini di Tuttosport a metà della settimana scorsa il presidente federale, che punta – ne sono quasi certo – con una deroga a prolungare il suo mandato sino a chissà quando, anche oltre i Giochi di Los Angeles del 2028, ribadisce d’essere in guerra con l’EuroLega “perché tutti i giocatori più forti devono giocare in nazionale anche nelle finestre”. E non in terrazza? Veramente questo lo vado sostenendo da almeno un lustro, ma non importa. Divertente è piuttosto, difatti sembra una barzelletta, che l’unica squadra italiana che gioca in EuroLega sia l’Armani, ma Petrucci neanche si sogna di rompere le scatole al Messi(n)a per chiedergli un azzurro qualsiasi. E allora perché dovrebbe invece per esempio esigere che il Fenerbahce gli dia Achille Polonara? Perché per Giannino – elementare Watson – Ettore potrebbe anche essere eletto nei prossimi giorni al Colle non fosse che alle Olimpiadi di Parigi tra due anni e mezzo lo vuole come cittì della nazionale al posto del precario MaraMeo Sacchetti. A dopodomani. Perché domani mi guarderò le partite di ieri che oggi non ho visto. Perso com’ero, e come sono, dietro a Matteo Berrettini e Jannik Sinner, entrambi promossi ai quarti degli Australian Open come non era mai successo prima a due italiani contemporaneamente nello slam di Melbourne. Mentre di palla nel cestino non so neanche quali match si siano poi giocati domenica. E qui chiudo. Sul serio. Avendola fatta di nuovo parecchio lunga, però lasciatemi che mi congeda a modo mio. Cioè con una lettera che Giovanni Verga, il più grande esponente del Verismo del tardo Ottocento, che non ha niente a che vedere con il Verissimo di Silvia Toffanin. Il quale ha scritto ad un’amica questa lettera: “Certo è che per andare avanti nella via per la quale ci siamo messi, bisogna chiudere gli occhi e tapparsi le orecchie. Ma quando il coro stona troppo e la babilonia c’introna le orecchie non è naturale che sorga il dubbio, se non d’aver sbagliato strada, almeno di non aver saputo accennare dove si va?”. Già. Difatti dove stiamo andando anche con il basket? Oggi Federazione e Lega insieme hanno chiesto aiuti concreti al governo Draghi, ma sono poi sicure che questa sia l’unica strada da percorrere per non cadere ancora più in basso.  Francamente io non lo credo. Mentre sono venuto a sapere dopo cena che Alessandro Gentile ha piantato in asso Varese e se ne è andato a Brindisi. E Dio solo lo sa quanto abbia fatto bene…