L’Harry’s Bar agli americani e la mia cara Virna Lisi

Buongiorno signora. Altro non seppi dirle. Me lo ricordo benissimo. Lei capì la mia timidezza e mi sorrise ricambiando gentilmente il saluto. Il suo era il sorriso più bello e conosciuto d’Italia. E mi permetto d’aggiungere: forse anche di Hollywood. Era già la terza o quarta volta che la incrociavo sulla terrazza del Camineto di Rumerlo. Che s’affaccia sulle Tofane. Dove Virna Lisi andava a prendere discretamente il sole quasi tutti i mezzogiorno. Nel mese che Lucio Battisti allora celebrava vestendolo di nuovi colori e i ragazzi assieme a lui cantavano: “Il carretto passava e quell’uomo gridava gelati”. E sembravano tutti felici. Cortina,specie a marzo, era bella non meno di lei: io comunque le ho sempre amate. Entrambe. Non c’era molta gente sulle piste di neve e neanche in paese. Proprio come piaceva a quella splendida donna di gran classe: riservata, gentile, serena. Eppure così famosa. Che ha saputo invecchiare senza perdere fascino. Neanche sia facile. Ieri ci sono rimasto molto male quando mi hanno detto che in silenzio Virna Lisi se n’era andata. Come non mi succedeva da quando è morta mia madre. Un dolore diverso, è chiaro. Lieve ma non meno vero. Anche se quella volta le seppi solo dire: buongiorno signora. Mentre lei leggeva i giornali al solito tavolo riparato dal vento e abbassò appena sul naso gli occhiali da sole, rispose al saluto e mi sorrise. Poi ordinò dei carciofi crudi, olio e limone. E io tornai a sciare. Felice anch’io. Altri tempi. Oggi per le calli e i campielli girava voce che Arrigo Cipriani ha venduto tutto agli americani. Anche l’Harry’s Bar sulla riva del bacino di San Marco. Spero siano le solite ciacole da campiello. Certo è che senza l’Arrigo, persona cortese e padrone generoso, che t’invitava intanto a prendere un Bellini mentre aspettavi che si liberasse un tavolo al piano di sopra, magari sotto la finestra che guarda San Giorgio, l’Harry’s Bar non sarebbe più la stessa cosa. Le cose belle possono anche invecchiare, ma non dovrebbero mai morire. Soprattutto a Venezia che cade a pezzi, non ha un doge e maledice il Mose. Questo penso e intanto mi odio, mi tormento, m’affliggo alla sola idea di pensarla come loro, Grillo e Salvini, sui Giochi a Roma nell’estate del 2024. Maurizio Crozza ha provato anche a scherzarci sopra: “Più che le fiamme olimpiche vedo tante fiamme gialle”. Io invece proprio non ce la faccio a prenderla stavolta sul ridere e anzi m’arrabbio con la Gramella che, quando finirà di dottoreggiare, sarebbe sempre tempo e ora. A che tempo che fa o sulla Stampa. Copia e incolla. Doppio compenso, come l’amico Curzio Maltese. Le Olimpiadi le ha già ospitate la sua Torino, ma non gli sono ancora bastate. Adesso le vuole a Mafia Capitale. Sì, e pure in Vaticano. Coi soldi degli italiani che sono alla fame. L’arco con le frecce nei giardini di Papa Francesco e nascondino con la benda agli occhi sotto al lettone di Putin. A Palazzo Grazioli. Mescolando il sacro al profano. Giochi troppo pericolosi. Stavolta anche per il Boy scout di Rignano sull’Arno.