Milano può sempre vincere lo scudetto anche senza Hackett: basterebbe che si svegliasse BonoMelli

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Scoppio dal caldo. E allora forse è proprio il caso che mi raffreddi e sbollisca prima di prender fuoco. All’ombra del ciliegio nel giardino dell’ex fornaio di Spinea. Dove sono nati Federica Pellegrini e Napoleone Brugnaro. Sognando d’essere anch’io un merlo. E non perché voglia fare il furbo: non ne sono decisamente capace. Ma perché il merlo, maschio o femmina, non importa, mi mangia indiscriminatamente tutte le ciliegie. Quelle più grosse, rosse e mature. Che sono in cima al vecchio albero. Dove le mie piccole mani non possono arrivare. Neanche con la scala. Né posso arrampicarmi sui rami più alti perché rischierei di cadere giù da basso e di rompermi l’osso del collo. Facendo crepare dal ridere i conigli della Confraternita dell’Osiris. E questa è l’ultima cosa che voglio. Anche se, dovreste averlo ormai capito, per un durone di Vignola o di Marostica potrei arrivare persino a uccidere. Mi arrampico allora piuttosto sull’albero dei playoff. Dal quale al massimo scendo se dovessi anche sbagliare pronostico. Non sarei il primo, né l’ultimo. E comunque adesso la sparo grossa: non è ancora detto che la finale per lo scudetto sia Venezia contro Sassari. Magari la Reyer è senz’altro più vicina del Banco di Sardara alla storica impresa. Però dare già per morte e sepolte Reggio Emilia e soprattutto Milano al mille per mille mi sembra ancora presto. Ma cosa ci racconti? Sei diventato matto? Mica lo escludo: sarà colpa del caldo o della rabbia che covo dentro o di Laura Antonelli che era così sensuale quando nel Merlo maschio di Pasquale Festa Campanile, tutta bella nuda, suonava il violoncello. Ma li leggi almeno i giornali? Per la verità non tutti. Il Giornale per esempio mai. Però grazie alla rassegna stampa della Lega Basket non mi sfugge nulla. E so benissimo che lo spogliatoio della Grissin Bon è diventato un ospedale da campo. Con Max Chef Menetti non più con la lavagnetta e il cappello da cuoco, ma crocerossino dell’ultima ora tra bende, termometri, fasce elastiche e siringhe. Lavrinovic è fuorigioco e insostituibile: o pensate che Cervi a primavera possa tornare ad essere quello dello scorso inverno? A meno che non si tolga dalla testa l’Armani, alla quale si è già promesso, e vada prima del vespero a Canossa. Come ho fatto io, e per ben tre volte, con Acciuga Allegri. Drake Diener ha una microfrattura ad una mano che gli fa vedere le stelle. E non c’è puntura antidolorifica che tenga. Ricciolino Della Valle ha una tallonite da non ridere e zoppica anche più di Pietro Aradori. In più Cinciarini ancora ieri aveva una febbre da cavallo. Eppure mi sa tanto che ugualmente la Reyer farà fatica a chiudere il conto (e la serie) di qui a domenica. Perché Reggio Emilia ha orgoglio da vendere e un tifo meraviglioso in quella scatola infuocata che è solo più decente in Italia del Pianella. Saltando all’altra semifinale, sulla quale – statene certi – mi dilungherò domani prima di Barcellona-Juventus, sono stato anch’io informato delle sacrosante due giornate di squalifica inflitte a Daniel Hackett, ma proprio per questa ragione penso che Milano possa vincere le prossime tre partite di fila e riconquistare lo scudetto. Uno perché Alessandro Gentile è in forma sublime e, senza l’amico del giaguaro tra i piedi, saprà fare meglio ancora. Due perché Luca Banchi avrà con un piccolo in meno più buone possibilità d’indovinare i cambi. Il che ultimamente gli è riuscito quasi mai. Infine perché, anche se mi vogliono far credere che Livio Proli non guardi nemmeno le partite dei playoff in televisione, sono sicuro che Giorgio Armani gli ha già chiesto d’intervenire dietro le quinte per rimettere le cose a posto come nella passata stagione. Con le buone o con le cattive. Nel frattempo mi sono dovuto ieri prendere un giorno di ferie di ritorno da Reggio Emilia per vedere il 3-1 di Sassari su Milano. Quando infatti c’è di mezzo la Monica, potete esserne certi: scoppia sempre un casino. E, tra un fischio e una contestazione, le partite durano, quando va bene, almeno più di un paio d’ore. Tanto che d’ora in avanti non dovete più chiedermi perché non vedo l’ora che l’arbitro di Roseto degli Abruzzi vada tra un anno in pensione. Magari portandosi appresso anche Vicino e Bettini. E infine ditemi: cosa ne pensate se chiamassi il numero 9 con le scarpette rosse BonoMelli? O preferite CamoMelli? Scegliete pure voi. Per me è lo stesso. Basta che non mi svegliate Nicolò quando s’appisola sotto canestro.