Forse all’Italia di Crespolo serve più un cittì di un filosofo

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Per fortuna non se ne è accorto quasi nessuno che in Serbia c’erano gli Europei di pallacanestro e che l’Italia di Marco Crespi non si è nemmeno infilata tra le prime otto squadre del vecchio continente come era nelle attese degli esperti in materia. Che per i miei gusti si coccolano troppo queste azzurre. Mentre per il resto non so dirvi se fossero più forti delle russe che le hanno rispedite a casa prima dei quarti di finale: a me francamente è sembrato di no vedendo ieri sera la partita di Belgrado. Dove nemmeno Mamma Rosa ha mandato un suo inviato. Ma mi posso anche sbagliare. Sono invece convinto di non essere in errore se, numeri alla mano, insisto col ripetere che, finché la nazionale di pallacanestro delle donne continuerà ad essere un’esclusiva della televisione di Murdoch, vivrà sempre in uno stato di semi-clandestinità che non l’aiuta a crescere. E non dico che quelli di Sky non sono bravi. Anzi. Geri De Rosa e Silvia Gottardi non avrebbero potuto far di più e meglio nelle telecronache da Milano a due passi dallo studio dove Claudia Angiolini e Kathrin Ress (al debutto) hanno ben accompagnato l’evento. Che, se poi non è esploso, non è mica colpa loro, ma dello scarso audience che comunque anche l’Italia di MaraMeo Sacchetti raccoglie su Sky. Semmai mi chiedo, ed è un vecchio discorso, perché nella stessa redazione di basket ci siano i figli e i figliastri. Tranquillo, Pessina e Mamoli sono stati infatti per tre settimane negli States per le finali della Nba tra i Raptors e i Golden State che si sono giocate quando nel Belpaese era notte fonda e per questo nessuno (o quasi) le ha viste in diretta. Mentre né De Rosa, né l’Angiolini, nè la Gottardi hanno potuto mettere un’unghia di un piede in terra serba quando le partite delle azzurre si sono invece disputate prima e dopo cena. Ognuno a casa sua può fare quel che gli pare e piace, d’accordo. Però poi a me nessuno può impedire di confermare i primi tre nella top ten della Banda Osiris così come d’escludere l’altro terzetto dalla loggia massonica del basket italiano. Per la verità a Belgrado c’era Alessandro Mamoli che, oltre a grattarsi la pancia, ci ha fatto sapere prima del match che l’Italia non batteva la Russia da 8787 giorni. Che oggi sono diventati 8788 sempre che l’occhio destro di Ciccioblack abbia fatto bene i conti. E adesso? Bisognerebbe chiederlo a Giannino Petrucci cosa vuol fare di questa squadra che non disputerà nemmeno il torneo preolimpico, ma io con questo caldo non ho la minima voglia di corrergli dietro. Anche perché il problema principale non credo sia Crespolo, l’ottavo nano o come volete chiamarlo: Paperoga o Ezechiele Lupo? Però sinceramente spero per lui che il presidente federale non abbia sentito nessuno dei monologhi e sproloqui filosofici che il cittì con il barbone ci ha regalato di continuo come spot su Sky durante questi Europei. “Motivazioni ovvero sacrificio e sudore: tutte parole abusate, tutte parole che qualcuno vuole vendere, ma la motivazione è qualcos’altro, non la fuffa che ti vogliono vendere”. Ovvero? “Quando si parla di squadra si abbina subito il concetto di squadra al concetto di sacrificarsi per la squadra. Non mi piace assolutamente questa immagine”. Quale allora? “Io voglio che le mie giocatrici siano egoiste. Perché egoista non significa che ognuna abbia il desiderio di tirare 25 volte a partita”. Come Cecilia Zandalasini (nella foto in lacrime). “Egoista significa che ognuna sente che il giocare di squadra darà a lei qualche cosa. E, se si sente in campo che attraverso la squadra si raggiunge il proprio obiettivo, allora la squadra sarà più forte possibile. Perché sacrificio è una brutta parola”. Questo magari l’abbiamo già capito. “E’ un luogo comune. Mentre sentirsi egoisti è qualcosa di bello che fa funzionare meglio la squadra”. Tutto chiaro? No, ma andiamo pure avanti. “Nel basket femminile non c’è atletismo, quindi è un gioco di passaggi. Il basket femminile non è invece assolutamente un gioco di passaggi. Il passaggio è solo lo strumento al servizio della sfida principale. La vera sfida è quella del tiro”. Dai, Paperoga, che ci siamo. “Ho fatto una statistica molto semplice. Le ragazze della nazionale italiana facevano un tiro ogni tre minuti e 25 secondi, quelle delle altre nazionali ogni due minuti e 35. Quasi un minuto di differenza. Un abisso. Abbiamo pensato quindi a un progetto proprio per accentuare il piacere di questa sfida”. Quale? “Il passaggio è il servizio di questa sfida e abbiamo capito che ci siamo riusciti quando una di queste ragazze ha scritto sulla lavagna: Tiro e mi sento bene”. Io invece mi sento malissimo e devo prendere un Alka-Seltzer. A domani. Non dimenticando che con l’Ungheria abbiamo segnato 51 punti e con la Russia 54. E si sono ovviamente persi entrambi i duelli tra fiumi di parole al vento. Mentre magari voi intanto chiedete a Giorgia Sottana cosa ne pensa di questo mezzo disastro o dei deliri filosofici di Crespi e poi mi riferite.