Belinelli è come Giovinco e per il paragone non s’offenda

Se vi piace, e volete smacchiarvi la coscienza, aggrappatevi pure a Marco Belinelli. Cecchino scelto al lunapark della Nba nel tiro a segno. Il primo italiano del basket a mettersi al dito, e non al naso, l’anello dei giganti del basket. Ben inteso: il titolo degli Spurs l’hanno vinto comunque altri. Soprattutto Kawhi Leonard, mvp delle finals contro Miami. Ma anche Manu Ginobili, la cui schiacciata nel canestro degli Heat mi ha ricordato stanotte quella di Forlì in Coppa Italia, sotto il mio naso, che porterò nella tomba come uno dei souvenir più cari di una pallacanestro che non finirà però mai di farmi arrabbiare. Senza dimenticare Tony Parker, il francese che mi piace quasi più di Noah senior, o Gregg Popovich, da diciannove anni coach di San Antonio, che vorrebbe portarsi Ettore Messina da Mestre come vice in panca: tanto non ha paura che nessuno gliela seghi, men che meno il mio compaesano che non ne vuole per la verità più sapere, e fa bene, di tornare a vivere in Italia. Come lo slavo di Chicago, padre serbo, madre croata, anche Tim Duncan è per la quinta volta campione della Nba: non è proprio più un bimbo, di anni ne ha già 38, però non deve neanche ascoltare Mozzarellina Pessina che gli consiglia di smettere: un altro paio di stagioni, se se la sente, può ancora giocarle visto che anche il livello del basket dei professionisti d’oltre oceano è ultimamente sceso ai piani bassi. Dunque Leonard, Ginobili, Parker, Duncan e aggiungeteci pure Patty Mills che in gara cinque è esploso nel terzo periodo con un ben 5 su 8 nelle triple. Le quali hanno chiuso il conto con gli ex bicampioni in carica e messo definitivamente in ginocchio LeBron James. Che nei primi 12 minuti ne aveva anche infilati 17 di punti nel canestro di San Antonio illudendo gli Heats d’allungare la serie almeno al sesto duello. Prima di Belinelli ci sarebbero anche come minimo Diaw e Green. O mi sbaglio? Ma faccio finta di nulla. E comunque il nostro di San Giovanni in Persiceto, in provincia di Bologna, che Claudio Sabatini considerò un traditore quando passò dalla Virtus alla Fortitudo, ha fatto benissimo a festeggiare il titolo Nba avvolto nella bandiera biancarossaeverde, però è stato solo uno dei dodici apostoli nella casa degli Spurs e non uno dei cinque padreterni. Non lo dimentichi. Soprattutto quando indosserà la maglia azzurra con la quale ha giocato non sempre da campionissimo, ma più spesso e volentieri da primadonna che non si sporcava di certo le mani per difendere. Tanto più che adesso, di ritorno dagli States, tutti i giornali italiani lo celebreranno come un eroe e Tranquillo, che ieri piangeva come un coccodrillo, gli dedicherà un libro più bello di quello che ha già scritto per il Gallo. E allora il rischio che Belinelli si monti la testa è assolutamente dietro l’angolo e più vicino dell’Armani al prossimo scudetto. A meno che il ragazzo non s’offenda quando lo paragono nella Juve del Conte Antonio a Sebastian Giovinco: anche lui ha vinto, ma di un superiore valore sono stati Buffon, Barzagli, Bonucci, Chiellini, Lichtsteiner, Vidal, Pirlo, Pogba, Asamoah, Tevez e Llorente. Dimenticando Marchisio. E capisca la sostanziale differenza.