Un bimbo interista non avrebbe avuto lo stesso successo

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Oggi non farò tardi. O almeno lo spero. Oggi copio. Come feci nell’ultimo anno di liceo classico che ai miei tempi era il terzo e adesso è il quinto. Quello della maturità insomma. Con tutte le materie. Che non mi fa ancora dormire la notte. Al Pio X di Treviso. Con il Sapegno sulle ginocchia. Lo so, ho infilato un percorso lungo e sconnesso, come nell’Inferno del Nord e il pavé della Foresta di Arenberg. “Che è una stretta al cuore” come scrisse Mario Fossati sul Giorno celebrando la terza vittoria consecutiva di Francesco Moser alla Parigi-Roubaix del 1980. Un articolo epico che Giulio Signori mi diede l’onore di passare e il piacere di titolarlo. Lo so, una subordinata tira l’altra. Come le ciliegie, la mia passione, se le riuscirò a gustare a maggio. E quella della sintesi non è certo una mia qualità, ma come faccio a non parlare di Giulio Signori che è stato il mio primo capo (redattore) e una delle penne più raffinate del nostro giornalismo sportivo? Molto più bravo a scrivere che a comandare. Fratello di Gianni Brera al club del giovedì. Al Riccione di Milano. Come Mario Fossati. Che del ciclismo era poesia. Forse più grande addirittura di Gianni Mura. Lo so, farò tardi anche stavolta perché mi sono perso di nuovo per i sentieri dei ricordi e non conosco le scorciatoie. Del resto dagli esami di maturità con tutte le materie e i riferimenti dei primi due anni di liceo, per esempio cinque canti dell’Inferno e cinque del Purgatorio, sono passati più di cinquant’anni. Era il mitico ’68 infatti e andai a settembre con tre materie e due in geografia. Tranquilli, un aggettivo che al plurale posso eccezionalmente usare, adesso non vi racconto il motivo per il quale all’esame di geografia astronomica feci scena muta. Però m’annodo il fazzoletto e prima o poi ve lo spiego. Magari vi starete ancora chiedendo chi fosse mai questo Sapegno. Ve lo dico subito: Natalino Sapegno (Aosta, 10 novembre 1901 – Roma, 11 aprile 1990) è stato nel secondo dopoguerra uno dei maggiori studiosi del Trecento letterario italiano e quindi della Divina Commedia. Ebbene per farla breve – speriamo – tenevo tra le ginocchia sotto al banco il suo libro di critica e la pagina aperta sul commento a un canto del Paradiso di Dante che calzava a pennello con l’argomento del tema (in classe) che avrei dovuto sviluppare. Al professore d’italiano Mario Sartorello evidentemente non piaceva il mio modo di scrivere, così come oggi faccio fatica ad essere digerito dagli sfascisti e dagli intertristi. E li capisco. Non capivo invece perché mi avesse dato solo sei in quel compito che avevo sfacciatamente copiato di sana pianta dal Sapegno e che ritirai, divertito, scuotendo la testa. “C’è qualcosa che non va, Pea?”, mi chiese Sartorello. E io gli risposi con un’alzata di spalle. “E allora leggo il suo tema a tutta la classe”. E lo fece. Uno dei miei compagni di liceo era Davide Rampello. E’ lui o non è lui? Certo che è lui, l’appassionato d’arte e direttore artistico che per Striscia la notizia cura la rubrica “Paesi, paesaggi” girando a sbaffo per l’Italia. Non che Rampello fosse un asino, per carità di Dio, ma ha due anni più di me e quindi era già stato bocciato due volte. Che poi a luglio sarebbero diventate tre. Allora diciamo meglio che aveva poca voglia di studiare e che se la cavava bene solo in italiano. Sì, insomma, intervenne il ruffiano con un cicinin di puzza sotto il naso, “Non è nemmeno scritto male, però francamente c’è poco del pensiero di Dante Alighieri”. Strappai allora il foglio protocollo dalle mani del professore e lo consegnai a Davide ridendo: “Con questo, se vuoi, ti ci puoi anche pulire il sedere, ma sappi che l’ho interamente copiato dal Sapegno”. Bene, mi presi un giorno di sospensione. Ma volete mettere la soddisfazione d’aver fatto divertire tutta la classe? E’ quasi il tramonto. Mannaggia. E quindi devo accelerare se non voglio che la Tigre mi chiami tre volte per la cena. Mi ero perso l’Indiscreto di Gesù Cripto di mercoledì scorso. Lo recupero al volo e lo copio. “Oscar Eleni sotto un tiglio a 180 metri da casa, in Piazza Po, Milano non più da bere, ascoltando le voci di chi sgrida se in questa prigione non te la senti di scrivere, figurarsi se c’è tempo per andare dietro a quelli del basket che litigano anche nelle videoconferenze sapendo tutti che la stagione è finita ed è venuto il tempo di farsi un bell’esamino nella coscienza vuota, guardando tristemente al domani in bancarotta, con un Paese in ginocchio, anche se tutti fingono che sia unito almeno adesso. Ma dove? Li sentite i corvi nell’arena? Governissimo, uomo forte, pieni poteri, caccia all’untore, fantocci da prendere a calci, beceri strapagati che non hanno mai aiutato nessuno e se la prendono con chi è da sempre sul campo: i medici con e senza frontiere, infermieri, gente che lavora per gli altri, nel silenzio, ma i forzisti non si fermano e la raccontano giusta ai loro poveri votanti, ai beceri credenti della porta accanto”. Nomi non ne fa, Gesù Cripto, come al solito, ma almeno stavolta si capisce con chi ce l’ha. Anche perché non deve difendere nessuno dei suoi allenatori che non piacciono a me. E comunque sarà anche criptico, ma io sotto quel tiglio in Piazza Po avrei voluto esserci per dirgli: “Ho letto, Oscar, il tuo incipit: strepitoso” e l’avrei lasciato lì a brontolare. Adesso copio anche uno stralcio del pezzo tosto di Giuliano Ferrara di ieri sul Foglio, ma prima lasciatemi tornare sulla foto (Gerace/Imago-economia) del ragazzino con la maglia numero 22 di Nicolò Zaniolo che domenica pomeriggio, nel pieno centro di Milano, gioca a pallone tra i binari del tram, in via Manzoni deserta, a meno di cento metri dal Palazzo dei Giornali, in piazza Cavour, dove ho lavorato per vent’anni e da altri venti non ci sono più tornato. Non finendo mai d’incensare Andrea Riffeser, nipote di Monti, presidente della Federazione Italiana Editori Giornali. E così non c’è nemmeno più bisogno di dover dare altre spiegazioni per comprendere la grave crisi che sta travolgendo la carta stampata se persino la Gazzetta non vende oggi più di 40.000 copie e il Giorno non so nemmeno se esca ancora. No, è meglio che anche lui resti chiuso in casa. Questo è il mio Scacciapensieri. Che è scrivere la prima cosa che mi salta in mente. Senza un (apparente) filo logico. E cantare in doccia come da ragazzo quella canzone del 1965 dell’Equipe 84: “Sono un uomo libero, libero d’amare, e non sono in vendita, tu non mi puoi comprare. Lan dan dara, la la dara dara”. La foto del piccolo giallorosso che prende a schiaffi la palla, e anche il coronavirus, ha intanto fatto il giro del mondo e già merita il premio della migliore in questo maledetto anno bisesto che è ancora peggio del precedente che pure mi ha portato il cancro. L’ha scattata il fotoreporter internazionale Paolo Gerace che lavora per un’agenzia che l’ha venduta al Corriere della sera che non per niente è il primo quotidiano d’Italia. “Avrà avuto sì e no sei o sette anni. Era bravissimo. Giocava con un amico da una parte all’altra della strada. Palleggiavano e si passavano il pallone”. A un tiro di schioppo dalla Questura. Che meraviglia. “Ti aspetto a Trigoria quando tutto sarà finito” gli ha scritto Zaniolo su Instagram. Un giorno conosceremo anche il nome del ragazzino che, se però avesse avuto la maglia n.10 di Lautaro Martinez,  sono sicuro che non avrebbe avuto lo stesso successo. C’è poco da fare, sono lento anche a copiare e dico la verità: ho anche già cenato. Ma ora chiudo con Ferrara che ogni tanto si ricorda d’essere figlio del senatore comunista Maurizio, che è stato anche direttore dell’Unità, e di Marcella de Francesco, segretaria particolare di Palmiro Togliatti. “E’ grottesco che per pigrizia mentale, per scemenza, e per gola, in tanti stiano ancora lì a domandarsi che cosa dirà il senatore Salvini, dove sarà ospitato stasera in quella fogna maleodorante che è l’informazione da sbarco, e che lo si possa considerare un interlocutore quando rimane un modesto comiziante, un demagogo pericoloso, un omarino intimamente truce che, se fosse al governo, Dio ne guardi, sarebbe capace di isolare l’Italia in un padiglione speciale, in un lazzaretto di appestati”. E ancora, tanto è ormai buio pesto, ringraziando chi mi ha chattato il corsivo del Foglio: “L’idiota che aveva predicato l’imminenza di un’epidemia di scabbia portata dai poveracci e dai neri, e che ora si agita contro l’Europa e nemici tra i letti di rianimazione e i ventilatori, non è un soggetto politico da unità nazionale, non ha la minima credibilità per affrontare con persone normali questioni infinitamente più grandi e più dolorose di lui e delle sue mattane nevrotiche, è un soggetto pericoloso per le istituzioni. E l’averlo capito resterà, comunque la si pensi del Bisconte churchilliano e degli alacri costruttori del governo attuale, un merito indiscutibile. Avanti così. Meglio l’autocertificazione del bollo untuoso e scabroso di un piccolo caratterista del teatro della miseria politica”. Dimmi, Giuliano, per quale partito ti presenterai la prossima volta che ti voto a occhi chiusi e magari anche tappandomi il naso. Peccato non te lo possa immaginare nemmeno tu. Buonanotte.