Schiacciò due palloni nel canestro e lo chiamai Tiramolla

tiramolla

Un giorno anch’io andrò all’altro mondo: probabilmente all’inferno. E ci sarà magari qualcuno che s’azzarderà a scrivere: “In fondo non era cattivo”. Ma questo non lo saprò mai. E questo è forse il bello. Diventiamo tutti buoni quando moriamo. E non è in fondo giusto. Perché poi è difficile spiegare a chi non ha avuto la fortuna di conoscerlo che Marco Solfrini era eccezionalmente davvero un ragazzo d’oro. Un fiore di rara bellezza spuntato tra le asperità del mondo come ha scritto di lui Valerio Bianchini. Che è stato il suo allenatore a Roma e insieme hanno vinto lo scudetto, la Coppa dei Campioni e l’Intercontinentale. Nel tardo pomeriggio sarò a Treviso e sono sicuro che il Palaverde, come sempre pieno come un uovo, gli dedicherà un minuto di silenzio e un lungo, commovente, sentito applauso. Mentre una canzone di Lucio Dalla mi ronza già nella testa e mi piacerebbe poterla cantare insieme a tutto il palazzetto di Villorba. Sommessamente: “E la luna è una palla e il cielo è un biliardo. Quante stelle nei flipper sono più di un miliardo. Marco è dentro a un bar e non sa cosa farà. Poi c’è qualcuno che trova una moto: si può andare in città”. E ancora: “Anna avrebbe voluto morire. Marco voleva andarsene lontano. Qualcuno li ha visti tornare tenendosi per mano”. A fine gennaio Marco aveva compiuto sessant’anni. Eppure per me è sempre stato un ragazzo. Quel ragazzo, forse neanche ventenne, che ho visto la prima volta ad un torneo canicolare di basket alla Gazzerra. Che è un quartiere periferico di Mestre. Oltre la ferrovia. Quasi in aperta campagna. Lo avevano portato Roberto Zamarin e Lino Palumbo, il padre taxista di Marco. Marco Solfrini e Marco Palumbo già giocavano insieme nella Pinti Inox di Riccardo Sales. Non so se il Barone volesse più bene all’uno o all’altro. E comunque stravedeva per entrambi. Quanto fossero bravi l’ho invece capito meglio proprio quella sera prima d’essere divorato dalle zanzare. Palumbo l’avevo visto nascere all’oratorio di via Aleardi e quindi conoscevo l’eleganza della sua pallacanestro. Mentre di Solfrini mi aveva parlato molto bene Riccardo, ma non sapevo che saltasse più di un grillo e che potesse schiacciare contemporaneamente due palloni nel canestro prima con una mano e poi con l’altra volando in cielo. Un autentico show post partita molto applaudito. Unico a quei tempi in Italia. Al quale Marco, timido com’era, avrebbe anche volentieri rinunciato se Roberto non avesse tanto insistito. Con le lunghe braccia arrivava dovunque allungandosi come una molla. Ebbene lo chiamai per l’appunto Tiramolla come quel fumetto che da bambino addirittura preferivo a Topolino e a Minnie. Questo è il mio ricordo di Marco che da allora ho continuato a chiamare Tiramolla, un nomignolo che a lui era anche piaciuto e me lo confessò timidamente qualche mese dopo. L’estate era finita ed era ormai inverno: alla Pinti Inox di Riccardo Sales, seconda nel campionato di A2 alle spalle della Sebastiani Rieti di Elio Pentassuglia, Willie Sojourner e Roberto Brunamonti, un altro mondo, toccò d’inaugurare quella domenica il nuovo palazzetto di Mestre, il Taliercio, affrontando la Vidal di Roberto Zamarin, ultima in classifica, che era appena subentrato in panchina a Sergio Curinga. Non lo potrò mai dimenticare: Brescia fu sconfitta dal Basket Mestre e neanche di poco: 94-71. Palumbo 7 punti, Motta 15 come Solfrini ben marcato da Mark Campanaro (14). E l’mvp dell’incontro fu Pietro Generali (22). L’amarcord mi è dolce come lo era Tiramolla. Che non l’ho mai sentito una volta alzare la voce. Sempre al suo posto. Corretto ed educatissimo. Una pasta di ragazzo che a Mosca nell’80 vinse la medaglia d’argento olimpica che mi volle mostrare raggiungendomi con Renato Villalta al mare di Jesolo dov’ero in vacanza. Parlò poco, ma si vedeva che era felice. Come quando affondava le mani nel canestro. Prima l’una poi l’altra con due palloni. Uno spettacolo. Ma che ora lieve ti sia terra, caro Marco. Immaginando che lassù stai già giocando a basket assieme agli angeli. E che il Barone Sales sia il tuo amatissimo allenatore. Mentre le birre, in frigo, sono già gelate.