Mi sarebbe oggi piaciuto scrivere di golf, ma come faccio a non dire la mia su Maurizio Gherardini? Già proprio non posso. Però vi prometto che domani mi occuperò di fairway, bunker e rough che sono il bello, il brutto e il cattivo di questo splendido gioco che non m’interessa un cavolo se qualche scemotto non lo considera uno sport. Conosco Maurizio da almeno 25 anni, forse anche senz’altro di più. Me lo ricordo impiegato di banca. Già in giacca, camicia bianca e cravatta. E, a tempo perso, general manager di Forlì. Bravo, onesto, in gamba: con la testa sul collo. Un ragazzo senza età. Difatti mai avrei pensato che ha solo sei anni meno di me. Parlava poco, questo sì, però sapeva essere lo stesso di compagnia e accettava con un sorriso che gli dicessi che ero sicuro che, prima d’andare a letto, si cuciva la bocca con ago e filo temendo nel sonno di confessare alla moglie qualche notizia di pallacanestro che aveva giurato di non dire neanche a lei. Tante volte abbiamo fatto le ore piccole in quella osteria in campagna, sulla strada per Predappio, non lontano dall’unica città d’Italia che forse è più anonima della mia. Da Alfio si potevano mangiare anche tre quattro primi, uno più gustoso dell’altro, e si pagava sempre la stessa cifra: diecimila lire. Compreso il bicchierino della staffa. E si potevano vedere con la parabola del caro figliolo tutte le partite d’Europa e qualche volta anche degli States. Ci andavo con l’Orso, Raffoni, Sani, il Papa. Dio solo lo sa quando mi mancano Piero Parisini e le sue perle di saggezza. Come mi mancano il Barone Sales, il Principe Rubini, l’Avvocato Porelli, tanto per dire di grandi visionari del nostro basket come non ne nascono più. L’amarcord è dolce più del miele, ma se gli corri dietro con la melanconia ti fa finire fuori strada. E io volevo parlare di Gherardini. Che lasciò la banca e Forlì a meno di quarant’anni per andare a Treviso e fare le fortune sue e della Benetton. Quattordici stagioni con Giorgio Buzzavo: chissà mai come avrà fatto a sopportarlo, ma anche quattro scudetti e non so quante Coppe d’Italia. Poi il gran volo nella Nba, prima numero uno dei Toronto Raptors con il suo Mago Bargnani, ora consulente degli Oklahoma City Thunder. Niente da dire: una magnifica carriera. Però è qui che vi voglio. E’ Maurizio Gherardini uno della Banda Osiris? Bella domanda alla quale, io che ho inventato la Bandissima, non ho mai saputo dare una risposta secca. Forse sì, perché è amico di Tranquillo e di D’Antoni. Forse no, perché non si crede un padreterno e non ha bisogno di raccomandazioni. Però mi mette in sospetto il fatto che ogni qual volta c’è qualche istituzione o qualche club in crisi, come sono oggi la Lega o la Reyer, Chiabotti e la Gazzetta facciano sempre il suo nome e lo indichino come il salvatore della patria. Se ne può comunque riparlare. Se volete. Andando magari nel frattempo a consulto da Livio Proli che, come certo saprete, non ha bisogno di farsi legare all’albero della nave per non cedere alle lusinghe delle pericolosissime sirene d’Ulisse.