Cortina, una montagna di soldi, un vero scandalo olimpico

         

         8 novembre, sabato       Parto in quarta. Senza fronzoli. Che pure mi piacciono assai. E allora scimmiottando Guido Meda, che prima di salire in moto era innamoratissimo di Deborah Compagnoni e del suo magnifico culo, strillo: “Semafori spenti, quarta dentro, scateno l’inferno!”. Vi consiglio di comprare un paio di libri che devo ancora cominciare a leggere, ma lo farò forse già stasera se finirò di scrivere presto. Ovvero, conoscendomi, se inizierò a sfogliarli la settimana prossima, sarà già un successo. Il primo è “Una montagna di soldi” di Giuseppe Pietrobelli, firma nervosa ma solidissima  del Gazzettino e ora del Fatto Quotidiano. Con la prefazione di Gianni Barbacetto, autore con Peter Gomez e Marco Travaglio di “Mani pulite” nel 2002. Ecco, già che ci siete, acquistate in libreria anche questo “formidabile memorandum”, come l’ha definito non uno qualunque ma Corrado Augias, riproposto in una nuova edizione.

Sotto titolo di Una montagna di soldi: “Sprechi, incompiute e affari: lo scandalo delle Olimpiadi invernali Milano Cortina 2026”. E la prefazione di Barbacetto: “Come nella peggiore tradizione italiana, accanto agli impianti sportivi da costruire è cresciuta la lista di opere pubbliche, strade, svincoli, tramvie, piste ciclabili, ponti, gallerie, che sono classificate come opere per le Olimpiadi, anche se non saranno di certo pronte nel 2026. Alcune si sono perse per strada, altre sono state finanziate con soldi pubblici: altro che Olimpiadi risparmiose, altro che Giochi a costo zero”. Tutto verissimo come direbbe Silvia Toffanin. Ed in realtà anche molto peggio. Difatti a Cortina d’Ampezzo, cuscinetto dei Giochi, giochini e giochetti di Milano, tutti se ne lamentano dall’estate scorsa nello struscio in Corso Italia. Residenti e villeggianti. Il paese dei cinque cerchi è nel caos più completo e tremendo: non ci sono parcheggi per via dei lavori in corso e sarà già un miracolo se un paio di questi saranno agibili a febbraio. Strade del centro intasatissime, lunghe code dovunque, sperando che pure non piova a dirotto, altrimenti la statale 51 di Alemagna nel tratto Cortina-Borca di Cadore viene chiusa per il pericolo di frane dal Sorapis e dal Marcora sulla povera San Vito.

Sicuramente Pietrobelli va premiato se non altro per il coraggio che ha avuto di mettere a nudo non solo i costi elevatissimi di quest’Olimpiade tenuti accuratamente nascosti proprio dal Gazzettino di Luca Zaia nei corsivi d’Alda Vanzan: oltre cinque miliardi di lire per l’impiantistica e un ulteriore paio almeno per l’organizzazione ampezzana dell’evento che avrà comunque un bilancio finale paurosamente in rosso. Ma anche per i disagi negli spostamenti che i Giochi invernali sicuramente creeranno agli atleti, ma soprattutto agli spettatori che, se non avranno la casa o l’albergo a Cortina dove alloggiare nelle due settimane di competizioni, sempre che ce ne siamo ancora di residenze disponibili, dovranno abbandonare le auto chissà a quanti chilometri di distanza dai campi di gara. E non si parla ovviamente di Cinquecento o di Topolino, ma di Jaguar se non di Ferrari. Passando oltre ad almeno un paio di posti di blocco. Sempre che non nevichi. Il che è abbastanza probabile: cosa ne dite? In inverno sulle Dolomiti. E allora non ci voglio nemmeno pensare.

Nel 1956, quando Cortina celebrò la sua prima Olimpiade che già allora fu un flop clamoroso, avevo sei anni e mezzo. Eppure mio padre non mi portò da Venezia, e non da Berlino, a vedere dalla mattina alla sera neanche il salto dal trampolino di Zuel che sarà ora restaurato e non certo in tempo per l’inizio dei Giochi (venerdì 6 febbraio 2026). Quindi si poteva anche lasciarlo lì come monumento, ricordo o simbolo storico, scegliete voi il termine che più v’aggrada, e magari solo puntellarlo a dovere dal momento che già si reggeva in piedi per miracolo. Senza però arrivare a spendere un’ulteriore vagonata d’euro. Cioè almeno una dozzina di milioni che scucirà la Regione veneto. Cioè noi contribuenti. Pietrobelli ed io compresi. Evviva!

E comunque anche i giornali dell’epoca riempirono la testa della gente di favole evocative. Mentre mio padre mi disse – me lo ricordo molto bene come fosse ieri – che poca gente in verità seguì quelle Olimpiadi rispetto alle attese. Proprio per problemi logistici e di traffico bestiale. E io, se permettete, crederò sempre più a quello che mi raccontò allora mio padre in confronto a quanto scrissero invece a quei tempi i quotidiani e le riviste prezzolate del settore. Anche se non avrei mai fatto un mestiere diverso dal mio. Ovvero di giornalista e d’inviato speciale come Giuseppe Pietrobelli.

Il secondo libro che vi propongo è invece di tutt’altro genere: “La telefonata: gli Slam del 2025 ” di Adriano Panatta e Paolo Bertolucci che già mi hanno divertito moltissimo su Sky in Tennis Heroes. Di cui non mi sono perso una sola delle sette puntate su Borg, AgassiSampras, i pallettari, Martina Navratilova, i bad-boys, gli Anni ’70 e ’80. Ormai nel Bel Paese tutti sanno tutto di tennis. Grazie a Jannik Sinner, vi piaccia o meno. E non capisco perché non vi debba piacere quel tesoro di ragazze rosso di capelli. E comunque ritengo sia opportuno ricordare a questo punto che gli Slam sono quattro: l’Australian Open, il Roland Garros, Wimbledon e l’Us Open. Due ne ha vinti quest’anno Carlos Alcaraz: sul rosso di Parigi e a Flashing Meadows. E due, a Melbourne e sull’erba londinese, il Fenomeno di Sesto Pusteria, figlio di Siglinde e Hanspeter, lei cameriere e lui cuoco nel rifugio alpino in Val Fiscalina che era il preferito di mio padre quando portava la famiglia in vacanza a San Candido e io ero un ragazzo sempre attaccato alle gonne di mia nonna che era tedesca e ovviamente capiva tutto quello che dicevano gli altoatesini del posto quando parlavano tra loro. E vi assicuro che non avevano gran simpatia, e avevano ragione, per i romani de Roma che lasciavano sui prati tutto quel che mangiavano. Maleducati e cafoni. Come ne conoscerete anche voi, ma almeno oggi lascio fuori dalla porta la politica e Francesco Maesano che si è dimenticato stasera, nel Tg1 delle venti da Palazzo Chigi, di raccontarci quante volte Giorgia Meloni si è assentata durante il Consiglio dei Ministri per andare a fare la pipì in fondo al corridoio a sinistra. Pardon, sia mai: a destra.

Il grande Slam d’oro, ovvero la vittoria nella stessa stagione di tutti e quattro i tornei dello Slam più il titolo olimpico del singolare, è stato conquistato solo da tre campionissimi e due campionissime della racchetta: Rafael Nadal, Novak Djokovic e Serena Williams oltre alla stupenda coppia Andre AgassiSteffi Graf, oggi marito e moglie. Nel 1988 la bella tedesca di Mannheim completò il pokerissimo ai Giochi di Seul. Dove scrissi di lei e della sua medaglia d’oro nella finale vinta con un doppio 6-3 rifilato a Gabriela Sabatini, l’argentina di sempre più amata dagli italiani. Al termine dell’acceso duello entrambe mi firmarono negli spogliatoi una delle palline gialle del match. Che io poi regalai a Franco Grigoletti raggiungendolo nella tribuna stampa del basket. Che Grigo aveva preferito a quella del tennis. Per seguire giustamente l’infuocata finalissima tra l’Unione Sovietica di Aleksander Gomelski e la Jugoslavia di Dusan Ivkovic.

Altri tempi. Bei tempi. Vinzero Sabonis, Volkov, Marciulonis, Homicius, Kurtinaitis e compagnia bella che due giorni prima avevano fatto fuori gli spocchiosi Stati  Uniti d’America di John Thompson, David Robinson e Danny Manning. Guastando le Olimpiadi ai precorritori della Banda Osiris di Cicciobello, non ancora Ciccioblack, Tranquillo che in massa si gettarono nell’Han, il fiume di Seul, con grandi pietre al collo. E furono tentati di farlo anche gli sconfitti . Ovvero l’indimenticabile Drazen Petrovic assieme a Divac, Radja, il ventenne Toni Kukoc, Paspalj e Vrankovic. Dimenticando Zdovc, l’unico sloveno, Cutura, Cvjeticanin, Radulovic e Zelimir Obradovic. Il quale due anni dopo conquistò il titolo mondiale al Luna Park di Buenos Aires. Pure lì c’ero anch’io. Prendendosi la rivincita sui sovietici. Prima di dare l’addio come giocatore alla nazionale jugoslava e diventare l’allenatore del Partizan. Dove è tornato tre anni fa dopo aver guidato il Real Madrid, la Benetton, il Panathinaikos e il Fenerbahce conquistando la bellezza di ben nove EuroLeague dovunque. Tranne che a Treviso. Guarda caso. Mannaggia.

Anch’io come il compianto Grigo ho sempre preferito la pallacanestro al tennis anche se per Adriano Panatta avevo un debole dopo averlo visto trionfare con Paolo Bertolucci, compagno di doppio, e Corrado Barazzutti nella finale della zona europea di Coppa Davis a Mestre sul campo in terra rossa  dove da ragazzino ho cominciato a prendere a racchettate le palline che allora erano bianche. Erano i primi d’agosto del 1974. A petto nudo sulle tribune assolate. Insieme a Nico che è ancora un mio grande amico. Contro i fortissimi Ilie Nastase e Ion Tiriac. Che si finse malato di stomaco e invece era solo stanco morto dopo la sconfitta nel doppio e una notte diciamo di stravizi a Venezia. Ma il professor Paolo Toschi, medico della manifestazione, lo costrinse lo stesso ad affrontare Barazzutti nel singolare decisivo che ovviamente straperse raccogliendo appena tre game in altrettanti set. Il divertente di tutta questa bella storia che vi ho raccontato è che il professor Toschi era il ginecologo che tre anni prima aveva messo al mondo i miei due gemelli Bicio e Giorgia.

Ormai l’avrete capito: sono passato dall’oggi al domani (sabato) come avevo temuto. Ed infatti ho appena finito di guardare in diretta l’avvincente finale dell’Atp 250 di Atene preferendola addirittura al derby di Torino che seguirò magari più tardi in registrata e ovviamente dopo il pasticcio con le finferle, più piccole dei giallini e più saporite dei finferli, che la Tigre mi ha cucinato con lo stesso amore che ho io per questi funghi del Cadore deliziosi, gli ultimissimi della stagione. Perché come ha confidato Luca Argentero a Elisabetta Esposito nell’intervista (carina) sulla Gazzetta: “La mia Juve oggi non mi scalda più come una volta: ora m’identifico in Sinner”. Proprio come il sottoscritto. Che, correndo dietro a Jannik, che adoro, l’ho già dichiarato mille volte ma mi ripeto molto volentieri, antepongo il tennis a qualsiasi altro sport, la palla nel cestino compresa.

E’ andata per le lunghe, più di me, anche la fantastica sfida tra l’intramontabile 38enne serbo e il nostro farfallone di Carrara che arriva sempre a novantanove ma non fa mai cento. Bravissimo, per carità di Dio, ma non diciamo più che ha più classe di Sinner e certi colpi a rete che lo stesso Jannik gli dovrebbe invidiare. Anche stavolta dopo oltre tre ore di grande tennis, di break e di contro break, alla fine è stato l’eterno Djokovic a battere lui per stanchezza Musetti, tuffandosi su alcune volée imprendibili come una giovane libellula sul prato di margherite in fiore. Uno spettacolo il suo 4-6 6-3 7-5 che purtroppo escluderebbe Lorenzo dalle Finals di Torino che cominciano domani con Alcaraz-De Minaur alle 14 e  Shelton-Zverev alle 20.30. Mentre Sinner entrerà in scena lunedì sera contro il canadese Auger-Aliassime che è nato l’8 agosto (del Duemila) come Roger Federer, ma non prendete paura: ricorda il fuoriclasse svizzero solo in questo.

Devo proprio chiudere perché il pasticcio di funghi mi si raffredda e poi la senti la Tigre. E allora vi sarete accorti che ho usato il condizionale sulla partecipazione di Djokovic a Torino. Difatti è fortemente in dubbio. E quindi ci potrebbe essere tanto per gradire un derby tutto azzurro tra quarantott’ore proprio tra i nostri due migliori tennisti azzurri. Perché, come ha lasciato capire il campione serbo dopo l’estenuante sfida con Musetti, non andrà alle Atp Finals e gli lascerà il suo posto come prima riserva e primo avversario di Sinner all’Inalpi Arena gremita sino all’ultimo dei 15.657 posti a sedere. Per la gioia dei bagarini che devono campare anche loro in questo mondo di ladri.

Però, già che ormai ci sono, possono anche darvi un consiglio e una notizia al volo promettendovi che da lunedì comunque inizierò a leggere avidamente “Una montagna di soldi” di cui poi vi saprò dire. Mentre voi, già che ci siete, potreste comprare un terzo libro in libreria che vi consiglio: “25 minuti di felicità…senza mai perdere la malinconiad’Enzo Iacchetti, con due ci e due ti mi raccomando. Lui ci tiene. Iacchetti con Ezio Greggio sono di gran lunga l’accoppiata vincente da una vita, e più esattamente dal 1994, di Striscia la notizia di Antonio Ricci, il re indiscusso della satira televisiva. Ma mai avrei immaginato che ti lasciasse a bocca aperta quando interviene a Cartabianca, il talk show politico del martedì di Bianca Berlinguer assieme a Mauro Corona che a volte può piacere, a volte meno. A me comunque non dispiace. Meraviglierete: tu che guardi Rete 4? E’ vero, ma per Iacchetti ho fatto un’eccezione passando davanti alla tivù in soggiorno, che è a esclusivo uso e consumo della Tigre, e sedendomi accanto a lei sul divano rimanendo incantato dalle idee decisamente di sinistra del sorprendente conduttore di Castelleone dalle parti di Cremona.

Dopo il consiglio letterario la news di basket che di recente ho un po’ trascurato, ma tranquilli (al plurale!): saprò dalla settimana prossima abbondantemente rifarmi. Intanto la volta scorsa ho sbagliato, come mi succede di rado, il pronostico di Reggio Emilia-Treviso.  Da presuntuoso quale sono nella pallacanestro, e posso permetterlo visto cosa ho intorno, avevo scritto che G.M.P. potrebbe volare alla Una Hotels dell’ambiziosa Veronica Bartoli se l’altro giorno avesse perso in casa con la Nutribullet. “Impossibile”. Difatti la squadra del signor Rossi Alessandro ha vinto la prima partita di questo campionato d’un solo punto (88-89), molto meglio di niente, con tre tiri liberi di Kruitze Pirkins come mi hanno raccontato e non so se sia vero. Dal momento che non ho visto nessun match della frammentata e incasinatissima sesta giornata infrasettimanale che si completerà tra qualche giorno, non chiedetemi quale, con Trieste-Tortona. E comunque meglio ancora per P(r)ozzecco che potrebbe andare molto prima del previsto ad allenare Reggio Emilia che domani viaggia a Bologna e tra otto giorni se la vedrà con la Reyer di cui mi raccontano meraviglie. Staremo a vedere. Intanto LBA TV, la tivù della Lega, si continua a non vedere – paradosso dei paradossi – in televisione e nessuno dice niente. E io pago! Mentre continua la rivoluzione di Claudio Coldebella che, prima d’accasarsi al Maccabi di Tel Aviv, ha convinto gli amici di Treviso e di Tortona, che presto inserirò pure loro nella Banda Osiris, a far fuori Umberto Gandini sostituendolo con Maurizio Gherardini. E giusto oggi ha provveduto a promuovere il suo amico di vecchia data, Stefano Valenti, dalla A2 alla serie A in qualità di direttore della comunicazione della Lega al posto di Maurizio Bezzecchi che – beato pure lui – dal 31 dicembre andrà in pensione. Togliendosi dai casini e lasciando il buon Valenti con Mammoletta Mamoli e  Iena ridens Bassani che gli soffiano sul collo e preparano il ritorno in pompa magna di Ciccioblack Tranquillo come vice dello stesso Coldebella prossimo presidente nella sede di viale Aldo Moro a Bologna. In una delle due torri dei Somarelli della palla nel cestino.