La Virtus non è più forte della Reyer ma gioca assai meglio

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Stamattina sarei rimasto ancora molto volentieri a letto. Sotto le coperte e con la boule d’acqua calda ai piedi. Ma vi avevo promesso di tornare a scrivere con una certa qual frequenza se non proprio tutti i santi giorni, almeno tre o quattro volte a settimana. E allora mi sono fatto la barba, che mi sta ricrescendo pelo dopo pelo, e poi la doccia con l’olio detergente per togliermi quel rompipalle di prurito di dosso. Non saranno state neanche le nove e mezza di una domenica senza luce e senza cuore. Già ieri ho saltato di scrivere, e ne avrei invece anche avuto voglia, però ho dovuto cambiare il computerino. Al quale ero particolarmente affezionato. Però era ormai superato e troppo lento, persino più di me alla macchina per scrivere. Quando, se viaggio oltre la media di una riga al minuto, mi sembra già d’essere più veloce della luce. E non sto esagerando. Difatti ricordo come fosse ieri, e invece sono passati quarant’anni, la mia prova scritta durante la settimana di Pasqua agli esami di stato di Roma per diventare giornalista professionista. Avevo tre ore di tempo per buttar giù una settantina di righe sul toto-nero che era all’epoca il mio pane quotidiano sul Giorno. Dove sullo scottante e clamoroso argomento di grandissima attualità il vicedirettore Angelo Rozzoni mi faceva scrivere, spesso e volentieri, anche in prima pagina nonostante fossi ancora un praticante, ma ero un buon cane da tartufo già innamorato del mestiere e la mia piccola Ritmo conosceva ormai a memoria la strada che portava a Milanello. Tanto, che se anche avessi preso sonno, l’avrei raggiunta lo stesso. All’inizio della primavera dell’80 erano finiti ammanettati a San Vittore, oltre al presidente del Milan, Felice Colombo, anche Ricky Albertosi e Giorgio Morini, e con loro pure Cacciatori, Wilson, Giordano e Manfredonia della Lazio e altri sette calciatori di serie A. Qualche mese più tardi la giustizia sportiva retrocesse in serie B Milan e Lazio e squalificò Paolo Rossi per ben due anni. Ebbene, tornando a noi, consegnai per ultimo il mio elaborato alla commissione d’esame che mi aveva concesso – meno male – di sforare d’un quarto d’ora: l’aula magna era ormai vuota e mi vergognai comunque come una lumaca nuda, cioè sgusciata, della mia spaventosa lentezza. Magari di quel che vi ho raccontato andando serenamente indietro con la memoria non ve può interessare di meno. E chi se ne importa? Questo è il mio Scacciapensieri del dì di festa: prendere o lasciare, fate un po’ come volete. Se invece vi andrebbe di sapere piuttosto se ieri sera sono stato al Taliercio, vi dico subito di sì e poi anche ve ne parlo. Ma prima concedetemi di precisare che passai a pieni voti lo scritto e pure l’orale, mentre altri grandi firme (e non sono poche) del giornalismo sportivo italiano e internazionale, di cui per il momento non mi gira di sputtanarle, dovettero rifare l’esame anche altre due o tre volte. E ancora: per me Paolo Rossi era innocente come Enzo Tortora e come ha ribadito nella sua gradevolissima autobiografia (Quanto dura un attimo) nella quale assieme alla seconda moglie, Federica Cappelletti, racconta “i due anni più duri” della sua vita. Era un idolo e fu squalificato. Ma tornò e diventò il Pablito del Mundial di Spagna ’82, la pagina più bella della storia del nostro calcio. Nella quale ho scritto qualche riga anch’io: leggi silenzio-stampa. Mi sono fatto anche la Jaguar. E pure nera. Che mi arriverà in settimana. Si vive una volta sola: l’ho imparato da Sinisa Mihajlovic. Che pure un tempo detestavo. Forse perché adesso siamo sulla stessa barca. O quasi. Lui su uno yacht, io su una gondola. “Ora non ho bisogno di fermare il tempo perché mi godo ogni momento della vita. E mi capita anche di piangere, ma mi fa piacere”. Quanto è vero! Qui il punto esclamativo ci vuole. E anche un bel “cazzo!” non stonerebbe. Checché ne pensi Gianni Mura. Soprattutto dopo un’altra frase forte strappata all’allenatore del Bologna da Andrea Di Caro (Sportweek): “Anche una malattia così bastarda, quando la superi, ti lascia qualcosa di benefico come il piacere di riassaporare la meraviglia delle piccole cose”. Come incontrare Claudio Pilutti con Massimo Iacopini prima di Reyer-Virtus e ricordare insieme del ventenne Pilu che il mitico Alì Babà Celada cedette a Bepi Stefanel  (Trieste) per un miliardo di lire nel 1988. Si racconta anche nei bar di Basket City che il mestrino preferì la Fortitudo alla Virtus, ma questa è forse solo una leggenda metropolitana: certo è invece che nel 2000 vinse lo scudetto da capitano della Effe scudata di Re Carlo Recalcati e di Basile, Myers, Jaric, Fucka e Galanda. Altri tempi. Ai tempi di Ray Sugar Richardson e Clemon Tavor Johnson si diceva anche che “al boun l’è Cleter”. Mentre oggi alla Segafredo tutti van matti per Milos Teodosic, e non fanno molta fatica, anche se Stefan Markovic (nella foto opposto a capitan Bramos) è forse meglio ancora perché, quando prende per mano la squadra come ieri sera, fa giocare bene anche Hunter (17) e Gamble. Difatti mi sbaglierò, e non è nemmeno una questione di “fisicità”, che oltre tutto è un termine cestistico orribile, ma se la Virtus di Zanetti ha affondato nella ripresa la Venezia di Brugnaro non è stato perché è più forte, ma perché Djordievic, al contrario di De Raffaele, ha due teste pensanti che nel basket volgarmente si chiamano playmaker o guardie. E così ha stravinto nonostante l’1/11 nelle triple der Monnezza plavo, mentre Julyan Stone dall’altra parte non ha acceso neanche un fiammifero e Ariel Filloy per una buona che per sbaglio ha indovinato ne ha poi sbagliate almeno tre. Non è bastato il super capitano greco (21) così come non basta l’acquisto di Goudelock, fortemente rischioso, o la doppia doppia (10+10) di Mitchell Watt che con la maglia delle vu nere e gli assist di Markovic (ieri 9) e Teodosic (7) sarei pronto a scommetterci che segnerebbe una doppia dozzina di punti a partita con le bende agli occhi. Serve il coraggio di cambiare. Recuperando anche moralmente Tonut e rimettendo mano al portafoglio per prendere un fior di play. Ci siamo? Quasi. L’ho fatta di nuovo lunga e difatti questo Scacciapensieri vale anche per domani. Però ora cominciano le partite del pomeriggio su Eurosport Player e non ho ancora visto gli altri due anticipi del sabato sera dei quali ignoro il risultato finale. Stasera poi c’è Napoli-Juve: me ne stavo quasi dimenticando. Come la bella storia dell’Angelo Gigli, due e 11, nato in Sudafrica, gran brava persona, 108 partite con la nazionale azzurra, un’anca probabilmente da rottamare, che va avanti e indietro dal lago di Garda per non giocare nemmeno un minuto secondo in promozione con la premiata Ghepard di Bologna di Pigi Rossi, detto il Biondo, ma solo per il piacere di stare con i ragazzi e cenare insieme festeggiando il primo posto in classifica. Questa è l’autentica Basket City. Altro che la Fossa dei Leoni o Morticia Baraldi che chissà perché non si fa più vedere in Prato della Valle o in Piazza dei Signori a Padova: forse perché gli ultras del calcio lo circonderebbero col loro affetto?