L’Armani è il muto che dice al sordo che un cieco lo spia

 

 

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Silvio Berlusconi più volte ha giurato sulla testa dei suoi figli di non aver mai portato a letto la nipote minorenne di Mubarak. E devo per forza credergli perché Barbara, Pier Silvio, Marina, Luigi e Eleonara scoppiano tutti e cinque di salute. Però lasciatemi almeno cogliere la palla al balzo e così adesso posso tornare serenamente a parlare dell’Armani dopo che solo ieri avevo giurato che non mi sarei più interessato delle scarpette rosse prima del nuovo anno. In verità sarei stato anche di parola se, facendo un piccolo salto indietro, la partita di A2 tra Treviso e Piacenza mi avesse offerto gli spunti per un articolo di satira brillante. E invece una volta ricordato che Piacenza è in attacco una spaventosa macchina da guerra in grado nel primo periodo di sparare 14 tiri da due punti e 10 da tre realizzando un solo canestro da sotto con Borsato e una tripla per sbaglio (di tabella) con Hasbrouck, l’ex di Virtus e Cantù, non credo di dover aggiungere molto altro. Se non chiedermi come faccia ad essere la quarta forza del campionato una squadra che ha comunque una vittoria in più della magnifica Fortitudo di Matteo Boniciolli, Stefano Mancinelli e Michele Ruzzier. Che di Boniciolli è il nipote e che ieri sera contro Udine non ha segnato nemmeno un tiro libero. Tornando a bomba, l’Armani è come quella battutaccia di Carlo & Giorgio, straordinari comici veneziani, che mi fa sempre ridere e che racconta di un muto che dice al sordo che un cieco lo sta spiando. Perché nessuno può arrivare a credere che sia possibile una cosa del genere. Ovvero che la Milano dei milioni su milioni, come la stella di Negroni, sia stata capace di perdere otto partite di fila in un’EuroLega che il padrone dell’EA7 aveva sperato di vincere. Tutti ne parlano e nessuno li ascolta. Gelsomino resta al suo posto e Proli non fa una piega. Anche se eccezionalmente stavolta gli devo dare ragione: non si cambia tanto per cambiare e caso mai si doveva cambiare prima. Quando? Il giorno dopo la sparata di Repesa a Torino. Era il 6 novembre e l’Armani aveva comunque vinto (100-97) in casa della Fiat. “L’Olimpia ritrova Raduljica” titolò quel lunedì Mamma Rosa. Pensa un po’. Ma il Cinghialone, che nessuno ha mai licenziato, e non è difficile scoprirne il motivo, sparò a zero nel mucchio per colpire uno solo: Alessandro Gentile. Riascoltiamolo ordunque insieme. “Vedo i miei giocatori che non piegano le gambe in difesa e pensano esclusivamente a sistemare le cifre in attacco per le proprie statistiche individuali”. E non ce l’aveva di sicuro con Bruno Cerella che si piega talmente sulle gambe che sembra sia sempre seduto sul water. “Ho troppo orgoglio per vedere il mio nome accostato a questa squadra”. Se ne vada allora: cosa aspetta? Questo avrebbe dovuto subito dirgli il presidente che ben sa lo sproposito che guadagna il suo allenatore, legato all’Armani sino a giugno del 2018, e quanto sia pidocchio il Gelsomino piangente che nessuno l’ha mai visto offrire un bicchier d’acqua di rubinetto. Tanto che, al confronto, Dindondan Peterson è uno spendaccione. “E se comunque qualcuno dei miei giocatori ha offerte da altri club, del che dubito, può per me andarsene anche domani”. Con chi ce l’avesse è sembrato chiaro al mondo, ma siccome stiamo parlando di una società cieca, sorda e muta lo dico io: con il figlio di Nando che la scorsa estate sarebbe assai volentieri volato tra le braccia di D’Antoni, se Michelino non fosse anche lui un Banda Osiris (con tutti i relativi difetti della confraternita di Ciccioblack Tranquillo), o tra quelle di Pascual se il suo attuale allenatore fosse rimasto a Barcellona. E invece cosa rispose Proli all’ArLecchino della Gazzetta che gli chiedeva cosa ne pensasse dello sfogo improvvido e stranito di Repesa? Clamorosamente che lo condivideva in pieno. Difatti qualcuno dell’entourage di Gentile non ha fatto poi fatica a ipotizzare che Gelsomino avesse parlato per conto del Livido. Che difatti neanche un mese dopo ha invitato lo scugnizzo di Maddaloni a trovarsi in fretta un’altra squadra. Che non fosse per carità la GrissinBon e che non avrebbe mai immaginato diventasse il Panathinaikos. Senza dargli alcuna logica spiegazione. Della partita con lo Zalgiris non posso invece dirvi ancora niente perché non sono Ciccioblack, cioè un dio in terra, e, essendo al Palaverde, gremito all’inverosimile, non potevo allo stesso tempo stare davanti alla televisione. So solo che l’Armani ha perso di nuovo e che il presidente a Pietro Colnago della povera e affranta Sky ha confermato che la strada intrapresa dalle sue scarpette rosse non è detto che sia proprio sbagliata e che comunque non la cambierà sino alla fine della stagione per nessuna ragione al mondo. Contento lui, lo ripeto: contenti tutti. Anche perché, restando Gelsomino, qualche speranza di fare lo sgambetto ai milanesi anche in Italia comincia ad affiorare negli animi coraggiosi dei veneziani e dei reggiani. E forse pure degli irpini di Sacripantibus. Ma di questo non possiamo che essere tutti a grati a Proli e a chi sta sopra di lui. Cioè a Giorgio Armani che avrebbe però voluto tanto vincere l’EuroLega prima di compiere novant’anni. Magari ancora con Alessandro Gentile. E avanti con il tormentone. Se volete anche domani. Mentre i giornalisti riposano. Perché io sono un pennivendolo: non dimenticatevelo. Che ci tengo.