Bertomeu manager della Lega: ci manca solo questa

jordi

Ho fatto l’altro giorno un esperimento. Il teatro era pieno di gente in attesa di “Arsenio e vecchi merletti”. Con Ivana Monti e Paola Quattrini. Ma anche, se più vi piace, così tanto per restare in tema, con Claudia Angiolini e Paola Ellisse. Quando ho preso coraggio a due mani e sono salito sul palcoscenico, ho afferrato il microfono e ho domandato alla platea incuriosita da quel pazzo scatenato coi capelli bianchi: “Alzi una mano chi sa chi sia Jordi Bertomeu?”. Ebbene, vi ricordate come si faceva a scuola quando l’insegnante zitella di storia e filosofia buttava l’occhio su tutta la classe e diceva minacciosa abbassando gli occhiali sulla punta del naso: “Vediamo un po’ chi posso interrogare oggi”? C’era chi lentamente provava a scivolare sotto il banco e regolarmente beccava sulla zucca lo spigolo del tavolino. O si nascondeva dietro le spalle di quel compagno che non era una cima, ma aveva per fortuna un capoccione da far paura. Ecco, è successa più o meno la stessa cosa. Nessuno nella sala sapeva chi mai fosse questo benedetto Jordi Bertomeu. E se ne vergognava da morire. “Eppure la Gazzetta dello sport lo intervista almeno una volta al mese”, ho provato a aiutarli. Niente da fare. “No, non è francese e non è neanche un famoso cuoco”. Come parlare arabo. “E allora ve lo dico io: è un catalano di Barcellona che dall’inizio di questo millennio è il numero uno dell’Eurolega di basket”. Avessi detto? Se non scappo in fretta, mi linciano dopo avermi coperto d’insulti e di uova marce. Mi diverto un sacco – è vero – a raccontarvi queste storie che m’invento e che sono anche abbastanza stupide, ma non poi così banali come sembrano. Questa per esempio avrebbe l’intento di convincervi che in fin dei conti il nostro della pallacanestro è un mondo non più grande di un bicchier d’acqua nel quale però si rischia d’affogare se tra noi ci si prende troppo sul serio. E invece ecco che quello non mi saluta più perché lo chiamo Iena ridens e minaccia persino di querelarmi. Dio mio, tremo dalla paura. E quell’altro che s’offende perché, quando pugnala alle spalle Dindondan Peterson o l’amato cittì Pianigiani, mi sembra il Gufo con gli occhiali della famosa canzoncina di Gianni Morandi. Me lo compri papà? No. Neanche se frigni sino a domani. Piuttosto mi domando: ma chi è mai questo signore catalano che ogni due per tre sulla Gazzetta ci tira le orecchie sostenendo che non abbiamo né idee, né progetti, né impianti, né grandi città (“a parte Milano”) coinvolte nel basket, e magari si dimentica d’aggiungere che siamo soprattutto un Paese di calciofili in crisi e senza soldi? Quale soluzione poi propone per risollevare le sorti del nostro baraccone che sta in piedi per miracolo? “Bisogna innanzi tutto migliorare la qualità della produzione televisiva” si raccomanda e allora lo mandate voi a quel paese Bortolomeu, o come cavalo si chiama, prima che lo faccia io cantandogli la filastrocca di Alberto Sordi? Ma lo sa, o finge di non saperlo, che le partite su Sky a mezzogiorno non raggiungono mai come punta massima i trentamila contatti? E Sky potete anche non vederla, ma siamo seri: offre sempre un prodotto di qualità anche nella palla nel cestino. Semmai è vero il contrario, caro il mio Bertomeu: le dirette di basket sulla Rai infatti non sono nulla di che, però il derby Milano-Varese ha pur sempre fatto duecentomila telespettatori e la finalissima dell’ultimo scudetto quasi un milione e mezzo. Eppure non c’è in serie A un palasport più indecente di quello di Reggio Emilia a parte il mitico Pianella di Cantù. Così come non mi risulta che Sassari sia una metropoli: difatti se ha un decimo degli abitanti di Milano sono già tanti. Eppure il PalaSerradimigni è sempre pieno. Come del resto il Forum, d’accordo, ma i tifosi delle scarpette rosse non hanno mica tutte le rotelle al posto giusto se tra loro non sono pochi quelli che ancora pensano che l’EA7 sia quest’anno più forte del Cska di Teodosic e De Colo o del Real Madrid di Ayon e Nocioni o del Fenerbahce di Obradovic e Datome o dell’Olympiacos di Spanoulis e Hackett. Dimenticando il Panathinaikos, il Maccabi e il Barcellona. E aggiungeteci pure il Bamberg di Gas Gas Trinchieri e di CamoMelli. Insomma tra le prime otto dell’Eurolega ci s’infila solo se un cammello passa anche attraverso la cruna di un ago. Tornando a Bertomeu, io so dove vuole arrivare il catalano con gli occhiali. Visto che la Fiba l’ha sbattuto all’angolo del ring e lo vorrebbe già al tappeto, punta – è lapalissiano – a diventare il commissioner della nostra Legabasket dopo che ha sentito Livio Proli affermare che è giunta l’ora d’accantonare “il pur bravo presidente Marino” e di sostituirlo con “un manager forte e autonomo”. Peccato che il catalano sia magari anche un genio, ma è legato mani e piedi ai capi storici della Confraternita, ex Banda, dell’Osiris che il braccio destro di Giorgio Armani non può vedere dipinti neanche sui muri dei vespasiani di Piazzale Lotto e di San Siro. E ha ragione da morire.