18 maggio, domenica Guardavo la partita e non ho smesso un solo secondo di pensare a lui. Venerdì sera al Taliercio. Metà pieno e non all full perché l’altra metà se l’era tenuta ben stretta ancora una volta il sindaco Luigi Brugnaro. Per farne cosa? Chissà chi lo sa. Tra tanta gente di Mestre che non vedevo da tempo così numerosa nel palasport della palla nel cestino che un po’ mio lo sento. Avendolo inaugurato con una diretta-fiume e il derby tra le squadre dei miei indimenticabili amici, il Paron Tonino Zorzi e il caro Roberto Zamarin, vinto incredibilmente e nettamente dalla Vidal del gruppo Montedison. Nell’inverno del ’78 quand’ero direttore di NovaRadio e non esistevano ancora le tivù private se non in ambito regionale. Già Silvio Berlusconi, pace all’anima sua, scalpitava e un anno dopo avrebbe infatti fondato Telemilano UHF 58 montando le antenne (abusive?) di Adriano Galliani sul grattacielo Pirelli e strappando alla televisione di Stato Mike Bongiorno, Corrado e Loretta Goggi, Sandra Mondaini e Raimondo Vianello. Oltre a Claudio Cecchetto e a Massimo Boldi, Barbara D’Urso e Diego Abatantuono. Tanta roba, profumatamente pagata. Lo so bene. In quanto anche a me l’ex pregiudicato d’Arcore ora beatificato dal regime di Pinochet, pardon di Pinocchio, m’invitò a bere un tè con lui nella sede milanese di Fininvest e nell’occasione mi offrì l’opportunità d’affiancare Rino Tommasi a Canale 5 nella gestione del Mundialito di calcio per club. Cortesemente rifiutai. Non subito, ma tre giorni dopo. E ancora adesso non so se feci male. Forse no. Di sicuro sbagliai a dire “no, grazie” anche a Giampiero Boniperti che mi voleva alla Juventus come capo ufficio-stampa dei bianconeri che avevano appena vinto il 22esimo scudetto con il 2-3 di Lecce e i gol di Massimo Mauro, Antonio Cabrini e Aldo Serena. E 36 gradi all’ombra.
Scusatemi, mi stavo di nuovo perdendo nell’immenso mare dei ricordi in verità più dolci che amari nei quali – tranquilli – comunque non affonderò nemmeno zavorrandomi con tonnellate di panna montata tutta bolognese, ma se oggi scrivo, e oggi è il 16+1 di maggio, non so se mi spiego, e per fortuna è sabato e non venerdì, lo faccio per la prima volta in vita mia soltanto perché ieri al tramonto ho saputo di John W Effe e non volevo crederci. Guardavo Mattia Ferrari agitarsi sulla panchina della Gemini in gara 3 contro Montecatini e non riuscivo a non pensare a quante volte il grande John mi chiamò lo scorso fine novembre per sapere cosa aspettava Mestre a prendere Mattia una volta che si era liberata la panchina di Cesare Ciocca che era anche un suo preferito. Come del resto Paolo Piazza, il buon tecnico di Legnano, pure lui impegnato in questi giorni nei quarti di finale dei playoff per salire in A2.
Erano amici di Big John tutti quelli che stravedono come me per la palla nel cestino. Non dico con la sua stessa passione perché sarebbe stato impossibile. Ma almeno un cincinin di quanto lui ogni giorno la amava intensamente. Gli volevo molto bene. Nel mio piccolo. Anche se, paradosso dei paradossi, non ho mai avuto il piacere d’incontrarlo e di poterlo abbracciare. Magari solo per attingere qualche goccia dal pozzo della sua immensa conoscenza del basket che aveva a qualsiasi livello. Dall’EuroLega che seguiva a Montecarlo ai campionati dilettanti o giovanili nei campetti di periferia. Eppure ci sentivamo spesso, almeno un paio di volte a settimana, e ci raccontavamo tutto. Dividendo anche la nostra comune intolleranza per la monotematica regular season della Nba e per Flavio Tranquillo che pure John, ovviamente, chiamava Ciccioblack.
Dal giugno del 2018. Ricostruisco proprio ora quel pranzo nel quale ricordo che parlai tanto e mangiai poco. Del resto ero a tavola coi quattro amici allenatori, che avevano seguito Rocco nei suoi primi passi di pallacanestro, alla fine dei magnifici quindici giorni dell’EuroCamp di Cesenatico. Nei quali sarò ingrassato almeno tre chili affogando nelle tagliatelle al ragù e nei tortelli romagnoli di Liberio, tifosissimo della Fortitudo. Mio nipote non aveva ancora otto anni: era il più piccolo dei 280 ragazzini dei corsi di basket, il cocco – lo confesso – di Pilla Pillastrini, Alberto Morea, Mattia Ferrari e Riccardo Eliantonio. Fu proprio il coach oggi d’Omegna che mi passò al telefono John. “Non lo conosci?”. No, mi spiace. “Non è possibile: John sa vita, morte e miracoli di te. Ed è un tuo incredibile fan”. Passamelo allora. E lui, emozionato, per prima cosa mi disse: “Sei il mio numero uno da quando leggevo al lunedì sul Giorno il tuo Basket nel Cestino, il Tormentone e l’Intervista immaginaria”. Snocciolandomi poi tutti gli appellativi che do da quarant’anni ormai ai personaggi del nostro basket. Insomma mi conosceva più di quanto mi conosca io. Un mito. Una enciclopedia vivente di pallacanestro. Una magnifica persona che mi mancherà tanto.
Peccato che non ci sia mai stata l’occasione neanche di prendere un caffè insieme. L’avrò invitato almeno cento volte a mangiare il pesciolino di laguna al Leone di San Marco o alla Baracca di Preganziol, ma era troppo nelle sue faccende (con entusiasmo) affaccendato tra il Principato di Monaco, dov’era di casa, Desio e Bordighera, dove solamente ieri ho saputo da Piazza che aveva un’altra abitazione, per ipotizzare che magari un giorno mi avrebbe sussurrato ad un orecchio per quale squadra e per quale allenatore veramente tifava. Lo potrei indovinare, ma non lo voglio fare per non deludere nessuno dei coach che affettuosamente frequentava. Dio solo sa quanti e comunque del poker di cui vi ho prima parlato tre dei quattro oggi giocheranno i quarti dei playoff. Pillastrini con l’incredibile Cividale a Forlì per tentare l’ennesimo miracolo. Di nuovo Ferrari al Taliercio per la rivincita con la T-Gema Montecatini che venerdì s’è imposta per 79-72 nonostante i 20 punti a testa di Giordano e Aromando, ma stasera Marco Del Re, vincitore della Coppa Italia, non disporrà del forte pivot Bedin, mentre Eliantonio affronterà ad Omegna l’altra Montecatini, quella di Mario Boni e Andrea Niccolai dei tempi d’oro, con l’obiettivo di chiudere il conto e volare sul 3-1 in semifinale. Alberto Morea, il vice di Vitucci alla Nutribullet, aspetta invece come Frank di sistemarsi da qualche parte. Magari alla Reyer se ancora comandasse Brugnaro. Ma non farà comunque fatica a trovare una squadra. Almeno lo spero, altrimenti non saprei proprio più cosa pensare di questo basket che sta andando in malora e nessuno fa niente per risollevarlo.
L’aficionado, e ne ho tanti, checché ne dicano, come mi ripeteva ogni volta Big John W Effe, che di cognome faceva Formenti ed è stato anche un discreto giocatore nelle giovanili di Desio, si sarà senz’altro accorto che sono saltato di ventiquattr’ore da sabato a domenica senza far quasi rumore, però non potevo datare il pezzo 16+1 di maggio per chi è nato il 13 di agosto e un po’ superstizioso lo è anche. Non come Max Chef Menetti, ma poco ci manca. Scherzi a parte, ve l’ho già detto: non scrivo più la sera altrimenti poi faccio una fatica boia a prender sonno e quindi ho preso l’abitudine di buttar giù i miei poemi in due tappe. Per la verità ho anche provato ieri pomeriggio a sbattere freneticamente (?) i polpastrelli sui tasti del piccì girando le spalle alla televisione, ma non ce l’ho fatta a non andare a vedere ogni due secondi cosa stesse combinando l’Armani di Mannion e Tonut, Shields, Mirotic e Nebo sotto di 9 punti (11-2) dopo un paio di minuti a Trento con l’Ettore Messi(n)a che già dava i numeri con gli arbitri rischiando di buscare subito un sacrosanto tecnico.
E così ho cambiato canale o, meglio, registrazione su Sky e sono passato al G(h)iro d’Italia che si può anche non guardare sino all’ultimo chilometro perché prima della volata finale – lo dico in rima – è di una noia mortale. Però non mi è scappato, ad essere sincero, di leggere ieri al volo un cartello a bordo strada maldestramente inquadrato da un cameraman che sarà senz’altro licenziato mentre la maglia rosa, Mads Pedersen, sulla famosa salita del cazzo di Tagliacozzo, si è impiantato e non so quanti minuti ha beccato al traguardo. Poco importa. Piuttosto sapete cosa c’era scritto sul cartello abruzzese: “Cairo vattene!”. Come si fa a dargli torto? Ma dal Torino o dal Giro? Da entrambi mi è stato risposto. Evviva. Mentre sono venuto sapere che Pedersen, vincitore di ben tre tappe su sei, ha chiuso la sua fatica all’ultimo posto e ora in classifica è 86esimo a 38 minuti e mezzo da Diego Ulissi. Sinceri complimenti all’ex maglia rosa che viene dalla Danimarca e per me può tornarci anche domani.
Scriverò presto delle meraviglie del nostro tennis e in particolare della stupenda Jasmine Paolini che ha fatto il bis pure nel doppio con Sara Errani, come ha raccontato Antonello Venditti a Mara Venier che, se la domenica si facessero i cavoli loro e andassero ai monti o al mare invece di spettegolare su Raiuno, sarebbe molto meglio per il mondo intero. Difatti vedere una partita di qualsiasi sport conoscendo già l’esito finale è una delle cose peggiori che ti possano capitare se sei un pazzo scatenato come me che si registra anche il tiro al piattello e guarda l’evento televisivo quando più gli pare e piace. Sprofondato in poltrona. Come farò dopo che avrò finalmente finito di buttar giù, esausto, questo articolo. Intanto ho spento il telefonino sino a domani e la televisione sull’3-3 tra Jannik Sinner e Carlos Alcaraz per le stesse ragioni per le quali non so ancora il risultato di Trento-Milano e men che meno quelli di Trapani-Reggio Emilia e Brescia-Trieste che si sono disputate ieri. Né stamattina ho letto i giornali che sono più chiacchieroni di Antonello e Zia Mara. Né andrò a vedere gara 4 al Taliercio che comincia tra meno d’un’ora. Tanto stavolta vincerà la Gemini di Mattia Ferrari che andrà a giocare la bella delle belle mercoledì al PalaCarrara di Pistoia. Dove potrei anche fare un salto. Vedremo. Rispettando i limiti di velocità: sia chiaro.
Dimenticavo: non ho ancora giustificato la foto che Filippo, il mio paziente blogger, ha postato su Mors tua vita Pea. Proprio una bella foto della simpatica curva alla sinistra della tribuna laterale che ho scattato lunedì a Sant’Elena durante Venezia-Fiorentina 2-1: “Var…emengo!”. Uno striscione che meriterebbe il primo premio a Striscia lo striscione di Cristiano Militello se anche fuori dal Veneto lo capissero. Insomma “Va a remengo Var!”. Vi è chiaro adesso il succo del discorso? Non ancora? E allora ve lo spiego io. Santa pazienza. Gli ultras arancioneroverdi si lamentano per il pessimo trattamento ricevuto in questa stagione dal Var. E non hanno tutti i torti. Il Venezia di Eusebio Di Francesco è stato infatti trattato dall’acronimo di Video Assistant Referee addirittura peggio della Juventus, vittima predestinata del Var in quanto creato apposta dall’Inter per mettere fine alla serie di scudetti consecutivi dei bianconeri. Che si sono fermati comunque a nove e furono tutti rubati, questo è certo, come sosteneva anche quell’odioso dell’Aurelio De Laurentiis che nemmeno il Conte Antonio confessa di riuscire più a sopportare. E c’è da capirlo. Però che lo gridassero forte persino i tifosi del Bologna, indifferentemente virtussini o fortitudini, che sanno sempre tutto loro affollando gli spalti del Tony Dall’Ara, mi ha fatto parecchio sorridere. Anche perché cosa dovremmo dire adesso del Var che non è intervenuto per segnalare al pessimo Maurizio Mariani di Aprilia che gli interventi di Beukema (gomitata allo stomaco di Gabbia) e di Fergusson (falciata plateale ai danni di Leao) dovevano essere puniti nel finale del primo tempo, ancora sullo 0-0, con il cartellino rosso per gioco violento. Io non lo farei e non lo farò mai: perché dovrei infatti rovinare la festa a migliaia e migliaia di bolognesi in delirio per la conquista della Coppa Italia che non vincevano, mi sembra, da almeno un secolo? Però se i rossoneri si lamentassero dell’arbitro, e non del povero Leao, avrebbero forse torto?
Un’ultima cosa, lo giuro. Dedicherò senz’altro un capitolo del libro che andrò a scrivere quest’estate, “Una per tutti”, al grande John che da Montecarlo mi spedì la foto della prima volta di Francesco Totti beccato in piscina con Noemi Bocchi che il Corriere della Sera ci avrebbe pagato a peso d’oro. Mentre è inutile che gli racconti che il padrone di casa di Gelsomino Repesa gli ha cambiato la serratura del portone d’ingresso dell’appartamento di Trapani: “Mi spiace, ma Valerio Antonini non mi paga l’affitto da settembre”. John lo sa già. Così anche che Citofonare LaMonica non sarà riconfermato l’anno prossimo alla guida del settore arbitrale. Al suo posto si fanno i nomi di Cerebuch, Begnis e Paternicò che finirà di fischiare al termine di questi playoff. Dove è assai probabile che arbitrerà una delle finali tra la Virtus e Brescia. Come mi suggerisce il cuore più della crapa. Punto e non accapo.