Nicola Colli, il primo oro di Rio, e l’ultimo tedoforo

pellegrini olimpiadi

Per fortuna da qualche minuto si gareggia per le medaglie della prima Olimpiade sudamericana. Tutti in bici a Copacabana. Il percorso è difficile. Il panorama mozzafiato. In piedi l’ultima salita. Da ripetere tre volte. Dicono quelli che se intendono che il favorito sia Vincenzo Nibali. Spero che per una volta abbiano straordinariamente ragione. Certo è che lo Squalo dello Stretto dovrà staccare tutti e arrivare solo al traguardo. Perché altrimenti in volata è una pippa e perderebbe anche da me sulla Graziella. Ero anche stufo, io come voi, di tante chiacchiere. Alla scoperta di un Brasile che è così grande da perdersi facilmente in fiumi e fiumi di retorica. Prima ancora di raggiungere e di smarrirsi nelle foreste dell’Amazzonia. In fondo è un Paese molto più scontato di quel che si creda. E Rio de Janeiro non è il Brasile. Basta capire questo. E riesci magari a conoscerlo. E amarlo. Perché è joia, alegria, felicidade. E’ fantasia, colore, musica. Come la cerimonia d’apertura dei suoi Giochi. In una parola sola: semplicemente una Maravilha. Con la emme maiuscola. Per la coreografia di Marco Balich che ha nelle vene sangue veneziano. Ma il Brasile è anche miseria, violenza, corruzione, impeachment e voglia di lavorare saltami addosso. Sono anche i meninos de rua che tirano la colla e muoiono come mosche. Cacciati persino dalle favelas. Che non le ha scoperte Franco Bragagna. Questo è poco ma sicuro. Mi sarebbe anche tanto piaciuto che l’oro numero 200 della storia delle nostre Olimpiadi lo avesse conquistato nel pomeriggio Petra Zublasing, subito invece eliminata, che non avesti mai detto che sia nata a Bolzano. Solo per vedere la faccia che avrebbe fatto Matteo Salvini. Come Edith Gufler da Merano che fu la prima italiana a vincere una medaglia (d’argento) alle Olimpiadi di Los Angeles 1984. Nel deserto californiano. E sempre nella carabina 10 metri ad aria compressa. Alla quale chiesi cosa facesse quando non sparava. E lei, timidissima, arrossendo e giocando con le trecce bionde: “Lavoro alla pompa”. Come? “Sì, aiuto mio padre che ha una pompa di benzina”. Ricordi a cinque cerchi: pan di zucchero e nostalgia. Arrivano i nostri, sfilano gli azzurri dietro al triciclo variotinto e alla bandiera dei tre colori. Trovo Federica Pellegrini stupenda, radiosa, felice: finalmente donna. Cerco nel gruppo Nicola Colli che mi dicono sia a Rio come cronometrista. Nicola Colli, detto Carega? E chi sarebbe? E’ di Cortina, ma vi do un consiglio: se potete, accuratamente evitatelo. Così non vi rovinerà la giornata. Che è bella come il sole che stamattina ha sciolto dalle creste delle Tofane la neve che solo ieri le aveva imbiancate. E lo Zika? E’ un terribile mosquito di cui però già più non se ne parla. Visto che in Brasile è pieno inverno e le zanzare sono in letargo. Poteva allora Francesco Molinari inventarsene un’altra di migliore, come scusa, per rinunciare ai Giochi. Neanche lui mi è mai stato troppo simpatico, ma adesso mi è proprio sceso sotto i tacchi e così lo fischio. Come hanno fatto stanotte i brasiliani con il loro presidente ad interim, Michel Temer. Augurandogli pure di sbagliare più putt possibili da mezzo metro su tutti i green della terra. Mi spiace invece che Pelè non sia stato l’ultimo tedoforo, ma il Brasile per una volta non ha voluto essere scontatamente prevedibile come da sempre sostengo io. Però quando la sorpresa è stata Vanderlei Cordeiro de Lima, maratoneta di bronzo,  vi dico la verità: se volevano smentirmi, i fratelli del Pais Tropical ci sono anche clamorosamente riusciti, ma stavolta mi sono sembrati anche un cicinin esagerati.