Tempo di playoff: si predica bene e si resetta male

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La parola che va oggi più di moda nel glossario dei playoff del basket è reset. Di qui il verbo resettare che, se non esisteva nel vocabolario della lingua italiana prima del 1988, ci sarà stata anche una ragione: è davvero orribile. Io resètto, tu resètti, egli resètta. Tutti resèttano. Se lo raccomandano soprattutto in tivù. E guai a chi non lo fa: rischia come minimo che Eddi Denbimsky, o come cacchio si scrive, e Maurizio Fanelli, che assomiglia sempre più a E.T., lo strangolino. Ma anche Alice Pedrazzi e Stefano Michelini, che, stando con gli zoppi, cominciano già a zoppicare, non scherzano. Difatti non passa giorno che anche loro dopo cena non mi blocchino la digestione con questo benedetto reset che a me sta proprio qui. Giusto sul piloro. Che altro non è che l’anello terminale dello stomaco. Né c’è verso che poi mi vada giù: nemmeno con un buon Amaro Averna. Ma il vero dramma è un altro e cioè che, mentre Alice e Stefano si limitano a ricordarcelo una sola volta ogni ventiquattr’ore, Eddi e E.T. invece ce lo ripetono ogni due per tre costringendoci spesso a cambiare canale e a spararci un bel “Affari tuoi”. Che sarà anche tutto quello che volete, ma almeno non si resètta dal 2003. Del resto li capisco: è molto più figo dire che ogni partita dei playoff va resèttata prima del salto della palla a due piuttosto che banalmente sostenere che ogni sfida della post-season fa storia a sé. Ma poi, una volta resèttato il tutto, anche perché si gioca un giorno sì e l’altro no, non si può fare come Dembinsky, o come cavolo si scrive, che, dopo essersi raccomandato di cancellare i dati della partita precedente, attacca subito a macchinetta col riparlare di Drake Diener che segna il canestro dello 0-3 “dopo la panchina di gara 2, nella quale ha raccolto il suo minimo di punti da quando gioca in Italia i playoff, e cioè 4 con 0 su 6 da tre, ed è stato invece il migliore in gara 3”, dove Reggio Emilia ha perso lo stesso, “ma lui ha messo insieme 15 punti e 6 rimbalzi con 3 su 5 da due e 1 su 3 nelle triple, per un totale nel tiro dalla linea dei sei metri e 75 pari al 13 virgola 3 per cento”. Ma si può? Io dico di no. Però poi non lamentiamoci se uno non lo bada e non resètta più, molla il basket e va da Flavio Insinna o a Striscia dal Gabibbo. Che, fateci caso, con o senza occhiali è tale e quale a Riccardo Sbezzi, l’abile manager dei fratelli Gentile e del purosangue Pietro Aradori. Il quale a Cantù si è in verità rifiutato di nuovo di saltare gli ostacoli come i cavalli bizzosi (o fifoni?) a Piazza di Spagna e questo non mi è piaciuto neanche un po’. E presto glielo dirò a quattr’occhi. Se non glielo ha già detto Carlo Recalcati. Che ha la pazienza dei santi, ma non tutti i santi fanno (sempre) i miracoli. Però intanto non facciamo confusione e, tornando a monte, bisognerà anche cambiare i nostri proverbi quotidiani. Non si potrà infatti più dire di uno che predica bene e razzola male. Ma che predica bene e resètta male. O che chi ha paura non vada alla guerra. Ma piuttosto che chi ha paura non vada al Pianella. Dove tuttavia le partite dei playoff non possono essere ogni volta una gazzarra, o una corrida, e diventare fuorilegge. Quanto a Drake Diener, non ha vinto lui la partita di Brindisi. Dove la gente del sud ha insegnato a quella del nord come si accetta la sconfitta e per questo si merita gli applausi di tutta l’Italia della pallacanestro. Ma ieri sera i migliori della Grissin Bon dei giovani sono stati due vecchi lituani: Rimas Kaukenas, 38 anni, e Darjus Lavrinovic, 35 marie e mezza. Così come non solo a LeBron James possono venire i crampi, ma anche a Ricciolino Della Valle, luce dei miei occhi, che sarà domani in campo. Azzerando tutto e ricominciando daccapo. Perché i playoff sono questi e per questo sono misteriosamente affascinanti. Con Reggio Emilia e Cantù favorite come avevo già scritto a biglie ferme e non per farmi bello. Al 55 per cento. Ma mi posso anche sbagliare e non farne un dramma. Regalandovi l’ultimo detto popolare: nel mese di maggio ogni ronzino è cavallo. Come direbbe il grande Boscia Tanjevic. Che ieri sera mi ha telefonato ricordandomi che giusto vent’anni fa è morto Kresimir Cosic. Una leggenda per chi, come me, ha avuto la fortuna di conoscerlo e stimarlo moltissimo: un numero uno in assoluto. Più dell’eroico LeBron James.