Su quel carro dei vincitori trainato da asini non ci salgo

carro

Davvero qualcuno può essere stato sfiorato dal dubbio che ieri sarei salito sul carro dei vincitori trainato da un paio d’asini di giornalisti (vedi foto, ndr) per celebrare lo scudetto del basket come ha fatto l’ultrà intertriste Giorgio Specchia nel suo imperdibile fondino sulla Gazzetta? Allora è proprio vero che non mi conoscete ancora a sufficienza. Anche se nemmeno io avrei mai pensato di passare una domenica ugualmente serena e felice in compagnia di due splendidi ragazzi come Matteo Berrettini e Nicolò Martinenghi. In più la Rossa di Maranello non ha trionfato a Montréal e Lewis Hamilton, la mia passione, finalmente non è rimasto ai piedi del podio. Peccato solo che Pecco Bagnaia non abbia completato la festa scivolando con la Ducati nella ghiaia del Sanchsenring. Però così almeno ho potuto vedere la registrazione della Waterloo dei campioni d’Europa (ma come hanno fatto a vincere l’Europeo?) con la Germania che martedì non avevo visto per non perdermi la diretta di gara 4 al Forum (ma si può giocare in contemporanea alla nazionale di Meches Mancini?) e per cominciare a sfogliare l’ultimo libro (Zero Gravity) di quel genio di Woody Allen. “Sono molte le prove che attestano la verità della teoria secondo cui gli Stati Uniti si stanno rincretinendo. Basta accendere la televisione, aprire un giornale o parlare di cibo con un’attrice…”. O con l’Antonella Clerici a stelle e strisce. Che è la stessa cosa. Un capitoletto involontariamente tutto dedicato a Ciccioblack Tranquillo. E ridagliela. Scusatemi, ma è più forte di me: non sto bene se non parlo ogni volta del migliore amico di Erode Messi(n)a o, se preferite, dell’Attila d’origini calabresi che da oltre vent’anni ha fatto terra bruciata alle sue spalle o dove ha allungato le zampe. E poi il sale della satira è un tormentone che non finisce mai. O come ripete spesso Messer Ferdinando Minucci che sta tornando sulla scena: “C’è sempre un girone d’andata, ma anche uno di ritorno”. E quello di ritorno deve ancora iniziare. Dove ne vedremo delle belle. Tre puntini di sospensione ai quali, quando ci vogliono, non riesco proprio a rinunciare.

Non ci girerò troppo intorno: ho scoperto d’avere una neoplasia dal suono dolce: mieloma, ma non per questo meno insidiosa”, ha postato sui suoi profili social Giovanni Allevi. Ovviamente non ho la classe dell’artista d’Ascoli Piceno, musicista e compositore di fama mondiale che ha dovuto rinunciare per la seconda volta alla tournée a cui teneva tanto in Giappone e Cina, il quale ha presentato il suo tumore traducendo in note la parola “mieloma”. Però gli posso dar coraggio scrivendo non sul pentagramma, ma sulla tastiera del mio umile picci che anch’io ho da tre anni la sua stessa neoplasia, e pure cronica, ma dalla quale ci si può difendere mai demordendo e tenendola anzi sempre ossessivamente sotto controllo. Domani per esempio devo fare la Pet, che se non sapete che cavolo d’esame sia è molto meglio per voi, però incrociando le dita ho imparato dal mieloma, che in effetti ha un suono gradevolissimo, a non aver paura (quasi) più di nulla e di nessuno. Figuriamoci di chi accosta Ettore Messina ad un santo e martire al quale i tifosi ingrati della Virtus hanno girato le spalle “difendendosi con eleganza – ha scritto il gigante buono, anche sin troppo buono, Daniele Dallera sul Currierun – da attacchi scriteriati a livello personale”. Alludendo non a me, spero per lui, ma molto probabilmente a Massimo Zanetti che, esasperato e accaldato, ha esemplificato in una parola “sudditanza” e in un aggettivo “psicologica”, che gli arbitri hanno subìto dall’allenatore presidente dell’Armani, e non mi si dica che non è vero, ipocriti e farisei, ruffiani e somari, quello che io ho cercato di spiegare in una decina d’articoli sul mio blog, prima e durante le sei finali dei playoff, senza riuscirci o, molto più probabilmente, senza convincere chi non vedeva l’ora soltanto di spogliarsi del cappotto, che un anno fa la Segafredo gli aveva fatto indossare contro voglia, e di poter finalmente gettare fango sui vinti. Che non è proprio un gesto da signori o da Pantaleo Dell’Orco. Panta, panta, panta. Leon, leon, leon.

Devo essere più chiaro? Lo sono: io, al posto di Massimo Zanetti, sarei andato giù molto più pesante ancora. Tanto più che contemporaneamente nella conferenza-stampa della Segafredo Arena di nuovo, e lo sta facendo da Pasqua, il Messi(n)a stava sparando sugli arbitri italiani che in soldoni secondo lui l’avevano defraudato della vittoria e, temporaneamente, dello scudetto. Anche perché a Bologna c’ero anch’io ad un tiro di schioppo dalla panchina milanese e meglio di me pure quelli che erano davanti alla televisione giovedì sera hanno sentito non una ma tre volte di fila il presidente allenatore dell’Olimpia elegantemente, come sostiene Dallera, gridare “coglione” in faccia a Manuel Mazzoni, il nostro fischietto alle Olimpiadi di Tokyo dove ha diretto la finale delle donne e la semifinale degli uomini, che le offese gratuite se le è incartate e portate a casa senza fare una piega. O forse perché, essendo nato per mia fortuna gobbo, della sudditanza psicologica che la Juventus eserciterebbe nei confronti degli arbitri del BelPaese ne sento parlare sino alla noia dai tempi del grande Giampiero Boniperti senza che un solo presidente bianconero abbia mai chiesto per questo l’intervento della Federazione affinché punisse almeno con una bella tiratina d’orecchie il marrano che aveva ardito offenderla con tanta spregiudicatezza. In compenso avete mai letto che un giornalista si sia per caso indignato perché Aurelio De Laurentiis chiama abitualmente Rubentus la società di Andrea Agnelli? Nemmeno Giampiero Mughini l’ha fatto. Mentre oggi Walterino Fuochi, lui sì raffinatamente, ha definito sulla Repubblica di Bologna “lungo e sgraziato” il passo fatto dal patron della Virtus sulle ultime polemiche arbitrali sedato però alla fin fine dall’assenza dal Forum dello stesso Zanetti e dal “silente fair play baraldiano”.

Domani devo alzarmi di buonora: mi aspetta una giornatina non proprio allegra al Giustinianeo e alla Busonera di Padova e quindi non posso stasera far molto tardi. Non mi piango comunque addosso. Anzi. Se infatti il virtuoso ed ex virtussino amatissimo, che frigna ogni volta sulla spalla del figlio maggiorenne e della seconda moglie persino quando vince, riportando lo scudetto a Milano al suo terzo anno con le scarpette rosse ai piedi mentre gli sfigatissimi Banchi, Repesa e Pianigiani ci sono riusciti al primo con la metà dei soldi di budget, mi volesse anche trascinare in tribunale perché, lo ribadisco, per me Massimo Zanetti è stato addirittura soft nella sua presa di posizione contro Messina dopo tutti i colpi bassi che gli ha tirato quest’anno, mi fa soltanto un favore. Così il giudice potrebbe anche sostenere che la sua è solo una lite temeraria e lui sa bene cosa intendo dire. E comunque di sicuro non tremo perché da un paio d’anni, come stavo raccontando prima a Giovanni Allevi, ho dimenticato cosa sia la paura. Ci si risente allora magari a metà settimana: ho tanti armadi con gli scheletri ancora da aprire, ma son contento perché almeno sul carro dei vincitori, dove anche Fuochi si è stretto vicino a Specchia, la Torre di Pisa e persino a Bombolone Condò, pestandosi tra loro i piedi e puntando i gomiti sulle pance, non è salito Oscar Eleni al quale non dispiacerà se gli dico che, da quando lo chiamo Gesù Cripto, capisco (quasi) tutto di quel che scrive e con chi in particolare se la prende. Spero non più con il suo vecchio amico mestrino.

Mi sono fatti tre nodi al fazzoletto, come faceva mio padre per non dimenticarsi quello che avrebbe dovuto fare il giorno dopo, ma vi prego lo stesso d’aiutarmi a ricordare di parlare, prima che vada anch’io in vacanza, del GhePardo, che magari si chiama Pierluigi, sì insomma del GattoPardo o del LeoPardo che conduceva Tiki Taka e che non aveva mai assistito prima di questo fine settimana ad una partita di palla nel cestino eppure ha fatto lo speacker al Forum tricolore di Assago e chissà chi lo ha pagato. Io lo so e ve lo dirò. O dello Zio Fester Aloi che pensavo fosse ormai passato alla Federnuoto, ma forse mi ero sbagliato. Eppure nella sede della Lega a Bologna nessuno l’ha più visto da mesi. O di Gene Gnocchi che ha dedicato – incredibile ma vero – un Rompipallone al basket: “Con la Virtus Bologna si registra un fatto storico: invocare la sudditanza psicologica senza che di mezzo ci sia la Juve“.  Sperando che nel frattempo Stefano Tonut si decida a dirci se andrà all’Armani o alla Segafredo, anche perché è da un anno che ha firmato un precontratto con Erode Messi(n)a, e lo comunichi prima della scadenza del 30 giugno alla Reyer. Che proprio non capisco perché non voglia prendere Della Valle che farebbe la sua fortuna e quella di Walter De Raffaele. E si ostini invece con Marco Spissu che vuole pure lui giocare in EuroLega e non è della stessa stoffa pregiata di AmadeusBuonanotte. E sogni d’oro. Soprattutto alla nazionale del Poz, Poeta e Recalcati. Spero la cara Giovanna e non il buon Carletto che non è mai stato per la verità culo e camicia con il povero Giannino Petrucci che si è fratturato una vertebra, ma sarà eroicamente presente sabato a Trieste per il primo test di Gianmarco P(r)ozzecco contro la Slovenia di Luka Doncic. Auguri!