Squadra senza cuore: l’ultima pugnalata rosa a Siena

Ma che titolo è? “Ultimo atto per lo scudetto: il cuore Milano contro Siena”. Va bene prendere i soldi dall’Emporio Armani. Sia chiaro: in cambio di pubblicità. Per non parlare degli euro che la Gazzetta e il Corriere della sera beccheranno per il book tricolore che festeggerà il primo scudetto dell’ultimo millennio in corso, cioè dal 2000 a oggi, dell’Olimpia che un tempo aveva sede in via Caltanissetta e adesso è in piazzale Lotto. Ma c’è un limite a tutto e questa volta la vergogna ha pisciato spudoratamente fuori dal vaso. Siena ha un cuore, non Milano. Avesse avuto l’Armani un cicinin del cuore di Siena non si sarebbe ridotta alla settima partita per battere la Mens Sana che solo coi soldi che costa il bello senz’anima Langford avrebbe pagato un anno di stipendi a tutta la squadra di Paperoga, Crespi compreso, e gliene sarebbero persino avanzati. E non avrebbe perso sette partite solo nei playoff, due anche con Pistoia e due pure con Sassari, nonostante gli uomini della sua panchina (Jerrells, Moss, Kangur, Wallace e Lawal) farebbero la fortuna di qualsiasi allenatore d’Italia. Sì, anche di Recalcati a Venezia e di Pozzecco a Varese. Dimenticando Cerella Bruno. Il quale è diventato l’idolo dei tifosi milanesi, sostituendo D’Antoni e Gallinari, ma come si fa?, solamente perché si batte i pugni sul petto quando segna per sbaglio un canestro, che aveva la pretesa d’essere solo un cross, o fa proprio a botte con gli avversari, ma questo non è cuore: è semmai show. E comunque quanti punti ha segnato l’argentino di Bahia Blanca mercoledì nell’unico match dei playoff nel quale quasi tutti ci hanno messo un po’ d’impegno e qualcuno come Nicolò Melli aveva persino il coltello tra i denti? Neanche mezzo e semplicemente per il fatto che Yoghi Banchi non l’ha fatto stavolta alzare dalla panca manco un secondo. D’accordo, non c’è mai stato un grande feeling negli ultimi anni tra Siena e la Gazzetta dello sport che in Piazza del Campo e nelle contrade vende sempre meno copie che nel centro e per le strade di Mondovì o di Casalpusterlengo. Del resto il quotidiano sportivo, rosa di facciata ma nero di rabbia, non ha mai nascosto di pensarla in modo quanto meno bizzarro: se lo scudetto non lo vince Milano, la pallacanestro è bella che morta e sepolta. Ma in quale film di fantascienza? Quando vincevano gli scudetti della pallavolo Modena o Parma, mi risulta che l’Italia del volley sia stata per due volte di fila campione del mondo. La verità è semmai un’altra e cioè che i giornali meneghini non riuscivano a capacitarsi del fatto che la piccola Siena potesse vincere otto scudetti e disputare altrettante finali di fila, mentre la grande Milano stava a guardare: scialba, viziata e opulenta. Ma questa pugnalata no: la Mens Sana proprio non se la meritava da Tu quoque. Perché il cuore non le è mai mancato. Anzi. Ne ha avuto sin troppo semmai quando invece avrebbe dovuto magari usare più il cervello. Vero Janning o Hunter? Tanto più che il titolo incriminato non possono averlo fatto né Chiabotti che il cuore per Proli non dà. Né Di Schiavi che vive col cuore di Proli. O Dan Peterson che ha a cuore solo se stesso. Intanto ho deciso di farvelo sapere in rima: in qualche modo un biglietto troverò e stasera anch’io ci sarò. Però sarà dura: lo so. Con me in tribuna Milano non ha mai vinto, ma neanche Siena al Forum con Citofonare Lamonica. O no?