Il diavolo sveste Panda, ma Sacripanti chi l’ha visto?

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Ho sguinzagliato i miei segugi per andare a vedere dove si fosse rintanato Sacripantibus dopo l’intervallo di Venezia-Cantù, ma sono rientrati tutti a notte fonda con la coda tra le gambe non sapendomi proprio dire dove fosse sparito mentre la sua barca stava facendo acqua da tutte le parti e nessuno s’era ancora sognato di lanciare l’sos che, nel gioco della palla nel cestino, è il time-out. Robe da matti o, meglio, da non credere. Che però possono spiegare molte cose. Per esempio la ragione per la quale anche oggi nel Cantucky stessero sempre cercando Sacripantibus e non certo per riempirlo di baci e di coccole, ma semmai per cantargliele di santa ragione. In effetti una squadra che era sulla carta più forte di quella di Carlo Recalcati già prima dell’arrivo dell’amico dei Panda (o del giaguaro?) non può essere affondata in questo modo dalla Reyer di Napoleone B(u)onaparte Brugnaro. Così come non può perdere 14 volte su 25 in un campionato di una modestia infinita ed avere in classifica due punti meno di Cremona e Bologna che fanno fatica a sbarcare il lunario per arrivare a fine stagione. Una vergogna. Ora all’Acqua Vitasnella non restano che due scappatoie per raggiungere i playoff saltando sull’ultimo treno: o vincere domani sera il derby di Desio con Milano, imbattuta da venti giornate, o le ultime quattro partite della regular season, cioè in casa con Cremona e Pesaro e in trasferta a Reggio Emilia e Roma. Insomma servono due imprese, ma soprattutto bisogna che Sacripantibus sia con la testa in panchina e non, come a Mestre, chissà dove. Francamente domenica dopo il primo quarto del Taliercio, chiuso tranquillamente in vantaggio di quattro punti sulla Reyer, ho pensato che Cantù con Metta World Pace, o come cavolo si chiama, potesse anche mettere i bastoni tra le ruote di un’Umana che, tanto per cambiare, zoppicava in attacco non avendo un playmaker degno di questo nome. O forse lo sono il vagabondo Stone e il timido Ruzzier? Suvvia, non scherziamo. E’ successo invece tutto il contrario. Ovvero sia un grande Tomas Ress ha preso le misure di Ron Artest, o come cavolo si vuol far chiamare, e gli ha messo l’anello al naso. Finalmente un lucido Phil Goss ha preso la squadra in pugno e non l’ha più lasciata in balia dell’improvvisazione. Jeff Viggiano si è ricordato come ha giocato l’anno scorso i playoff a Siena e ha fatto le boccacce a chi lo avrebbe persino voluto tagliare. E Venezia è scappata via col vento in poppa e lo spinnaker che, di tutte le vele, è quella che preferisco. Forse perché è la più colorata o perché ha un nome che mi suona bene. Di Benjamin Ortner e di Peric mi sono invece volutamente dimenticato. Così come di Carlo Recalcati. Ma quanto ripetitivo è questo? Avreste infatti detto. E non vi avrei potuto dar torto. Però lasciatemi almeno aggiungere che Recalcati, Peric e Ortner sono stati per tutta la stagione la garanzia di successo e la continuità di (buoni) risultati di una squadra che nessuno, tranne il sottoscritto, ad ottobre avrebbe pronosticato tra le prime tre o quattro della serie A con Stone playmaker e senza un pivot americano. Ed infatti ho (quasi) vinto venti pizze e non so quante cene di pesce. Meglio così. Tornando nel Cantucky, un bel titolo che non ho letto da nessuna parte sarebbe stato: il diavolo sveste Panda. Dove il diavolo è quel demonio di Tomas Ress che ai prossimi avversari dell’amico del giaguaro (e dei Panda) ha suggerito il modo per provare ad ingabbiarlo o almeno a limitarlo. “Mi ha fregato la prima volta, non una seconda: è bastato infatti che poi lo chiudessi e lo aspettassi a sinistra”. Se invece volete che la dica proprio tutta, così il buon Max Oriani mi toglie definitivamente il saluto, penso che Anna Cremascoli abbia fatto benissimo ad affittare Ron Artest, o come cavolo si chiama, per due o tre mesi, ma ho paura che con lui Sacripantibus e l’Acqua Vitasnella si siano proprio complicati la vita. Difatti il Metta gioca assai per sé e, ancora non bastasse, i compagni di squadra s’incantano a guardarlo dimenticandosi che a basket si gioca in cinque altrimenti diventa uno shangai. Dove ciascun bastoncino, cadendo a ventaglio, va per conto suo. Una cosa ancora. Perché tutti gli arbitri si sono innammorati della Grissin Bon? O perché nessun giornale, men che meno il Gazzettino, ha dedicato una riga alla promozione di Treviso in A2 (e alla faccia di Giorgione Buzzavo)? E perché Avellino-Pistoia è stata una partita a luci rosse? O perché Varese vince quando Yakhoumba Diawara non c’è? Ma questi sono i compiti per voi a casa. A domani…