Dopo averci pensato anche sin troppo a lungo Boscia Tanjevic (nella foto) ha dato le dimissioni dall’incarico di direttore tecnico di tutte le nazionali azzurre rinunciando agli ultimi cinque mesi di contratto. Per questo, e per l’uomo che ha una dignità, ed è grande, troppo grande per rimanere ancora tra quei poveracci, non posso più star zitto e quindi rompo il silenzio-stampa con la serie A del basket che avevo iniziato oltre un mese fa. Precisamente l’ultimo giorno di marzo e la quarta domenica di quaresima. Quando l’Alma Trieste, col padrone a Poggioreale, aveva orgogliosamente messo in ginocchio la Vanoli Cremona dandogliene di santa ragione e la cosa non mi era in verità dispiaciuta. Anzi. Perché Eugenio Dalmasson è un mio paisà e di lui Boscia me ne ha sempre detto bene. Anche se non parla l’inglese come Ciccioblack Tranquillo, ma si fa capire dai suoi americani. Che poi sono quattro: Wright, Sanders, Knox e Mosley. Uno meglio dell’altro. Che magari non sanno una parola d’italiano, e chi se ne importa, ma a Sauders, Crawford, Aldridge e Mathiang hanno fatto lo stesso vedere i sorci verdi come a pochi è riuscito per la verità quest’anno. Escludendo Cantù e la Varese di Artiglio Caja che ha strapazzato la squadra dell’amato cittì in casa e fuori. E non vorrei che ve ne foste già dimenticati. Tanto più che non dovete per nulla temere che il processo di beatificazione del vostro MaraMeo Sacchetti non vada ugualmente avanti. Ho sentito Papa Bergoglio ed è d’accordo pure lui. Presto lo nomineranno allenatore dell’anno santo 2019 e pazienza se io invece voterò Frank Vitucci. E se, come sempre, sarò da solo contro tutti. Ma non mollo. Come forse avevate sperato. Semplicemente stavo sull’Aventino. Che se non lo sapete ve lo dico io: è uno dei sette colli di Roma. Dal quale non occorre il binocolo per vedere al di là del Tevere come state rovinando la nostra palla nel cestino che è fatta oggi d’invidie e compromessi, di gente in galera o in miseria, di diabolici bonifici e di nero di seppia, di gran burattinai e maneggioni spregiudicati, di americani che si prendono a cazzotti o alzano il gomito in discoteca, di lecca-culi e voltagabbana, di bande Osiris e di pretoni longobardi. Di cui se volete vi potrei anche fare nomi, cognomi e soprannomi, perché a nessuno ho paura di dire in faccia quello che penso, però sarebbe anche tempo e ora che a settant’anni, o quasi, impari a non essere sempre il Don Chisciotte che combatte i muli a vento e si fa un sacco male specie nell’anima. Quando il 19 settembre del 2017 il consiglio federale ha ufficialmente condiviso la proposta del presidente Petrucci di nominare Tanjevic supervisore tecnico di tutte le nazionali, sottolineo tutte, quindi anche quella di Sacchetti, il vostro carissimo Marameo era già il cittì di Gallinari e Belinelli dal primo di agosto e dunque quel giorno andò in bestia perché Giannino non gli aveva ancora parlato del Boscia direttore generale. Ma fu solo mia la colpa, lo ammetto. Perché il 16 settembre su questo blog avevo anticipato di tre giorni la notizia che adesso vi vado a leggere: “Tanjevic ha accettato la proposta di Petrucci di ricoprire lo stesso ruolo dirigenziale che ebbe il Principe Rubini super partes nella nazionale di Sandro Gamba che vinse l’argento olimpico a Mosca 1980 e l’oro europeo a Nantes tre anni dopo”. E incrociai le dita. Ora non posso entrare nella testa di Giannino per sapere quale fosse il suo disegno. Di certo i due avrebbero dovuto collaborare di comune accordo per la rinascita dell’Italia distrutta da Ettore Messina e invece sin dal primo momento Sacchetti ha tenuto ben lontano da sé lo scomodo e prestigioso allenatore montenegrino in pensione da pochi giorni. Magari anche temendo che gli potesse fare le scarpe. Il che ve lo posso escludere al centouno per cento perché conosco bene Boscia e, se necessario, metterei la mano sul fuoco per garantire la sua lealtà sportiva a prova di bomba. Del resto avete mai sentito Tanjevic nell’ultimo anno e mezzo muovere una sola minima critica all’Italia di Sacchetti che pure è stata capace di farsi battere dai Paesi Bassi e dalla Polonia e di qualificarsi per il rotto della cuffia ai Mondiali di settembre in Cina? Io mai. Nonostante siamo molto amici e per questo ho sempre evitato d’affrontare con lui lo spinoso argomento. Anche se non riuscivo proprio a sopportare che MaraMeo lo lasciasse giù dall’aereo delle trasferte azzurre e non fumasse con lui nemmeno un toscanello alla fine dell’allenamento. Probabilmente la sto facendo troppo lunga e non vi ho ancora detto quello che si sta raccontando in giro e a cui preferirei non credere. Cioè che Sacchetti, al momento del rinnovo del suo contratto sino al 2021, ha chiesto a Petrucci di togliergli Tanjevic definitivamente dai piedi. O forse il motivo è un altro e molto più serio? Non so se augurarmelo. A voi comunque i commenti del caso perché a me è passata la voglia. E la stima per qualcuno mi stava già scendendo come il latte sotto le ginocchia. Meravigliandomi soltanto ancora di una cosa e cioè che la notizia delle dimissioni di Boscia sia toccata proprio a me di darla (a malincuore) pur non avendone fatto parola con nessuno degli interessati. Quando invece circolava ormai da giorni per i corridoi del Palazzo capitolino e da una settimana non era più un mistero nemmeno per l’usciere e l’autista della Federbasket. Evidentemente qualcuno ha voluto che di nuovo fossi io a bruciarmi le dita con il cerino acceso. Ma non è neanche questo per me un problema: ho ormai i polpastrelli d’amianto. E le palle per terra.