Pensavo fosse amore, invece era un Caressa nel cielo…

Tutti sono un po’ masochisti. Nessuno escluso. E così per farmi anch’io del male ho comprato l’ultimo libro di Fabio Caressa: “Scrivilo in cielo”. E ridagliela. Questo è fissato con il cielo. Il cielo sopra Berlino si tingeva d’azzurro. D’accordo, ma sono passati da allora otto anni e qualche volta mi dicono che nella capitale tedesca anche piova. E non da ridere. A Berlino, sempre se non sbaglio, Lucio Dalla ci andò con Bonetti: gli sembrò un po’ triste, difatti tornò a casa e si rimise in mutande. Caressa ci andò invece con lo Zio e, se ci fosse rimasto, avrebbe fatto felice più di mezza Italia. E soprattutto non ci avrebbe più rotto con sta storia del cielo che per me è poi rimasto sempre lì da mezzo secolo: chiuso in una stanza, come recita Gino Paoli, e guai a chi me lo tocca o, peggio, ce lo sposta. Lui no, lui insiste. Come sabato notte prima di Italia-Inghilterra. Dall’Amazzonia ha tuonato come un tromboncino gonfio di boria e di lacrime: “Veniamo da momenti difficili nel calcio e nella vita di tutti i giorni. Abbiamo dovuto stringere i denti e ogni tanto abbassare la testa”. Ma cosa dice? Con chi ce l’ha? A me la vita non ha mai sorriso come adesso. In particolare nel calcio: tre scudetti di fila, uno più bello dell’altro, il primo senza perdere un match, l’ultimo col record di punti e la terza stella che gli Agnelli ricuciranno sulle loro maglie quando Inter e Milan vinceranno la seconda. Campa cavallo e dunque, caro Fabio, parla per te che è meglio. No, lui ha continuato sempre più tronfio e vuoto, prolisso e retorico: “Ma ora è il momento di ritrovare fiducia, d’alzare lo sguardo, di creare un nuovo orizzonte e di riscrivere in cielo (e ridagliela) il nostro destino”. Si racconta che Caressa ci abbia messo una vita per scrivere questa poesia. E più di un anno per impararla a memoria. Nel frattempo la sua squadra del cuore, che non è l’Italia e sicuramente nemmeno la Juventus, non ha vinto neanche la Coppa Fragola, ma hanno pensato bene di farlo capo a Sky: così, almeno in campionato, ci risparmia i suoi risolini scemi o le sue canzoncine tremende. Come quando, dopo il destro a rasoio di Claudio Marchisio, si è messo l’altra sera a gorgheggiare il po popopo popopo del 2006 in Germania che gli inglesi nel giro di pochi secondi hanno subito rispedito allo stupido mittente con la rete del pareggio di Sturridge. C’è o ci fa? No, io penso peggio, ma lascio che glielo dica Osvaldo. Il quale aveva giustamente twittato dopo il tuffo di Fred nella piscina croata: “Sono contento di non far parte di questa farsa”. Apriti cielo, per l’appunto. A Caressa infatti puoi toccare tutto, ma non il cielo: “Osvaldo non perde mai l’occasione di dire sciocchezze”. E Osvaldo di rimando: “Il signor Caressa dovrebbe smetterla di parlar male dei calciatori visto che vive e mangia grazie a noi”. All’argentino, e non al brasiliano, caro il mio Dipollina di Repubblica, in prestito dal Southampton non ho mai dato quest’anno più di 5 se non in occasione del suo gol all’Olimpico segnato proprio alla Roma di Fabio all’ultimo secondo. Quel giorno si meritò un bel 7 e mezzo, mentre oggi è almeno da 8 o anche da 9 se mi canta la canzone di Renato Zero di cui ora non ricordo il titolo. Massì: Il Cielo. E tu non prendertela. In fondo, scomodando Troisi, anch’io pensavo fosse amore, invece era un Caressa. Pardon, un calesse.