L’Italia ospiterà il torneo preolimpico che porta a Rio

Simone-Pianigiani

Il Nazareno non parla. E fa benissimo. O, meglio, dice le quattro cose che deve dire in conferenza stampa nel dopo partita. E basta. Quando l’Italia vince, getta acqua sul fuoco dei facili entusiasmi. Quando perde, difende la sua nazionale a spada tratta. E non va oltre. E’ stato criticato, e non poco, quando ha perso con Turchia e Serbia. E’ stato dimenticato, e forse apposta, quando ha vinto con Spagna e Germania. Senza considerare il capolavoro con Israele. Non è nato a Milano. E neanche a Bologna. Non ha allenato l’Olimpia. E nemmeno la Virtus. Dunque non può essere bravo come Peterson e Messina. Ma chi l’ha detto? I soliti tre o quattro poveri cristi. Ai quali per fortuna lui non bada. Simone è figlio della Lupa, quella di Siena, che porta la cuffia: è cioè la contrada che da più tempo non ottiene il successo nel Palio. L’ultima volta fu addirittura il 2 luglio del 1989. Quando l’amato cittì aveva appena compiuto vent’anni e neanche avrebbe immaginato che mai avrebbe poi vinto sei scudetti tutti d’un fiato con la Mens Sana. E pure al primo colpo. No, tutti si ricordano di quei cinque o sei mesi infelici a Istanbul con il Fenerbahce. E’ il destino di chi ha pochi amici. Però buoni. E di chi non va al ristorante coi giornalisti. Coi quali non si confessa e nemmeno li incensa. Né aspettatevi da Pianigiani che prima o poi si tolga qualche sassolino dalle scarpe: di loro piuttosto non si cura. E guarda e passa. Per la verità è da qualche tempo che neanch’io lo sento. Tanto lui sa benissimo che sono sempre il suo primo tifoso anche se non lo chiamo e gli rompo l’anima. L’ultima volta che ci siamo visti è stato così davanti a un paio di polletti ai ferri. Che abbiamo sbranato uno ciascuno. Mangiando con le mani. Che ha tutto un altro gusto. E devo dire che abbiamo quasi litigato. Non per il petto o per la coscia, ma per la nazionale. Lui infatti sosteneva che ce l’avremmo avuta comunque dura a classificarsi tra le prime otto dell’Europeo. E ancora non poteva sapere che non avrebbe potuto far conto su Gigi Datome che, almeno nelle mie gerarchie azzurre, ma forse anche nelle sue, è secondo solo a Danilo Gallinari. Mentre io lo sfottevo accusandolo di voler mettere anche con me le mani avanti. In effetti solo adesso mi rendo conto che non bleffava o che, come al solito, non mi raccontava comunque storie. Sul serio eravamo finiti in un girone di ferro. Dal quale avremmo davvero potuto uscire con le ossa rotte se si pensa che tre delle prime quattro squadre di Berlino potrebbero benissimo essere venerdì semifinaliste a Lille e non tutte e quattro solo perché la Francia ha già battuto la Turchia, gioca in casa ed è strafavorita per il titolo. Però vaglielo a spiegare a Giannino? Il quale ad essere sinceri, e adesso lo posso finalmente scrivere, aveva annusato il pericolo e aveva nascosto nella manica un jolly per disputare comunque uno dei tre tornei preolimpici della prossima estate. In che modo? Semplicemente organizzandolo in Italia. Ovvero vincendo l’asta organizzata dalla Fiba e logicamente sganciando qualche bel soldino. Magari quelli risparmiati per la wild card dello scorso Mondiale. In realtà l’evento si potrebbe mettere in piedi lo stesso anche se a Lille dovessimo classificarci tra il terzo e il settimo posto come è assai probabile. Aumenterebbero così comunque le nostre possibilità di qualificarci per questi benedetti Giochi di Rio de Janeiro. Ai quali Petrucci tiene più di qualsiasi altra cosa al mondo. Costi quel che costi. O kappa. Però anche lui, benedetto il mio presidente, deve capire che non possiamo per tutto l’anno leggere che il nostro basket è in crisi e che da noi si gioca una delle più brutte pallacanestro d’Europa salvo poi, con l’arrivo dell’estate, pretendere che Simone Pianigiani abbia la bacchetta magica per trasformare le zucche in carrozze o, se il paragone offende qualche agente, tutti gli azzurri in fenomeni. Già sarà un miracolo, fidatevi, battere domani anche la Lituania e giocare per una medaglia. Scordandoci, caro Giannino, quella d’oro e d’argento. E pure il bronzo se stasera la Spagna dovesse eliminare la Grecia. Perché, se è vero che Don Gel Scariolo perde quasi sempre con il mio Nazareno, è altrettanto difficile che l’Italia nel giro di pochi giorni possa battere per due volte di fila i vicecampioni olimpici di Paul Gasol. O mi sbaglio? Magari.