Dal Carpediem di sabato: “Tu sei il tuo solo maestro. Chi altro può guidarti? Diventa allora padrone di te stesso”. Chi l’ha detto? Buddha. Ah, però. Quindi Codino Baggio non è proprio un mona qualsiasi solo perché, divinamente prendendo a calci un pallone, ha fatto i soldi e ora gestisce con la moglie e i due figli la tenuta di famiglia occupandosi dei campi e delle bestie. E rinunciando, la domenica, persino ad andare a vedere la partita del (suo) Vicenza. Padrone di se stesso. Chapeau! Il Carpediem d’ oggi: “La vita si ascolta così come le onde del mare. Le onde montano, crescono, cambiano le cose. Poi tutto torna come prima, ma non è più la stessa cosa”. Com’è vero. Firmato Alessandro Baricco. Bella testa, altra categoria, mai banale se non quando, essendo nato a Torino, e non in un quartiere povero, è ovviamente tifoso della squadra di Urbano Cairo. Anche Baricco è in battaglia contro un tumore al sangue: la leucemia, di cui ha rivelato nei giorni scorsi l’esistenza. Senza per questo abbassare la guardia. Anzi. Già sapendo comunque che non sarà mai più anche per lui la stessa vita. Coraggio! Ho passato davvero un bel fine settimana a casa con mio nipote Rocco, dieci anni, nove scudetti, super vaccinato. Che non mi ha chiesto di portarlo a vedere una volta la nuova Juve di Vlahovic e Zakaria, che pure ieri sera contro il Verona l’ha entusiasmato, ma i campi di concentramento di Auschwitz per capire sin dove sia potuta arrivare – mi ha detto – la ferocia dei nazisti con gli ebrei. A questo punto vi sareste già chiesti perché vi sto raccontando queste cose. E’ semplice: sto scrivendo uno Scacciapensieri, tra tutte le rubriche del mio blog senza padroni la preferita perché mi dà il piacere di buttare giù in libertà la prima cosa che mi salta in mente. E non sono matto da legare. A meno che non mi ci avete fatto diventare dopo aver visto alcune bestie della curva del Pierluigi Penzo voltarsi di spalle (vedi foto, ndr) durante il minuto di raccoglimento per la morte di Maurizio Zamparini. Un uomo con il quale non è stato facile nemmeno per me legare, ma generoso e passionale come non ne ho conosciuti altri di migliori in laguna. Tra le calli e i campielli di Sant’Elena dove alla fine del primo tempo si andava a rifugiare, anima in pena, per non morire di crepacuore sugli spalti. Ora quali siano state le ragioni che hanno spinto gli ultrà del Venezia a infangare la memoria del grande presidente non le vorrei nemmeno sapere. Forse perché negli anni Zamparini s’era pentito d’aver unito nell’87 il Venezia al Mestre come gliela avevano giustamente sconsigliato tutti. Cominciando da mio padre che curò all’epoca gli interessi arancioni nella fusione conoscendo molto meglio di lui la profonda divisione a tutt’oggi ancora esistente tra la tifoseria d’acqua e di terra pari a quelle di San Siro tra Inter e Milan. Fatto sta che mi sono vergognato per loro e che in quello stadio, unico al mondo, non metterò più piede finché sarà profanato da quella gentaglia che non sa cosa fa e cosa canta in coro, che predica l’Unione ed è invece impregnata fradicia di razzismo, che anche ieri ha cercato lo scontro con le forze dell’ordine e con i sostenitori del Napoli provocati con il vecchio ritornello sul Vesuvio dal primo all’ultimo minuto. Di una partita di nuovo persa da un Venezia di cui tutti parlano bene, sin troppo, ma che intanto è terz’ultimo in classifica, non vince dal 21 novembre dell’anno scorso (0-1 a Bologna) e ha raccolto negli ultimi dieci match appena tre stiracchiati pareggi. Però ad ogni sconfitta esce a testa alta e con ogni onore. Paolo Zanetti è a prescindere un bravissimo allenatore. Dite? Ma ne siete proprio tutti ancora convinti? Io comincio già ad avere qualche dubbio. Posso? E lo avrebbe avuto pure Maurizio Zamparini. Ci scommetto. Che, al posto di Duncan Niederauer, avrebbe molto probabilmente licenziato Zanetti tra Natale e la Befana allungando a 67 il numero degli allenatori da lui esonerati in 15 anni di presidenza al Venezia e 16 al Palermo. E intanto vi mando tutti a remengo, vado a dormire che domattina devo alzarmi presto e ci sentiamo magari dopodomani. Se fate i bravi. Domani no: sono in ospedale a Padova. Per continuare la terapia. Sempre al martedì e, finché avrò fortuna, solo una volta al mese. Perché dai tumori cronici del sangue, lo dice la parola stessa, non si esce mai né vincitori né vinti come sostiene invece quello smargiasso di Sinisa Mihajlovic. Semmai diversi, cambiati, anche più forti, combattivi, ma non necessariamente più buoni o meno arrabbiati. Questo sì. Anche se sembra che tutto sia di nuovo sempre uguale a prima. Come l’onda del mare e come scrisse a suo tempo proprio Alessandro Baricco. Duri i banchi!