La prima medaglia d’oro dell’Italia a Tokyo: Paola Egonu

Paola-Egonu

Le Olimpiadi si chiamano anche Giochi. O mi sbaglio? Cioè dovrebbero essere soprattutto svago, festa, allegria. Bucando con entusiasmo gli anelli dei cinque cerchi come i palloncini con uno spillo. Un salto, provando anche a sorridere, oltre la pandemia. Che non abbiamo ancora sconfitto. Lo sappiamo tutti benissimo se ci è rimasto un grammo di buon senso. Ma si va avanti lo stesso. Se è gioco forza. Altrimenti ci si chiude nel dolore e nel silenzio. E non si fanno i Giochi. Come chiedevano due giapponesi su tre. E forse non a torto. Le Olimpiade di Tokyo sono invece proprio partite con il piede sbagliato e una cerimonia d’apertura che la mia Tigre ha definito, eccezionalmente a ragione, “una nenia senza eguali” e Julio Velasco, il grande Julio, “un malinconico inizio”. Come è del resto nella natura, ha sapientemente subito aggiunto, di questo popolo e del suo inno nazionale. Che in effetti sembra un canto di morte. E così, ascoltandolo, mi sono subito toccato sotto indignando senz’altro Franco Bragag-na. Al quale immancabilmente storpio il cognome con una pausa tra la seconda gi forte e la enne cadente. Come fa lui con gli atleti dei Paesi scandinavi. L’insopportabile Bragag-na, il primo della classe che non ti fa mai copiare il compito e t’interrompe ogni qual volta magari stai dicendo una cosa intelligente, e Julio ne stava dicendo molte, perché deve essere sempre lui a mettere il becco dappertutto menando il torrone da non dire o solo  per dimostrare che conosce e sbiascica almeno dieci lingue. Compreso il giapponese per la verità un po’ pasticciato. Ma mi faccia un piacere. Ho seguito sette Olimpiadi come inviato speciale del Giorno quando il giornale dell’Eni si giocava con La Stampa il terzo gradino del podio. Poi sul finire del secolo scorso è arrivato Attila Riffeser che mi ha spinto alle dimissioni e alla disoccupazione (forzata). E così – fatalità – oggi Il Giorno non figura tra i primi venti quotidiani più venduti in Italia. Superato persino dall’Ossimoro (La Verità) e L’Unione Sarda. Ebbene, si fa per dire, non ho mai assistito a nessuna delle sette cerimonie d’apertura dei Giochi pur avendo magari in tasca il biglietto di tribuna-stampa. Il motivo? Ero molto probabilmente in altre faccende olimpiche, non pensate male, affaccendato. E comunque mi sono perso poco o niente se quelle che non ho visto erano simili a questa. Anche se credo che sia francamente impossibile. Proprio una nenia, una malinconia struggente, quasi uno sfinimento. Almeno finché non sono entrate in gioco le 207 squadre finalmente colorate. L’Italia sfilando per 21esima e non fortunatamente per 17esima come aveva scritto Gaia Picardi sul Corriere. Ma la gaffe olimpica più clamorosa del primo giorno dei cinque cerchi nipponici non è stata questa e nemmeno quella segnalata da Alessandra Retico su Repubblica: “Vedi alla voce Federica Pellegrini: “Family: partner Matteo Giunta. Coach: Matteo Giunta [personal], from 2014”. Nessun giro di parole, nessun dubbio: la relazione amorosa tra la campionessa del nuoto italiano, 32 anni, col suo allenatore, 39, è messa nero su bianco sulla carta d’identità fornita dal sistema informatico di Tokyo 2020 (MyInfo) alla stampa accreditata ai Giochi”. Magari MyInfo ci ha anche beccato, ma i pettegolezzi non si fanno se sei il biografo ufficiale delle Olimpiadi e soprattutto sulla Divina, compaesana di Napoleone Brugnaro, perché sono sempre guai seri per chi me la tocca. Anche quando fa la pubblicità a Supréme Protezione Colore o l’influencer Wiki (129esima per ora sul numero di like ai post di Instagram) o fa parte della giuria di Italia’s got talent con Frank Matano e Mara Maionchi. La gaffe olimpica più strepitosa, e credo imbattibile di qui alla fine dei Giochi, è quella che ha sparato ieri la Gazzetta nel suo ingombrante inserto dove nei paginoni 38 e 39 c’è proprio un bell’articolo su Matteo Berrettini e il suo desiderio realizzato d’andare a Tokyo: “L’Olimpiade è il mio sogno fin da bambino quando guardavo in tv Usain Bolt, la fine del mondo, ma pure la Vezzali e la Pellegrini. Anche per questo ho voluto assolutamente esserci ai Giochi”. Ora ci sei, Matteo, divertiti: così ha concluso l’intervista la povera Federica Cocchi alla quale evidentemente nessuno aveva comunicato che il finalista di Wimbledon ha annunciato addirittura sei giorni fa la sua “sofferta” rinuncia ai Giochi. Oltre tutto scatenando una tempesta di polemiche: in molti hanno infatti dubitato del suo risentimento muscolare, mentre Fabio Fognini, che con Berrettini avrebbe dovuto giocare a Tokyo il doppio, si è lamentato che il romano non gli abbia nemmeno fatto una telefonata per comunicargli il forfait. Per Arianna Secondini, che conduce disinvolta Go Tokyo ogni mattina dal centro stampa della capitale giapponese, all’ora in cui in Italia è scoccata da pochi minuti la mezzanotte, la cerimonia d’apertura dei cinque cerchi è stata invece magari un po’ sotto tono per colpa solo del Covid, ma ugualmente “entusiasmante”. E i dati sugli ascolti non sembrano poi darle proprio torto se 2.531.000 italiani e uno su cinque hanno seguito l’evento su Raidue. Ma quanti di loro si sono addormentati come me in poltrona quando il triste imperatore Naruhito ha inaugurato la XXXII Olimpiade guardandosi bene da non usare la parola “celebrazione” per non infastidire i suoi infelici sudditi? E in quanti hanno cambiato canale per vedere una replica di Beautiful su Canale 5? In oltre due milioni. Quindi niente champagne per questa volta. O vi sono forse piaciute le divise degli azzurri confezionate per loro da EA7 e dalla Pac-Man Videogiochi con quel grossolano uovo di Pasqua tricolore appiccicato sulla pancia che li faceva sembrare tutti persino goffi oltre che gonfi? Mentre Danilo Gallinari e Nicolò Melli, i nostri giganti buoni, parevano tali e quali a Obelix reduce da un’abbuffata di cinghiali allo spiedo alla festa di Abraracourcix, il capo del villaggio gallico. E difatti nessuno mi toglie dalla testa che a Giorgio Armani, il giorno in cui ha disegnato quelle orribili tute, qualcosa deve essere andato per forza di traverso. Provo a indovinare? Forse aveva appena perso per cappotto (4-0) lo scudetto del basket con la Virtus? E ancora non bastasse l’ultima tedofora è stata Naomi Osaka, 23enne campionessa di tennis, ex numero uno al mondo, che dal Roland Garros di giugno si è ritirata confessando d’essere terribilmente depressa. Ecco lei avrebbe meritato una standing ovation, ma lo stadio era vuoto e il silenzio assordante. Come Paola Egonu, la prima medaglia d’oro italiana a Tokyo, designata assieme ad altri cinque atleti benemeriti, uno per ogni continente più un rappresentante dei rifugiati, che ha sfilato sollevando il drappo olimpico con le dita della mano destra che le tremavano. Bella ed elegante come una modella di Prada. Con la mascherina bianca e la pelle nera. Volendo sperare che la ventiduenne di Cittadella e del Conegliano Volley è stata scelta dal Cio come simbolo dell’Europa contro il razzismo e l’ignoranza, che spopolano oggi soprattutto nel Veneto di Zaia e Salvini, prima che lo facesse il Coni. Altrimenti fuor di dubbio avrebbe dovuto essere stata Paola, la miglior pallavolista del pianeta, la portabandiera per l’Italia a questi Giochi e non Jessica Viviani e Elia Rossi che pure sono stati campioni olimpici: lei nel tiro a volo (trap femminile) a Londra 2012 e lui nel ciclismo su pista (omnium) a Rio de Janeiro 2016. Ma cosa mi rappresentano nel BelPaese? I veterani della corsa all’oro. Certamente. E allora perché non premiare Gregorio Paltrinieri che cinque anni fa ha conquistato l’oro nei 1500 stile libero e stavolta è in corsa addirittura per tre medaglie? Anche negli 800 e ancora nelle 30 vasche. Su e giù nella piscina dell’Aquatics Centre. Ma soprattutto è il superfavorito nella dieci chilometri di fondo che nuoterà nelle grige acque del parco marino di Odaiba, la grande isola artificiale costruita nella baia di Tokyo e sede di una replica in scala ridotta della Statua della Libertà. Sempre che sia completamente guarito dalla mononucleosi che l’ha colpito appena un mese fa. E allor dunque “allegria!”. Come avrebbe strillato il grande Mike.