Se fossi Giorgio Armani ora manderei Milano al diavolo

pianigiani

Non ci posso credere, ma la notizia me l’hanno data per certa gli amici fiorentini più bricconi del conte Raffaello Mascetti (Ugo Tognazzi) e del’architetto Rambaldo Melandri (Gastone Moschin). Ieri sera alla Piazza del Vino. In via della Torretta. A tre passi dal Mandela. La palla del salto a due per la finale di domani, prima di cena, l’alzerà al cielo Matteo Salvini o la sua morosa ufficiale, Elisa Isoardi. Che sarebbe ancora meglio. Questa benedetta Coppa Italia non è in effetti più la festa della Lega Basket, ma della Lega Nord o, se preferite, del Carroccio. Con Cantù che ha ridicolizzato Milano, Cremona che ha fatto fuori Avellino, Brescia che si è presa gioco di Bologna virtussina e aggiungeteci pure Torino che ha, bene o male, Chiara Appendino come sindaco. Stavolta non si può più sbagliare: vincerà le final eight di Firenze una di queste quattro squadre. Quella delle quali sia poi la favorita non è importante stabilirlo. Anche perché porta nera e mi evita di fare altre brutte figure. Avevo scritto ieri che, dopo il black out di Sidigas e Reyer nel primo giovedì delle Ceneri, l’Armani aveva un’autostrada davanti, a quattro o più corsie, per arrivare ad allungare le mani sulla terza Coppa Italia di fila. E invece non ha raggiunto nemmeno Barberino del Mugello. Dove fanno una fiorentina da Cosimo che è indimenticabile. Finendo fuori strada, vittima di un destino che non vuole rispettare le gerarchie, né i pronostici, ma soprattutto non accetta, e fa bene, d’essere preso in giro. Un grave incidente di percorso che avrà conseguenze – spero – molto pesanti per tutti. Nessuno escluso. Sempre che Giorgio Armani non abbia già perso, oltre alla pazienza, anche la passione. Sotto i miei occhi l’ho visto bianco più di un cencio: cereo, impaurito, pesto. Mentre una dozzina d’imbecilli gli urlavano in faccia da dieci centimetri: “Mandali a casa tutti” e qualcuno ha cercato addirittura d’aggredirlo. Ora mi chiedo: a parte le guardie del corpo che l’hanno accompagnato proprio sotto la curva degli ultras milanesi inferociti, nemmeno il Mandela abbia solo quell’uscita, chi glielo fa fare, a ottantaquattro anni, o quasi, di subire ancora queste umiliazioni? Non parlo di Dmitrij Gerasimenko, ma di Giorgio Armani, un gran signore che con l’Olimpia è stato in questo decennio estremamente generoso. Persino troppo. Al suo posto manderei invece tutti al diavolo. E non importa se poi la pallacanestro a Milano finirà d’esistere. O volete prima far morire lui? Via, non scherziamo. Sono proprio arrabbiato. Al punto che mi riesce impossibile buttarla adesso in vacca. Come è solitamente mio costume di vecchio satiro ostinato. Così ve ne racconto un’altra di storia deprimente che non vi farà piacere sentire. Ieri sera, dopo la vittoria molto italiana della Germani dei meravigliosi fratelli Vitali, ma anche di Andrea Traini, 10 punti sparati con il cuore e senza pensarci troppo sopra, ero a cena, come vi dicevo, in Piazza del Vino tra pareti di bottiglie tutte da stappare e da gustare, quando sono entrati gli arbitri dell’ultimo quarto di finale: Carmelo Lo Guzzo, Mark Bartoli e Lorenzo Baldini con il caro padre Luciano. Che erano stati fatti accomodare vicino ad una tavolata di virtussini molto su di giri. Ebbene, hanno dovuto cambiare tavolo e stanza del locale perché giudicati indesiderati dal quel gruppo di tifosi bolognesi. Ora non sono mai stato tenero coi nostri fischietti, anche se ho sempre ammesso che il loro è un mestiere difficile soprattutto adesso che un’azione la puoi vedere e rivedere cento volte in tivù o sul tablet, e difatti ultimamente, se posso, evito di giudicarli e di parlarne. Come ho fatto oggi con Simone Pianigiani. Del cui operato ieri mi è piaciuto poco o niente. Dal principio alla fine. E glielo dirò a quattr’occhio perché altrimenti non sarei un suo amico. Però non è questo il discorso. Doverose critiche a parte. Che vanno anche accettate se formulate con la dovuta educazione. Io penso piuttosto che il terzo tempo di una partita sia sacro. Nel rugby come nel basket. Soprattutto davanti ad un buon bicchiere di vino. Che poi Lo Guzzo, Baldini e Bartoli in nessun modo avessero spinto le sorti del duello in bocca alla Leonessa, questo è altrettanto vero e superfluo sottolinearlo. Semmai Sahin, Bettini e Morelli in Avellino-Cremona hanno preso continuamente fischi per fiaschi. Tanto che ora Sacripantibus rischia “per un tecnico” il posto e se ne è lamentato anche oggi nell’incontro infuocato degli allenatori con gli arbitri. Ma ugualmente con tutti e tre avrei lo stesso fatto cin-cin. Ridendoci magari sopra. Stasera MaraMeo Sacchetti se la vedrà con Al Pacino, il Bimbo della Fiat. A seguire Sodini senza soldini contro Per Diana e per dindirindina. Almeno con i soprannomi sono imbattibile. E che vinca il migliore. Emulando Nereo Rocco che diseva: “Speremo proprio de no”.