Ma perché la vita non sorride più al Cincia fantasmino?

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“Lei mi mette in imbarazzo”, disse un giorno di non ricordo più quanti anni fa un noto inviato della Stampa di Torino alla hostess, ovviamente molto carina, che gli offriva in cadeau un Rolex al termine della conferenza stampa di presentazione della nuova Ferrari. “Lei mi mette in serio imbarazzo” volle ripeterle l’onestuomo, ma la bella ragazza continuò ad insistere: “Guardi che il Rolex, caro signore, l’hanno già preso tutti i suoi colleghi. Nessuno escluso. E’ un regalino del dottor Montezemolo”. E il giornalista spazientito: “Forse, mia cara, non ha ben capito: lei mi mette in imbarazzo perché a casa ho due figli e non saprei a quale dei due dare l’orologio”. Sembrerebbe una barzelletta. E’ invece una storia vera. Della quale vi posso anche raccontare lo scontato finale: l’hostess dal cofanetto estrasse un altro Rolex e glielo regalò di soppiatto. Anch’io per la verità sono in serio imbarazzo: dovrei per la serie “cominciamo a conoscerle” oggi parlare di Milano, dopo averlo fatto in settimana di Venezia e Reggio Emilia, ma non vorrei pure io essere clamorosamente frainteso. Il mio disagio è infatti quello di chi potrebbe sembrare agli occhi di chi non mi conosce uno squallido cecchino che spara alla croce rossa o, peggio, alla croce verde. Il che francamente non mi sembra proprio il caso dopo che si è giocato solo un turno di campionato e l’anticipo della seconda giornata tra Brindisi e Bologna è iniziato da appena qualche minuto: 16-13 per l’Enel di Marino alla fine del brutto primo periodo. Sia chiaro: il mio giudizio sulla nuova Armani di Gelsomino Repesa sarebbe estremamente severo e gioco-forza molto cattivo. E per questo lo sospendo o, meglio, lo rinvio di qualche giorno. Non può però una squadra, costata una cifra e favorita nella corsa al titolo, che la settimana prossima oltre tutto esordirà in EuroLega, per fortuna con il Laboral di Perasovic, perdere in quel modo a Trento. Per quanto Salvatore Trainotti abbia di nuovo indovinato il quintetto adatto al basket semplice di Maurizio Buscaglia: non più Mitchell e Owens, ma Trent Lockett, pescato dal campionato tedesco (Braunschweig), e l’atipico centro Julian Wright, incompreso al Panathinaikos. D’accordo, bravo Trainotti, bravo Buscaglia, bravi Lockett e Wright, giù il cappello anche davanti ai nostri, Pascolo e Floccadori (19 anni), che mi piacciono un sacco e una sporta, ma il playmaker dell’Aquila dolomitica, in attesa che Poeta stia meglio e ritrovi l’ispirazione d’un tempo, è pur sempre Toto Forray che, con tutto il rispetto per il suo entusiasmo, è un argentino del 1986 che prima di approdare a Trento ha giocato a Messina, Padova, Jesolo, Sandonà e Forlì. Non so se mi spiego. Stasera Milano posticipa con Varese: non un test valido perché la squadra di Coppa non è quella di Caja dell’anno scorso e questa non vale più del quattro di spade con briscola a bastoni, ma mi auguro che una vittoria delle scarpette rosse nel derby serva, se non a frenare la contestazione dei soliti idioti e vandali che hanno imbrattato le Bmw dei giocatori dell’Emporio parcheggiate al Palalido, almeno a ridare un po’ di serenità ad Andrea Cinciarini. Che dal buon Oriani si è intanto subito beccato un bel 4 in pagella più la definizione di “fantasmino”. Che ha fatto probabilmente ancora inquietare il suo agente, Gabibbo Sbezzi. Cosa stia succedendo al Cincia resta tuttavia un mistero. Che il proliano Vincenzo Di Schiavi non ci ha aiutato stamattina sulla Gazzetta a capire dal momento che non gli ha neanche domandato quello che gli avremmo tutti chiesto. E cioè come può perdere il sorriso un ragazzo di 29 anni che quest’estate ha avuto tutto dalla vita. La nazionale (play titolare azzurro), un figlio (Alessandro), la squadra dei suoi sogni (Milano) e l’allenatore del cuore (Gelsomino). Potreste sempre rispondermi, non lo nego, che io non so quanto sia dura per uno di Pesaro emigrare a Reggio Emilia, città dimenticata dal resto del mondo, dove non hanno nemmeno i soldi per costruire un palazzetto, e dover giocare in una squadra con quegli egoisti di Kaukenas e Lavrinovic, che pensano solo a loro stessi, e con un tecnico come Max Chef Menetti che al massimo sa cucinare un pasticcio argentino. A proposito, pranzando, ho visto con la coda dell’occhio Pierino Bucchi dare una bella lezione di pallacanestro a Valli che ne ha presi una montagna (81 punti contro pochi) e ben 54 nel solo secondo tempo. E dire che la Virtus di Pittman doveva essere la mina vagante del campionato. Per favore, non fatemi ridere. Ma neanche piangere.