Le mie interviste di basket: Attilio, detto Artiglio, Caja

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Dopo Claudio Coldebella vi riprongo l’intervista uscita su Superbasket a cavallo tra gennaio e febbraio. Quando Artiglio Caja era ancora senza squadra e Gianmarco Pozzecco doveva ancora dare le dimissioni da Varese. Quando si poteva parlare ancora bene di Roberto Mancini che ora invece è nell’occhio del ciclone. Aspettando il ritorno di Tiger giovedì ad Augusta, ma non più da numero uno. Mentre nel basket non è cambiato quasi nulla negli ultimi due mesi. A parte l’amico dei Panda.
Stavolta niente olio aglio e peperoncino, i piedi sotto la tavola, una trattoria di campagna e un buon bicchier di vino. Lui è a Roma e io a Cortina. Lui al derby, Roma-Lazio. Sì, proprio quello del selfie del Pupone dopo la meraviglia del gol del 2-2 in sforbiciata. Io sulla neve della Coppa del Mondo insieme alla bellissima Lindsey Vonn e al Tiger Woods mascherato che si è rotto il dente davanti chissà come, dove e quando. Calcio e sci. E il basket? L’abbiamo per una volta lasciato nel cestino. Che dorma pure tra le sue miserie e le sue stelle di latta. Piatto come una sogliola. Vivace come l’Anonimo Veneziano. Noi ci siamo sentiti per telefono. Attilio Caja è un bravo allenatore. Eppure è a spasso. Incredibile ma vero. Anche se lui dice d’avere un contratto che lo lega ancora a Firenze. Dove la pallacanestro è morta. L’anno scorso è passata di lì anche l’EuroLega con Siena campione d’Italia: qualche sussulto, qualche scintilla, ma il fuoco neanche stavolta si è acceso. Sembra che tra i guelfi e i ghibellini, sull’Arno, esista solo la Fiorentina. Di viola vestita. Meditate gente, meditate. Prima di darmi alle fiamme come Girolamo Savonarola. E così è pure a Genova, un’altra città totalmente nel pallone. Che nessuno si sogna di buttare anche in un canestro. “A Firenze hanno speso persino un milione d’euro per rimettere in piedi il palasport di Campo di Marte”. Grazie a Matteo Renzi magari? “Forse, ma io alla partita di basket non l’ho mai visto. Quest’autunno poi si sarebbe ancora potuta rigiocare la Silver disputando lo stesso campionato che oggi ha al vertice e di nuovo in auge Treviso. Ma gli sponsor si sono tirati indietro all’ultimo momento. Uno in particolare”. E così sei rimasto a zonzo: prima illuso e poi buggerato. “Solo adesso, a posteriori, posso dire che non è stata una scelta proprio felicissima. Anche perché nella mia carriera solo in un’altra occasione ero sceso di livello quando accettai d’andare a Rimini”.
Vent’anni, anno più anno meno, di serie A. Cominciando dalla sua città: la Pavia di Barbara Bandiera. “Prima come vice di Taurisano e di Paron Zorzi”. Ottimi maestri. “Poi per due stagioni la prima squadra in A2”. E dal ’94 la capitale. “All’inizio della carriera ritengo d’essere stato un allenatore soprattutto fortunato. Nel senso che ho avuto la possibilità d’allenare squadre di piazze molto importanti”. Come Roma e Milano, preso e ripreso, o Pesaro e Napoli. “Ma non dimenticherei la storica annata 2005-2006 alla guida di Roseto con un quintetto formato da Busca, Cavaliero, Malaventura, Casoli e Jack Martinez pivot”. Chi? Lo Squalo ballerino della Repubblica Dominicana? “Sì, proprio lui. Ci salvammo, ma poi la società anche allora non trovò i soldi per iscriversi alla serie A”. E qui comincia il periodo nero. “Beh, proprio nero non direi. Nel 2007 Corbelli mi richiamò a Milano al posto di Markowski che aveva vinto, se non sbaglio, una partita su sei o sette. Ebbene finimmo al terzo posto, battuti in semifinale dalla grande Siena. Quella tanto per capirci di Stonerook, Sato, Thornton, McIntyre, Kaukenas, Lavrinovic”. E c’aggiungerei anche Ilievski, Eze, Ress e un certo Drake Diener. “Sì proprio quella. Di più: conquistammo anche la riconferma in Eurolega”. Bene, no? “Sì. Peccato che io poi rimasi a piedi. E con me anche Coldebella e Baldi”. Cosa avevate mai combinato? “Niente. Semplicemente Giorgio Armani acquistò la società da Giorgio Corbelli e Livio Proli, come succede in tutte le aziende che cambiano padrone, volle ricominciare da zero”. Ed è qui che comincia la tua parabola discendente? Lo provoco e lui reagisce. Sento che soffre e ci sta male, ma non s’arrende. Che poi è quello che volevo. “In effetti a Udine il signor Snaidero mi mandò via dopo otto nove partite”. Che in verità furono sette: una vittoria e sei sconfitte. Il signor Snaidero o la signora Snaidero? “Lascia perdere. Ma poi arrivò Meo Sacchetti che riuscì a fare anche peggio di me. Difatti licenziarono pure lui e Udine retrocesse in malo modo”.
Stiamo parlando di storie e fatti realmente accaduti non un secolo fa, ma nel 2009. A dimostrazione di come il tempo bruci tutto così in fretta e non ci si volti quasi mai indietro per constatare, rivendendoci, che in fondo non eravamo poi così male. Eravamo comunque migliori d’oggi: questo è poco ma sicuro. Oggi c’è solo l’EA7 Milano. Il resto è noia. O quasi. E di nuovi allenatori, bravi e rampanti, non se ne vedono molti all’orizzonte. Penso ad alta voce e Attilio, che da quattro lustri chiamo Artiglio, non si lascia sfuggire l’occasione per riprendere il filo del discorso. “Sono in effetti contento che la pensi uguale a me”. Attento a quel che dici: lo dico per te. Sanno tutti che siamo amici. Sorride finalmente: “Anch’io ritengo che quest’anno i migliori allenatori siano stati Recalcati e Pancotto per quel che stanno facendo a Venezia e a Cremona”. E magari tifi per loro? “E’ poco ma sicuro”. Nonostante con Cremona non ti sia lasciato molto bene. Soprattutto con Topo Gigio Gresta. “Quello non lo considero proprio”. Ecco l’Artiglio che conosco. E allora batto forte il ferro finché è caldo e gli chiedo a bruciapelo: a Cremona chi ha voluto Peric? “Io. Però con me Peric ha giocato solo una partita e poi si sono fatti belli gli altri”. E Superbone Vitali? “Mi presero tutti per matto quando lo portai con me a Cremona. E invece…”.
Qui i tre puntini e pure un lungo sospiro anche ci stanno. Non sarà allora, domando, che la tua amicizia con Corbelli ti abbia danneggiato più della mia con te? “Ad onor del vero Corbelli mi ha anche mandato via da Roma e da Milano”. Sì, ma poi ti ha anche ripreso. “E ho fatto bene”. Vorrai dire che ha fatto bene? “Beh, di Milano ti ho già detto. E di Roma lo sai”. So cosa? “Che nel ’96, se può contar qualcosa, sono stato eletto allenatore dell’anno in serie A. E quattro anni dopo, al mio ritorno nella capitale dopo la parentesi con la Scavolini, abbiamo vinto a Roma la SuperCoppa. Battendo in finale la Kinder di Ettore Messina e Predrag Danilovic. Non so se mi spiego”. E’ stata questa da allenatore la tua più grande soddisfazione? “Forse. Ma mi piace anche ricordare d’aver battuto con Milano il Real Madrid in casa e fuori. E d’aver allenato giocatori come Carlton Myers, Magnifico, Coldebella, Allen o Danilio Gallinari. E comunque Corbelli non ha mai regalato niente a nessuno e, soprattutto, non ha mai guardato in faccia nessuno”. Ho capito, mica son scemo.
Ma piuttosto dimmi: com’eri da giocatore? “Giocavo guardia e profanavo i campi di pallacanestro se è questo quel che vuoi sentirti dire”. Io vorrei caso mai capire la ragione per la quale sei fuori dal grande basket. Ammesso e non concesso che il nostro sia ancora un grande basket. Non avrai per caso un brutto carattere? Sì, insomma, un caratteraccio anche coi tuoi assistenti? “E’ vero: tratto male chi non ha voglia di fare, è indolente o svogliato, e si tira indietro. Se invece non avere un buon carattere significa essere esigente, do ragione a chi mi accusa di questo: sono molto esigente e per questo non piaccio. Soprattutto a quei dirigenti che sono nella pallacanestro da due o tre anni, o anche meno, come a Caserta, e sanno già tutto loro. E magari se gli chiedi chi sia Attilio Caja, ti rispondono: mai sentito nominare”.
Evviva. Eppure sei stato tanto volte in televisione. Con Laurito e tra poco di nuovo con Trigari. Ovviamente prima che anche Niccolò gli girasse le spalle. Non sarà che magari anche un po’ rompiscatole lo sei? O forse, come penso, sei così bravo nel tuo mestiere che fai paura persino ai tuoi colleghi? “In che senso?”. Che nessuno ti prende neanche come suo assistente perché c’è il rischio che gli fai ombra o peggio, detto fuori dai denti, perché teme che gli seghi prima o poi la panca. “Per la verità recentemente se ne era anche parlato che potessi fare il vice allenatore in un grande club. E avevo pure dato la mia disponibilità, ma poi non se ne è più fatto niente e non credo per le ragioni che tu prima hai elencato. Io so chi sono e soprattutto so che al mattino posso serenamente guardarmi allo specchio. Al contrario di qualcun altro”. E’ così che mi piaci. Dai, coraggio, Attilio: tifo per te. “Né darò mai una pacca sulla spalla ad un mio giocatore se non mi è piaciuto come ha giocato. Né mi piace far poesia ed enfasi in televisione. Né ho bisogno delle medaglie al collo per capire di che pasta son fatto. Conosco l’autocritica e ricordo anche che Ottavio Bianchi ha vinto un campionato con il Napoli come, prima di lui, nessuno c’era mai riuscito. Non so se mi spiego”. E, già che ci sei, della tua Inter che mi dici? “Che ho fatto bene ad andarla a vedere con un mio amico al Santiago Bernabeu il 22 maggio del 2010 perché avevo intuito che dopo quel giorno non avrebbe più vinto”. E adesso? “Ora c’è Mancini e almeno un po’ di dignità l’abbiamo riconquistata, ma questo non significa che Mazzarri sia un allenatore scarso. Anzi. E’ piuttosto che con l’Inter non è andato bene come a Reggio Calabria o a Genova o a Napoli”.
Con lui parlerei ore e ore di calcio. Anche perché non sempre la pensiamo allo stesso modo come nel basket. Però un’ultima cosa gliela voglio dire mentre spengo il telefonino e mi tuffo nella neve tra le braccia di Lindsey Vonn o in quelle di Anna Fenninger, che non è meno graziosa. Caro Attilio, se tu venissi dal paese di Pesic, Obradovic, Ivanovic, ai quali assomigli moltissimo, adesso alleneresti con successo come Dimitris Itoudis il Cska di Mosca. E magari vinceresti anche prossimamente l’Eurolega. Pensaci. E sappimi dire. Che all’estero t’accompagno volentieri. Così come lo vedo bene ora a Varese con Pozzecco manager. E una squadra, il prossimo anno, ovviamente tutta nuova.