Vespa, squali, sciacalli e cainani: lo zoo del Belpaese

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Ruud Gullit passava a prendere Licia Granello più o meno all’ora di cena e portava un plateau di pasticcini per tutta la redazione milanese di Repubblica, ma soprattutto per inzuccherare l’orso sardo, Gianni Mura, che andava matto per i cannoncini alla crema. Leggende metropolitane? Forse. Una sera comunque incontrai Licia e Ruud in via Turati dov’era anche la vecchia sede del Milan. Bevemmo un aperitivo insieme al bar che fa angolo con Fatebenefratelli discutendo piacevolmente del più e del meno. Treccina è un ragazzo molto dolce, ma quel giorno aveva i diavoli che gli tiravano da ogni parte i rasta. E gliene chiesi la ragione. “Mi ha fatto arrabbiare lo Squalo”. Lo squalo? “Sì, io lo chiamo così il dottor Galliani”. Non so bene perché vi sto raccontando questo. Ora me lo ricordo: volevo semplicemente sottolineare come a volte un soprannome, se azzeccato come quello che Gullit ha cucito addosso all’amministratore delegato rossonero, non te lo togli dalla pelle per tutto il resto della vita. Come un tatuaggio fatto a regola d’arte. Del resto Adriano Galliani era uno squalo nel secolo scorso e lo è ancora adesso. Sempre con la pinna a pelo d’acqua e sulla cresta dell’onda. Girando intorno ai pesci più piccoli che prima o poi divora. Senza contare quante barche in trent’anni ha affondato assieme al Cavaliere mascarato. Nemmeno il fido Ariedo Braida infatti è riuscito a sopravvivere al suo fianco e se ne è dovuto andare al Barcellona di Messi. Né a Paolo Maldini è mai stata data neanche l’opportunità di sussurrargli una sola parola all’orecchio. Eppure negli ultimi quattro campionati, e questo deve ancora terminare, il Milan del brucia panchine e degli acquisti idioti ha realizzato appena 230 punti contro i 352 della Juventus. Ovvero 122 in meno. Non pochi. Nel frattempo Treccina, pallone d’oro nel 1987, non è più Treccina perché s’è tagliato i capelli a spazzola e non so neanche quale fine abbia fatto. Ha anche allenato con alterne fortune (e per la verità scarsi risultati) il Chelsea, il Newcastle, il Feyenoord e i Galaxy di Los Angeles prima d’essere licenziato nel 2011 persino da una modesta squadra russa, il Terek Grozny. Poi il silenzio. Mentre Licia Granello s’è stufata di scrivere di calcio e dal duemila, dopo gli Europei in Olanda, vinti dalla Francia sull’Italia, e le dimissioni del grande Dino Zoff, lui sì vilipeso da quell’odioso Cainano di un Berlusca, s’è inventata sempre su Repubblica una rubrica enogastronomica di largo successo. Peccato che sia in dieta, ma prima o poi farò un salto in un paio dei dieci ristoranti della guida Michelin che domenica l’amica-nemica granata mi ha indicato in giro per l’Europa delicatamente chiamandoli stelle nascenti. A Oslo, Varsavia, Praga, Copenaghen, Dublino. Per una cena gourmand sorprendente. Dribblando la scontatissima Parigi. Dicevo dello Squalo e di Gullit. E di quanto sia davvero piccolo il mondo. Proprio oggi infatti l’Espresso ha svelato, nell’ambito dell’inchiesta sui Panama Papers, una seconda lista di cento italiani con soldi offshore. Tra i quali, dopo Carlo Verdone e Barbara D’Urso, anche Emanuela Barilla del Mulino Bianco e il nostro Adriano Galliani. Il quale, assieme ad altri due manager a quell’epoca targati Fininvest, Giancarlo Foscale e Livio Gironi, sono indicati dal settimanale come amministratori della Sport Image International delle Isole Vergini britanniche, la società fondata nel 1989 e facilmente riconducibile a Silvio Berlusconi, che una ventina di anni fa finì al centro di un’indagine giudiziaria per i pagamenti in nero ad alcuni giocatori del Milan. Tra i quali Marco Van Basten e, guarda un po’, Ruud Gullit. Parlavo all’inizio dei soprannomi come eternamente si adattino bene a certi personaggi. Il Cainano di Marco Travaglio trovo per esempio che sia indovinatissimo, mentre non mi entusiasma troppo il Neo confesso o l’Insetto affibbiato all’ossequioso Bruno Vespa. Che è molto peggio. Semmai lo Sciacallo se Galliani è lo Squalo. A Gianroberto Casaleggio doveva infatti essere ancora dato l’ultimo saluto che già lo Sciacallo aveva titolato a Porta a Porta: chi prenderà il suo posto a 5 Stelle? Glielo dico io: il figlio Davide. Ma non è questo. Il rispetto per la morte di un uomo non proprio qualunque. Idealista, misterioso, forse anche visionario e alieno, ma geniale prima ancora che silenzioso rivoluzionario e fondatore dell’esplosivo movimento grillino. Almeno quello. Caro dottor Vespetta. Dimenticando le partecipazioni imbarazzanti a Porta a Porta della figlia di Vittorio Casamonica e del figlio di Totò Riina. Povere stelle.