Perché alla Barbie Vonn preferisco Dorothea Wierer

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Ad Atle Skaardal non piace Cortina d’Ampezzo. Credo sia uno dei pochi al mondo e comunque ve lo racconto semmai un’altra volta perché il cinquantenne biondino norvegese con il naso rubizzo e gli occhi azzurri, dal 2005 direttore di gara della Coppa del Mondo femminile di sci dopo essere stato due volte campione del mondo di superG, in Sierra Nevada e al Sestriere, non va matto per la Perla delle Dolomiti e non resta incantato dalla sua bellezza. Così come a me non dice molto Lindsey Vonn e prendetemi pure per matto, ma m’intrigavano assai di più Tina Maze e Anna Fenninger anche se magari facevano fatica a regalarti un sorriso quando erano state magari battute da “quella”. Quella che poi altro non era che l’odiosa signorina Kildow che non salutava nessuno. Ovvero la più grande sciatrice (forse) di tutti i tempi. Prima però di parlare di Skaardal e della cagnolina Lucy, che dopo Thomas Vonn e Tiger Woods è l’ultimo amore non più segreto dell’americana del Minnesota, vi devo confessare che nello scorso fine settimana avrei voluto essere contemporaneamente in tre posti: a Cortina e a Kitzbuehel, ma anche ad Anterselva. Sì, anche ad Anterselva e ve ne sarei grato se non spalancaste la bocca per la meraviglia: non ho difatti mai nascosto la mia simpatia per il biathlon sin dalle Olimpiadi di Calgary, in Canada, del febbraio 1988. Quando Ubaldo Prucker m’indottrinò su questo affascinante sport che solo gli ignoranti del Belpaese accostano ancora a Giochi senza frontiere. Sarebbe troppo lunga adesso spiegarvi chi fosse l’Ubaldo, cittì degli azzurri sugli sci stretti e la carabina in spalla: vi dico solo che ne ho conosciuti pochi altri di uomini così entusiasti di quel che facevano e promuovevano senza secondi fini. Fatto sta che riuscì ad appassionarmi alle imprese di quel gran matto di Johann Passler, che a Calgary vinse il bronzo nella 20 km e in staffetta, e dell’Andreas Zingerle, che due anni dopo, ai Giochi di Albertville, aveva la medaglia d’oro già in tasca prima che all’ultimo poligono di Les Saises sbagliasse due centri in piedi che lo buttarono giù dal podio e lo lasciarono di ghiaccio. Un’estate andai anche a trovare Johann e Andreas nei loro masi ad Anterselva e raccolsi le loro semplici storie di ragazzi che portavano ancora le mucche tibetane e le capre da latte al pascolo e parlavano l’italiano come il meraviglioso Gustav Thoeni. Ecco mi sarebbe quasi quasi piaciuto più di raggiungere il paradiso del biathlon ai confini con l’Austria che di perdermi nell’inferno di Kitz, dove al sabato sera almeno quattro su cinque giovinastri girano per le strade del piccolo centro ubriachi fradici e molesti. Lo so benissimo: sabato sulla Streif  ha trionfato in discesa Peter Fill che era da Kinder il mio occhio destro e avrei scommesso che sarebbe diventato l’erede di Alberto Tomba se gli amici della Val Pusteria non lo avessero allevato nella bambagia e non lo avessero convinto a rinunciare agli slalom. Mentre domenica Lindsey Kildow Vonn sulla pista olimpica delle Tofane è diventata con la vittoria in superG e l’undicesimo successo ampezzano l’indiscussa regina delle nevi di Cortina. Anche se l’unica rivale che le è rimasta da battere nelle gare veloci è la capricciosa Lara Gut e nessun’altra discesista. Così come ben diversa sarebbe stata comunque la musica se ancora la Maze e la Fenninger le fossero d’intralcio ai suoi record. Ecco non mi sarebbe dispiaciuto di festeggiare con Peter Fill, nome e cognome da attore, e con quell’attrice mancata di Hollywood che è la ex Barbie di Tiger Woods. Nonostante Cortina nei confronti della Coppa del Mondo sia più fredda di un iceberg a forma di sfinge e i quattro gatti sulle tribune di Rumerlo siano quando va bene, e quest’anno è andata meglio del solito, un decimo di quelli che affollano abitualmente i parterre di Kitzbuehel e di Anterselva. Per non parlare dei quarantamila di Schladming che hanno seguito ululanti lo slalom di martedì in notturna e l’ennesimo fantastico duello tra quei fenomeni di Kristoffersen e Hirscher. Ecco, se non avessi avuto una febbre da cavallo che mi ha inchiodato a letto, probabilmente avrei comunque preferito Antholz a Cortina e a Kitz. Non fosse altro perché mi stuzzicava conoscere da vicino Dorothea Wierer. Come ha fatto Alessandra Retico, bella penna di Repubblica, che da Rasun è salita in paradiso percorrendo gli stessi “tornanti arrampicati sul cielo” che mi fecero innamorare di quei boschi “dove si rifugiava anche Enrico Mattei nella sua casa sul lago senza luce né telefono”. E dove è nata e cresciuta questa meraviglia di ragazza del biathlon azzurro che quest’anno ha vinto tre gare di Coppa del Mondo. Sorridendo alla vita come Johann e Andreas, i suoi maestri e concittadini di Antholz. Doro spara anche più svelta di loro. E pure sugli sci va come un treno. Però correrle dietro sarà anche per voi comunque un piacere. Da qui alle prossime Olimpiadi.