Non ci sono più scorciatoie: o si è fascisti o si è comunisti

monaco

Toglietemi tutto. Anche la terra sotto ai piedi. Ma non il mio Scacciapensieri. Che mi rilassa, disintossica, libera la testa. Saltando di liana in liana. Come le scimmie. Dalle quale discendo anch’io, ma sono persino più curioso di loro. Invocando il diritto d’essere scemi. Come ha scritto Mattia Feltri. Al quale la figlia qualche mese fa ha domandato: sei fascista o comunista? “E io, né l’uno né l’altro. Lei non capiva, non è possibile, o fascista o comunista, me lo hanno detto i miei compagni di prima media: devo decidere”. Mattia è figlio di Vittorio, il direttore di Libero che tiene un busto di Benito Mussolini in salotto, e ha sposato Annalena Benini, giornalista del Foglio e nipote di Daria Bignardi, ex Raitre. Un gran pastrocio, mi viene da pensare a voce alta. In veneziano. Ma capisco molto bene Benedetta. Oggi o sei nero o sei rosso. Ha ragione lei. Non esistono più le vie di mezzo. Una volta almeno c’erano i democristi, imperanti spartiacque tra fascisti e comunisti. Anche se Giorgio Gaber si chiedeva: ma cos’è la destra e cos’è la sinistra? Ma lui era senz’altro di sinistra anche se aveva sposato una di destra, Ombretta Colli, senatrice della Casa della Libertà per due legislazioni berlusconiane. Cantava: “Quasi tutte le canzoni sono di destra. Se annoiano, son di sinistra”. Lucio Battisti era di destra, Rino Gaetano di sinistra. E allora? Nun te reggae più è unica. Come I giardini di marzo. “Io pensavo a mia madre e rivedevo i suoi vestiti: il più bello era nero e coi fiori non ancora appassiti”. “Eja alalà, pci psi, dc dc, dribbla Causio che passa a Tardelli, Musiello Antognoni Zaccarelli, Gianni Brera: nuntereggaepiù”. Con piacere ho letto che anche Gianni Mura ritaglia i pezzi. Di Ezio Mauro per esempio. Come faccio io nel mio piccolo. E difatti conservo ancora un’ottima intervista di Simonetta Fiori su Repubblica a Silvia Giacomoni, la moglie di Giorgio Bocca. Di cui devo avervi già parlato, ma non di quella volta in cui “accompagnai Bocca in macchina a Monaco di Baviera per le Olimpiadi del 1972. Aveva la gamba di gesso e non poteva guidare. Fu in quella occasione che Brera, coordinatore dei servizi sportivi del Giorno, gli fece la carognata più grande”. Quale? “Lo tenne all’oscuro dell’attacco terroristico palestinese alla palazzina che ospitava gli atleti e i tecnici della squadra israeliana. Voleva segarlo. Ma lui dal villaggio olimpico dettò ugualmente una delle sue cronache migliori. E reagì con Brera senza rabbia”. Quarantacinque anni fa. Giusto oggi. Peccato che nessuno quotidiano se lo sia ricordato. Eppure fu un massacro nel quale morirono tutti gli undici ostaggi, assassinati a colpi di mitra, oltre agli otto uomini del commando di Settembre Nero e a un povero poliziotto tedesco. Ma non vi dovete meravigliare se il primo attentato nella storia dello sport non interessa più a nessuno. Al contrario dovreste anche voi cominciare a preoccuparvi, come il grande Giancarlo Sarti, amico fraterno di Boscia Tanjevic, se il lupo non mangia più la nonna o se l’Italia di Sventura stasera non batterà Israele: sarebbe una vera e propria Apocalisse come è già stata puntualmente preannunciata da Repubblica. Mentre l’Italia di Messina, che è nato a Catania, scende in campo tra qualche minuto con la Germania. E quindi depongo in tutta fretta lo Scacciapensarei non prima però d’aver confessato a Benedetta Feltri che anch’io un tempo ragionavo come Mani, il profeta persiano che predicò il manicheismo: una cosa o è bianca o è nera. Poi sono diventato bianconero e così mi sono tolto almeno questo pensiero.