Sassari una delusione: fiacca, lunatica e senza difesa

Mi viene da morire pensando che adesso tutti, ma proprio tutti, diranno che quelli di Sassari sono stati comunque bravi. A far cosa? Mi spiace, però per l’ennesima volta non sono assolutamente d’accordo. E non perché sono un gran figlio di buona donna e l’occhio destro di Bastian Contrario, anche se avrei preferito il sinistro. O perché speravo che Siena si potesse giocare l’ultima delle finali della sua irrepetibile storia con i cugini Diener ormai al caffè con panna, dopo la frutta, o quasi. Ma semplicemente perché non mi sono fatto incantare dalla conquista della Coppa Italia o da qualche vittoria del Banco Sardegna su Milano che, non dimentichiamolo, ha perso due volte nei playoff pure con Pistoia. Questo non significa che non abbia stima per Meo Sacchetti, uno dei miei tre eroi preferiti nel trionfo azzurro di Nantes 1983. Gli altri due furono Caglieris e Vecchiato. O per Stefano Sardara che, di tutti i padroni del vapore, è per me il numero uno. Con un paio di piste di vantaggio sul secondo. Difatti venerdì lo proporrei all’unanimità presidente della Lega di serie A. Così tanto per vedere che faccia farebbero Giannino Petrucci e i suoi amici commissari. Dal cane Rex a Basettoni. Però proprio per queste ragioni sarei due volte disonesto se mi unissi al coro di quelli che battono le mani, tutti in piedi, per la squadra orgoglio dei sardi, come hanno fatto ieri sera quei due gran ruffiani di Dembynsky, o come cavolo si scrive, e di Michelini, che deve avere parenti e amici da quelle parti, al termine della più ossequiosa e lagnosa telecronaca dell’ultimo millennio. Non so voi, ma io mi sono appisolato, mi sembra, sul 21-41, cioè ben prima dell’intervallo con i mamuthones, i campanacci e le trombette che mi hanno risvegliato. Quando solo un ultrà dell’Armani come Denbinsky, o come cavolo si chiama, che una volta cade dal pero e l’altra dalle nuvole, non si è accorto che Sassari era cotta a puntino e che Milano se la sarebbe divorata anche senza le mascelle selvagge di Gentile e Langford oltre a quelle di Hackett e Wallace lasciati (in dieta) a casa. E allora coraggio: di nuovo a me toccherà l’ingrato compito, come al solito, di far notare al popolo in delirio che il Banco Sardegna con i due Green e i due Diener, più Thomas, Johnson, Gordon e Eze, non è costato proprio due euro. Insomma avrebbe potuto far senz’altro meglio dell’esclusione dall’Eurocup agli ottavi di finale e del quarto posto in regular season alle spalle di Siena e Cantù. E a pari vittorie e sconfitte (ben 12) con Brindisi. Non so se mi spiego. Sassari al massimo è stata divertente un paio di volte al mese, ma non ha mai difeso per tutto l’anno ed è sempre stata in balia delle lune di Drake Diener. Ma soprattutto è parsa una squadra spesso con il fiato corto e quindi allenata non dico male, ma neanche moltissimo e comunque non in grado di giocare una partita ogni due giorni come la tanto bistrattata Armani di Luca Yoghi Banchi o la tanto biasimata Siena di Messer Minucci. Sì, di Ferdinando Minucci, proprio lui: perché chi l’ha fatta senza soldi questa squadra? Mio nonno in cariola? E chi ha scambiato Daniel Hackett con Marquez Haynes stipendiato da Milano? Lasciamo stare perché in chiesa, mi dicono, non si può parlare del diavolo. Ma datemi voi un’ultima risposta: da quale pulpito viene la predica? E dov’è l’acqua santa?