Se date Reggio Emilia per morta magari vi sbagliate

james

Le è andata ancora bene: ha perso di 43 punti, ma è stato sotto anche di 47. Se non ho fatto male i conti. Di sicuro è stata doppiata da Avellino sul 94-47. E su questo non ci piove. Mentre la gente del Paladelmauro faceva la ola, gettava il sale sulla panchina ospite, se non erano uova, suonava il tamburo nei timpani di Max Chef Menetti e il pretone Sacripantibus spediva sul parquet persino Salvatore Parlato con la sua barba da gesuita che mi ha ricordato Robert De Niro in The Mission, Palma d’oro nel 1986 al Festival di Cannes. Il film è stato girato sopra le cascate d’Iguazù, una delle dieci meraviglie della Terra. Al confine tra Argentina, Brasile e Paraguay. Dove nel ferragosto del ’90 sono stato un paio di giorni con Lorenzaccio Sani e Tatta-tira Iannacci, due grandi compagni di bisboccia. Provo a cambiare discorso, arrampicandomi sugli specchi, per evitare di parlare di una partita che non c’è stata ed è finita sul 30-10 del primo quarto. Da Iguazù a Buenos Aires saranno state neanche due ore di volo. Però non avevamo tenuto conto che dall’altra parte dell’equatore l’agosto cade in pieno inverno e quindi una nebbia molto fitta era calata sul piccolo aeroporto impedendo il decollo dell’aereo. E tutti e tre, presi dal panico, avremmo dovuto scrivere per i nostri giornali la semifinale di quello splendido Mondiale tra la Jugoslavia di Dusan Ivkovic e gli Stati Uniti d’America di Mike Krzyzewski. E la nebbia non si decideva ad alzarsi. Insomma, per farla breve, arrivammo col cuore in gola al palasport del Luna Park della capitale giusto in tempo per la palla a due tra Vlade Divac e Alonzo Mourning. Non so se mi spiego. Mentre a Salta l’Italia di Sandro Gamba e Paron Zorzi si consolava con il successo sulla Spagna di Antonio Diaz Miguel e il nono posto finale. Vinsero i plavi 99-91. Che poi conquistarono l’oro stracciando l’Unione Sovietica di Vladas Garastas. Era la Jugoslavia di Perasovic, Kukoc, Paspalj, Obradovic, Komazec, Savic e Divac. Un’altra meraviglia del mondo. Altri tempi. Altro basket. Con gli Usa, solo terzi, a fatica su Portorico e, di conseguenza, non si contarono i suicidi a catena dei disperati giovincelli della Banda Osiris. Sì, d’accordo, ma della GrissinBon cosa ci dici? Il nome l’avete fatto voi, io non la volevo neanche nominare: non se lo merita e lascio che sia Alessandro Dalla Salda ad appenderla domattina all’attaccapanni dello spogliatoio. Intanto ci ha pensato il buon Mario Canfora (C10H16O) a strapazzarla con una serie di quattro in pagella da far paura e un quattro e mezzo a Ricciolino Della Valle solo per dire che è stato lui il migliore della ribelle Reggio Emilia e affondare gustosamente il dito nella piega. Così ha fatto contento almeno Giannino Petrucci che ultimamente non ho più sentito e visto da nessuna parte. Forse è andato a nascondersi. Bravo: era ora. Però se anche Pallino Fanelli, tra un colpo al cerchio e uno alla botte, s’è azzardato a pronosticare che “adesso la favorita di questa semifinale è Avellino”, facciamo una bella cosa. Lui si tiene la Sidigas e io mi prendo la GrissinBon. E ci giochiamo sopra dieci pizze e birra. Chi perde paga. Qua la mano. Anche se l’infortunio a Veremeenko, che non giocherà neanche le eventuali finali con Milano, è un colpo basso che fa molto male soprattutto se l’alternativa è lo zavoratto Golubovic che è un pesce fuor d’acqua. Mi posso anche sempre sbagliare, e non sarà la fine del mondo, ma credo di conoscere i miei polli. Per esempio Polonara, con una sola elle, mi raccomando, e Aradori, quando hanno il dente avvelenato, non sono farina da far ostie e hanno più d’una ragione per non lasciarsi di nuovo mettere le zampe in testa dall’arrogante Nunnally o da chi per lui. E ancora: Kaukenas e Lavrinovic non possono chiudere la loro bella avventura a Reggio Emilia in questo modo. E’ vero: la squadra di Max Chef Menetti è lunatica. Per non dire capricciosa. Nel senso che, se non si complica la vita, non è contenta. Però è proprio da questo vizietto che spesso ha costruito le sue più grandi imprese. Come l’anno scorso in gara 7 di semifinale a Venezia: la davano ormai tutti per morta, aveva i giocatori contati e quelli sani parevano stare in piedi per scommessa, eppure riuscì a mettere in croce la Reyer di Goss e Stone. Staremo a vedere. Intanto vi do una notizia che brucio alla Gazzetta che se la dorme come il suo Ghiro d’Italia. Dmitry Gerasimenko, che è padrone e allenatore della Cantuki dei canestri, dopo aver offerto una pipa di tabacco a Re Carlo Recalcati ha bussato alla porta di Vincenzino Esposito che, insisto, non vuole più stare a Pistoia, e si sono fatti una bella chiacchierata a quattr’occhi. O forse anche a sei se lo sono venuto a sapere anch’io che non mi sono mai mosso in questi giorni di playoff da Venezia e che lo farò solo domani. Quando sarò a Reggio Emilia per incontrarmi con Pallino Fanelli e sancire con una stretta di mano la nostra scommessa di dieci pizze e birra. O, se preferisce, di una cena di pesce dove dico io. Ovviamente in laguna. Dove ho anche portato Tomas Ress, il mio capitano, che ha molto gradito.