Re Carlo abdica: non poteva stare nella gabbia dei matti

recalcati

Vi dico la verità, come (quasi) sempre: ci sono rimasto male. Re Carlo è sceso dal trono e se ne è andato da Torino. Senza sbattere la porta. Perché non è nel suo stile. Ha abdicato per la prima volta nella lunga e onorata carriera e chissà cosa deve essergli costato. Ma non poteva neanche diventare pazzo in quella gabbia di matti. E non me la prendo stavolta solo con i Do Forni che hanno fatto di tutto per trattenerlo. Anche se le colpe sono principalmente di una società allo sfascio. Ma con una squadra di tante soubrette e di troppi piantagrane. L’interregno di Carlo Recalcati è durato in effetti molto poco: solo tre partite di campionato, le prime tre del girone di ritorno, tutte e tre perse. Di 14 punti in casa con Brindisi e di 12 a Sassari. Poi ieri al PalaRuffini con Avellino: 0-15 in sette minuti. E ho spento la televisione dopo la terza bomba del terribile Ariel Filloy che a Venezia ancora rimpiangono. Quattro tiri in padella di Findus Vujacic: e poi gli avanza anche di parlare. Okeke nemmeno il ferro, Iannuzzi incenerito da Fesenko: facciamoli anche giocare gli italiani, deo gratias, nel quintetto iniziale, però almeno che siano un po’ più bravi e determinati. E comunque, se questo è quel che passa il convento azzurro, il futuro per la nazionale di MaraMeo Sacchetti è sul serio paurosamente tristissimo. Washington farfallone e Garrett giulivo. Mancava Lamar Patterson, che vuole andare via, magari al Barcellona, e ci vada, basta che lo dica chiaro e tondo, ma non tiri fuori la scusa di una caviglia storta perché la sua era domenica più dritta di una lama. Così come niente e nulla possono giustificare uno 0/14 dal campo o la difesa in bambola contro una Sidigas che oltre tutto le sue belle palle le aveva pure perse e non aveva di certo un Rich in serata di grazia. E adesso? Re Carlo tornerà a Cantù dai suoi nipotini e un giorno potremmo anche raccontarcela. Con più calma. Di sicuro non poteva restare un minuto di più in quella santabarbara che non posso pensare non fosse già scoppiata con Luca Banchi al timone. Altrimenti ci prendiamo in giro o facciamo i bambini che credono ancora alle favole. Anzi, conoscendo il maremmano, e la sua astuzia volpina, non vorrei che abbia proprio preso la palla al balzo della baraonda di Masnago per tagliare anzi tempo la corda passando per un eroe dei due mondi agli occhi della stampa amica e dei tifosi un po’ grulli e creduloni. Ora la Fiat è nelle mani del vice Re: si chiama Paolo Galbiati, 33 anni e si metterà la croce sulle spalle sin da mercoledì in EuroCup nel match decisivo con lo Zenit di San Pietroburgo. Viene dalle giovanili dell’Olimpia Milano e a Torino la scorsa estate l’ha portato proprio Banchi. Mi dicono sia un ottimo assistente, ma non credo che sarà l’allenatore dell’Auxilium nella corsa ai playoff che comincia a farsi complicata dopo il ritorno di fiamma dei grissini di Reggio Emilia e dei trentini di Fred Buscaglia. Perché non scopro l’acqua calda se dico che la Fiat è una società ambiziosa, ma neanche penso di sbagliarmi se sparo il nome del probabile successore di Recalcati: Pio Cesare Pancotto, per altro già contattato dai Do Forni prima del no di Don Gel Scariolo e il breve fidanzamento con Luca Banchi. Staremo a vedere. Tifando per quella pasta d’uomo che è Pancotto. Intanto mi spiace pure moltissimo che sia saltata la sfida dei quarti di finale di Coppa Italia in programma tra dieci giorni al Nelson Mandela di Firenze tra i campioni d’Italia della Reyer e i torinesi di Antonio e Francesco Forni. Ovvero Ray-Ban De Raffaele contro Re Carlo Recalcati. Ovvero l’allievo contro il maestro. Peccato davvero.