Voglia di scrivere saltami addosso. Il calcio del resto mi ha stomacato al punto che non ho visto un solo duello del Mondiale degli sceicchi. Neanche la finale. Poi i 15 punti di penalizzazione inflitti alla Juventus hanno fatto il resto. Tanto che non ho nemmen0 buttato l’occhio sugli highlights della serie A delle partite di domenica. E lo giuro: vivo bene lo stesso. Certo, forse vivrei ancora meglio se non leggessi ogni giorno la Gazzetta che mi ha tolto il piacere di scrivere. E’ vero. Come fa mio figlio Bicio dal 2006. Anche se ho clamorosamente sbagliato l’uso del verbo: le prime trenta pagine del quotidiano sportivo di Umberto Cairo infatti non si possono proprio leggere. Al massimo si sfogliano. Fatta salva qualche rara eccezione che conferma la regola. Come il pezzo di Dan Peterson, più DinDonDan del solito, che ieri si è infilato “In contropiede” tra un Di Maria, che per me potrebbe tornarsene in Argentina pure domattina che sarebbe già tardi, e un Gattuso che divorzia dal Valencia. La qual cosa non potrebbe importarmene di meno. Proponendo l’assurdo di un campionato con due italiani sempre in campo quando per me sono già di troppo Andrea Spissu nella Reyer o Nico Mannion nella Virtus conoscendo le cifre da capogiro che prendono (beati loro)?
O forse avrei dovuto attentamente leggere l’intervista che ha fatto Luigi Garlando, che scrive libri per mocciosi, a Paolo Maldini? Il quale, invece di preoccuparsi del suo Milan che è stato sbattuto fuori dal Toro al primo turno di Coppa Italia o dei cinque gol, se ho contato bene, che ha beccato dal Sassuolo rischiando ora di non giocare la prossima Champions come le è spessissimo capitato negli ultimi due lustri, è prodigo di consigli per la Juve che fu di Gianni Agnelli. Al quale non so se abbia mai stretto la mano. Non credo. O per caso pensate che abbia così tanto tempo da perdere durante il giorno anche per correre dietro agli articoli a quattro mani come i carabinieri di Vincenzo D’Angelo e Andrea Elefante di presentazione di una sfida di Coppa Fragola o di Filippo Conticello e Davide Stoppini come oggi che s’arrovellano ad interpretare il Simone Inzaghi-pensiero sull’Inter che sarebbe in piena corsa per lo scudetto se non ci fosse il Napoli? Peccato che il Napoli del travolgente Osimhen, comprato con 20 milioni di plusvalenze-patacca, abbia tredici punti in più in classifica, ma queste evidentemente sono quisquiglie per chi nell’animo è intertriste o è in malafede.
Dunque dove eravamo rimasti? Bella domanda. Alla quale però non ho alcuna intenzione di rispondere. Perché? Perché le domande oggi le faccio solo io. E soltanto di pallacanestro. Una, nessuna, centomila. Vedremo come mi gira. Le risposte invece ve le darete solo voi. Se vi va. Altrimenti fate pure a meno. Tanto meglio: così non le sbagliate e non vi boccio. Meglio tardi che mai ho infatti scoperto a settantatre anni che nella vita fai fortuna se sei ruffiano o, più ancora, se sei strafottente come Ettorre il Messi(n)a o Aurelio De Lamentiis che dà delle “merde” a tutti e non trova mai uno che lo prenda per quei capelli che ogni mattina si fa impomatare dalla lingua di una vacca trentina della Val di Sole. Dove, diciamo, ho passato per tre estati due settimane in ritiro con il suo Napoli e alla terza, quella quando arrivò a Dimaro il meraviglioso Gonzalo Higuain, ho avuto la soddisfazione di mandare il presidente De Laurentiis dritto dritto a quel paese. Dove “sapessi quanta gente che ce sta” come cantava l’immenso Alberto Sordi. Ma questa ve la racconterò nel mio libro. Del quale ho già il titolo e l’editore. Mi manca solamente la voglia di scriverlo. Però ci sto pensando ed è già per me moltissimo.
Anche se non fossi stato in rotta con il calcio d’elite non mi sarei comunque mai seduto in poltrona prima di cena davanti alla televisione per Fiorentina-Torino, né m’interessa adesso sapere chi delle due squadre più odiose d’Italia ha conquistato l’accesso alle semifinali di Coppa Italia. Nel pomeriggio ho invece visto a spezzoni la diretta di Pordenone-Renate su Sky Sport 1, mio Dio come siamo caduti in basso, non io ma loro di Sky che pur continuano a darsi un sacco arie. Non mi credete? Fate male. E allora vi dico che nel variopinto stadio di Lignano Sabbiadoro, che una volta avrei chiamato civettuolo, davanti a non più di cinquantasette gatti, li ho contati, la capolista allenata da Mimmo Di Carlo non è andata oltre l’1-1 con lo spavaldo Renate che era addirittura passato in vantaggio con tale Alessio Nepi che al quarto minuto ha ribattuto in rete da un metro e mezzo una palla respinta dal palo. Del resto non ridete, ma mi devo pur abituare a seguire il girone A della C1 dove di questo passo, sollecitati dai quotidiani di regime, l’ingiustizia sportiva manderà a giocare il prossimo anno la Juve di Acciuga Allegri. Mentre, state sereni, cari aficionados, non ho mai abbandonato il basket al quale resterò sempre affezionato nonostante mi faccia spesso arrabbiare e a Massimo Zanetti, il patron della Segafredo, non sia stato nemmeno concesso, come a me con De Lauretiis, di lamentarsi della manifesta arroganza del Messi(n)a perché Giannino Petrucci è arrivato persino a squalificarlo per questo motivo da luglio a novembre.
Ma com’è possibile? Stop e qui vi fermo. Non eravamo forse d’accordo che oggi le domande pirandelliane, una nessuna centomila, senza risposta, e quindi retoriche, le avrei potute fare solo io? Or dunque mi chiedo: perché Giovanni Malagò non ha provveduto piuttosto ad istruire la giustizia del Coni per eventualmente deferire il presidente della Federazione italiana pallacanestro che resterà in carica sino al 2033? Il quake da mesi ha preso di mira la Virtus e le fa la guerra affermando che lui non andrà più a vedere una partita a Bologna finché ci saranno “quei dirigenti in società e quei tifosi sugli spalti che ce l’hanno con il povero Ettore”? Non sono un tifoso delle vu nere e prova ne sia che ho scritto illo tempore sul giornalino della Fortitudo nonostante l’opposizione di Andrea Bassani, Iena ridens, nonchè vice capo ostinato della Banda Osiris, che mi avrebbe preferito vedere disoccupato dopo che avevo mandato in mona Andrea Riffeser, il Giorno e il suo Qn. E nemmeno della Reyer se è questo che vi preme sapere. Ma del Basket Mestre 1958 di cui mio padre è stato uno dei soci fondatori. Come del resto del Derthona il padre dell’attuale presidente del club di Tortona, oggi terzo in A1, Marco Picchi, con il quale mi sono incontrato prima della partita di domenica al Palaverde di Treviso e che, ve lo anticipo subito, mi è parecchio piaciuto avendo riscontrato in lui molte altre affinità in comune. Né Luca Baraldi, attaccato un po’ da tutti, abbisogna d’un avvocato d’ufficio. Però mi rincrescerebbe non poco se al re del caffè passasse la voglia di continuare ad investire pesantemente nella Virtus e lasciasse il campo libero all’Armani. Che è poi quello che magari s’augurerebbero Pappa e Ciccia, alias Petrucci e Messina?
Altre domande (vedi foto, ndr)? Sì. Ma domani o dopo. Nel frattempo non vi sarà passato inosservato il fatto che poco o nulla mi è sfuggito da quando sono stato all’ospitalissima Segafredo Arena per Virtus-Reyer (79-78) di metà gennaio risolta da una magia da tre punti e da otto metri di quell’amore che è Monnezza Teodosic. Inarcandosi all’indietro con le mani di Mitchell Watt sugli occhi e alzando la parabola del tiro. Ecco dove ci eravamo lasciati: me lo ricordavo benissimo. O pensavate davvero che fossi rincoglionito? Così come non mi dimenticherò a chi dovrò fare le domande graffianti prossimamente su questo schermo. A Napoleone Brugnaro per esempio che con i giocatori indolenti della Reyer è diventato un creme caramel. O a Citofonare LaMonica che non so cosa ci facesse a Venezia per vedere una partita d’EuroCup invece di star dietro ai suoi arbitri che non sono mai stati così scarsi e confusi come in questa stagione. Ma nessuno ne parla e allora presto lo farò io. A modo mio e andando molto a fondo. O a Pierin Guerrini di Tuttosport al quale ho già assegnato il Premio Ridolini del mese di gennaio. O al presidente del Consorzio della NutriBullet che mi ha tolto il saluto quando non ho mai fatto ancora il suo nome tra le scemenze che scrivo e mai lo farò, cascasse il mondo, su questo blog che per fortuna non legge nessuno. Ma evidentemente ha la coda di paglia. E allora gliela taglierò. Senza dargli la popolarità che va cercando e di cui non si merita neanche un’unghia.