Non ce l’ho con Messina ma coi suoi adulatori untuosi

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Se proprio vi diverte prendere tutti per il cestino sgomitando tra voi per salire sul pulpito e sparare da lassù verità nelle quali invece non avete mai creduto, nessuno per carità ve lo vieta. Anzi, fatelo pure: siete troppo spassosi. Basta che mi lasciate fuori dal vostro doppio gioc(hett)o. Altrimenti m’arrabbio sul serio e divento cattivo. Più del lupo mannaro. Adesso, poveri stupidi, avete scoperto Attilio Caja e sostenete che è assai bravo. Mentre quando lo dicevo io, ridevate di me e di lui. Ma neanche vi bado e vi domando soltanto: dove eravate meno di un lustro fa quando il mio pavesino era finito ad allenare a Firenze non mi ricordo più in quale serie? Magari stavate già correndo dietro al Patata Di Carlo schiumando rabbia perché nella scorsa primavera era stato battuto in volata da Enzino Esposito nella corsa per essere eletto mister dell’anno. O dico monate? Non credo. A tempo perso Artiglio era anche d’estate il cittì della nazionale sperimentale nella quale Simone Pianigiani credeva molto e non si sbagliava perché uno dei quintetti di Caja era ad esempio questo: Fantinelli, Abass, Tonut, Pascolo e Biligha. E aggiungeteci magari pure Mian, Baldi Rossi, Iannuzzi, Candussi e un certo Ryan Arcidiacono. Che si è vestito d’azzurro (17 presenze) già prima di vincere il titolo Ncaa con Villanova University e d’essere l’mvp delle final four del 2016. Dada Pascolo allora giocava in B a Trento e non se lo filava quasi nessuno. Come del resto Stefano Tonut a Trieste o Paul Biligha a Casal Pusterlengo. Poi è arrivato Ettore Messina che in un colpo solo ha cancellato la sperimentale, ha mandato a spasso Attilio e non ne ha più voluto sapere di Arcidiacono che ora gioca in Nba coi Chicago Bulls. E qui chiariamo subito che non ce l’ho con il mio illustre concittadino che ho visto nascere e al quale Tonino Zorzi un giorno consigliò d’appendere le scarpette da basket al chiodo e di fare con successo il mestiere dell’allenatore mandandolo a scuola dal gran maestro Vittorio Tracuzzi. Ce l’ho piuttosto con i viscidi adulatori di Messina. E non parlo solo dei giornalisti. Che non l’hanno consigliato per il meglio quando è ritornato in Italia dal Texas e della nostra pallacanestro non sapeva più un accidente di niente. Ma soprattutto non hanno ancora trovato il coraggio di scrivere che ha fatto un’enorme cazzata a tagliare per due volte di fila Amedeo Della Valle e a non portare agli ultimi Europei il miglior lungo che abbiamo in solaio: Riccardo Cervi. Servi va bene, ma ArLecchini sciocchi no. O di nuovo mi sbaglio? E non me la prendo solo con Mamma Rosa, campionessa olimpica, come la divina Arianna Fontana oggi a PyeongChang, nel cambiare spudoratamente le carte in tavola un giorno per l’altro facendo finta di nulla. Magari anche fischiettando con le mani in tasca e guardando il cielo con la puzza sotto al naso. Ma con tutti quei voltagabbana che l’anno scorso cantavano le lodi di Esposito e Di Carlo, quando secondo me l’allenatore del 2017 è stato Walter Ray-Ban De Raffaele che più di vincere lo scudetto non poteva, e ora tirano le pietre addosso proprio al povero Patata, per la verità alla 14esima sconfitta consecutiva, e prossimamente sullo stesso schermo lo faranno anche con il Bonsai di Caserta che, lontano da Pistoia, al massimo vince una volta all’anno come è successo nella passata stagione e nessuno, tranne il vostro pennivendolo, se ne è mai accorto. Anche il 5 a Diana per diana non mi trova d’accordo: difatti è stato il migliore di tutti con Brescia nel girone d’andata. Mentre nel ritorno dopo quattro giornate le due imbattute sono state Varese e Reggio Emilia. Così ora mi viene in mente anche il vicepresidente dei grissini, Ivan Paterlini, che non avrebbe atteso neanche la sesta caduta di fila della squadra di Max Menetti all’inizio d’autunno per dare un bel calcio sul sedere al mio Chef preferito. Ma per fortuna tra Modena e Parma c’è il miglior dirigente d’Italia che si chiama Alessandro Dalla Salda. Altro che il giovane figlio di Enzo Sindoni, patron dell’Orlandina, che ha paura dell’aereo che non ha preso nemmeno per volare a Bologna per ritirare il prestigioso, quanto immeritato, premio alla breve carriera.