Nel basket di Pozzetto c’è ben poco da ridere per Messina

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Un po’ me ne vergogno, devo essere sincero, e non poco, di scrivere oggi di palla nel cestino e non del Maestro Gianni Clerici che ieri se n’è andato in punta di piedi, senza fare rumore, così com’era lui: un ricco signore di Como che aveva una bella villa sul Lago e amava il tennis almeno quanto il silenzio dell’erba di Wimbledon dove giocò in doppio e in singolare e dove, se avesse potuto, si sarebbe disteso coprendosi con un plaid che gli aveva regalato l’amico Ottavio Missoni e nel sonno si sarebbe serenamente lasciato morire in sola compagnia del canto dei grilli che scendeva dalla collina sul Centre Court. L’amico Rino Tommasi lo chiamava il Dottor Divago e mai soprannome gli sarebbe potuto calzare meglio come il mio Paron a Tonino Zorzi o il Pablito di Giorgio Lago a Paolo Rossi. Per anni infatti ho passato al Giorno gli articoli di Gianni che erano incantevoli racconti, ma difficilissimi da titolare specie se il titolo era a tutta pagina e lui aveva amabilmente divagato senza regalarmi, dopo l’incipit, neanche un filo di cronaca. Ma cosa potevi dirgli? Nulla. Io, ragazzo di bottega, così piccolo al confronto di quel fuoriclasse assoluto e immenso. Nemmeno quando John McEnroe, per il quale aveva un debole, interruppe la serie di cinque successi consecutivi di Bjorn Borg a Wimbledon e il dottor Divago raccontò l’evento ai suoi numerosissimi aficionados senza minimamente accennare a questo per lui irrilevante particolare. In più in coda al suo pezzo dovevo ogni volta aggiungere i risultati dei match che Gianni si dimenticava regolarmente di dettare e così bisognava risistemare poi la pagina che non era di gomma, come mi ricordava sempre Culo di pietra Saverio Sardone, impagabile capo servizio di notte, perché gli articoli di Clerici non si potevano tagliare. Giusto così. Come quelli del resto di Gianni Brera. Di cui avevo fisicamente preso il posto nella redazione del Giorno di Giulio Signori dividendo la stanza, in fondo a sinistra, con Franco Grigoletti e Mario Fossati. Non so se mi spiego. Oltre che con Gian Maria Gazzaniga. Che nessuno però poteva sopportare. Men che meno Gianni che passava al giornale non più di quattro o cinque volte all’anno. Sempre a Pasqua e a Natale. Facendoci gli auguri senza però mai mettere il naso nel nostro guscio che, mi diceva, non aveva un buon odore. In ugual modo gli piaceva, e non poco, il basket, di cui ne scrisse spesso e volentieri nei primi anni al giornale di via Fava. Ma non sopportava nemmeno il tifo contro e il gran chiasso sugli spalti. Finché una sera mi disse: “Questa è l’ultima volta che entro in un palasport”. E fu, purtroppo, di parola.

Da due giorni, o forse anche tre, ho perso il conto, la Gazzetta non ha scritto neanche mezza riga di pallacanestro se non di Gary Paton II, il figlio di papà dei Golden State Warriors di cui, mi scuserà Davide Chinellato, ignoravo persino l’esistenza. Perché per me, lo sapete, la Nba non è basket ma uno spettacolo che può piacere o meno. E a me non piace. Forse per colpa anche di Ciccioblack Tranquillo che proprio non digerisco. Come quello del Circo Americano o del Circo Massimo. Nel quale si è esibito venerdì Giannino Petrucci presentando alla stampa il nuovo cittì che ripetutamente ha chiamato Gianmarco Pozzetto (nella foto, ndr) snobbando Cochi Ponzoni che, per la verità, non se l’è presa più di tanto impegnato com’era a guardare là in mezzo al mare dove “ci stan camin che fumano”. Ieri Umberto Gandini, presidente della Lega ormai prossimo al rinnovo del contratto per un altro biennio, ha invece presentato a Milano e non a Bologna, perché mai?, le seducenti finali scudetto tra le vu nere e le scarpette rosse che inizieranno domani (ore 21) all’Arena Segafredo, ma dalla Gazzetta, così entusiasta a sostenere con esagerata abbondanza di firme le indifendibili scelte del presidente federale, non ha ricevuto neanche una notizia ad una colonna. Che dico? Nemmeno un pallino. E si è parecchio arrabbiato. Così come Mamma Rosa si è dimenticata di fare gli auguri a Paron Zorzi per il suo 86esimo compleanno e di dare almeno il risultato della seconda finale di A2 nella bolgia del PalaMangano tra Scafati e Cantù finita 67-53 per i padroni di casa che così ora hanno tre match ball a disposizione per tornare in serie A dopo diciassette anni.

Oggi Repubblica ha dedicato a Gianni Clerici quattro pagine che ho divorato e neanche un rigo ad Italia-Ungheria di cui non me ne importava niente e che credo sia finita 2-1 per gli azzurri di Meches Mancini. Al quale mi piacerebbe che con un colpo da matto il presidente Gabriele Gravina avesse contestato di non aver convocato Nicolò Zaniolo in nazionale: io dico che i giornaloni se lo sarebbero mangiato vivo. La qual cosa non è invece accaduta nei confronti del nostro Giannino che ha fatto assai di peggio. Ovvero ha dato sul serio un bel calcio sul sedere a Sacchetti ipotizzando che MaraMeo non chiamasse Belinelli e Datome per gli Europei. In verità neanche l’Indiscreto, dove scrive tutti i lunedì l’Orso Eleni, è stato tenero, come del resto Pianeta Basket, con il presidente federale. “Petrucci da cacciare” ha titolato il direttore Stefano Olivari senza perdersi in tanti giri di parole nel suo intervento del primo di giugno che mi è finito sotto gli occhi soltanto oggi. E così adesso ho capito perché Giannino non legge mai i siti di basket o almeno questo confessa: non vuole farsi il sangue amaro. E non riesco a dargli torto. Però anche dei lecca-lecca dovrebbe prima o poi stufarsi. Tanto più che non è più, come me, un bambino.

Stasera ho invece seguito per i miei aficionados, pochi ma buongustai di pallacanestro, a patto che non mi chiediate su quale canale perché non lo so neanch’io, gara 2 di finale dell’altro girone di A2 tra Udine e Verona che ha risolto Karvel Anderson con una tripla che ha frustato la retina assieme al suono della sirena finale: 64-67 per la Tezenis. Altrimenti sarebbe stato overtime dopo che i friulani di Matteo Boniciolli avevano agguantato la parità a tre secondi dal 40esimo con tre tiri liberi realizzati da uno straordinario Alessandro Cappelletti, scuola Mens Sana Siena, che in una partita brutta e nervosa, nella quale tutti hanno fatto fatica a segnare un canestro anche per sbaglio, ha messo insieme la bellezza di 22 punti. Ora è 1-1 nella serie e, se Verona vincerà in casa le prossime due sfide con Udine, riconquisterà dopo 20 anni la serie A. Ma forse fa più notizia che Cantù, 0-2 con Scafati, rischi di rimanere per un’altra stagione in A2. Del resto, se metti insieme la miseria di 22 punti in tutto il primo tempo e Da Ros e Allen insieme fanno 2/22 al tiro,  dove vuoi andare? A remengo per la disperazione del bravo Marco Sodini che non ho mai visto così incazzato durante i time-out.

Come ha scritto bene oggi Walterino Fuochi, pur trovandosi non proprio a suo agio tra l’incudine e il martello, “Luca Baraldi ha dato ieri fuoco alle polveri evocando su una tv locale una preoccupazione della tifoseria per gli arbitraggi probabilmente condivisa da se stesso”. E da me per primo, ma adesso non ho alcuna intenzione di ripetere, e non perché mi creda Niccolò Paganini dal momento che nella mia vita non ho mai sviolinato nessuno, quel che ho scritto su questo blog giusto una settimana fa: “Il sesto uomo dell’Armani: Paternicò o l’arbitro ucraino?”. Bella domanda: intanto domani, guarda caso, dirigerà il primo duello tra la Segafredo e Milano proprio Boris Ryzhyk coadiuvato da Roberto Begnis e Tolga Sahin. Insomma non mi ero sbagliato che Ettore Messi(n)a avesse seminato bene, e non da ieri, in questo settore nel quale il fischietto ucraino non ha mai nascosto, anche in una recente intervista, la sua grande ammirazione per Messi(n)a sin dai tempi in cui allenava il Cska di Mosca (2012-14) e vinceva ancora. Sì, d’accordo, ma Carmelo? Vedrete che Paternicò tornerà buono nelle partite al Forum. Senza alcuna malizia o malafede. Se invece pensavate che oggi Messi(n)a rendesse pan per focaccia a Baraldi, uno non lo conoscete, due non è né Peterson né men che meno Bianchini che accendevano le vigilie delle finali tricolori appassionando la gente.

Piuttosto senza aspettare domani, come farà senz’altro Mamma Rosa sposa fedele dell’Urbano, bisognerà che mi sbilanci ora in un pronostico. Ebbene, se la Virtus vincerà le prime due sfide bolognesi, non si sfilerà di dosso lo scudetto. Anche se non sarà di nuovo cappotto. Altrimenti, come sostengono otto allenatori di serie A su dieci da me interpellati negli ultimi giorni, e io sono abbastanza d’accordo con loro, la favorita è per mille buone ragioni la più ricca del villaggio. Cioè il club di Giorgio Armani che quest’anno, tra una balla e un’altra, non gli è costato meno di 45 milioni. Piuttosto di una cosa sono sicuro al mille per mille. Che quel che rischia di più da qui all’inizio, o quasi, dell’estate sarà solo Ettore Messi(n)a. Perché, se per caso dovesse non vincere pure questo scudetto, perderà l’incauto presidente dell’Olimpia che ha sbagliato a bruciarsi tutti i visti a Natale ma perderà anche l’allenatore nevrotico dell’Olimpia che per due anni di fila non ha vinto il titolo con Milano. Difatti Pierino Bucchi e Sergio Scariolo furono licenziati seduta stante. E lo stesso destino toccò a Luca Banchi, Gelsomino Repesa e Simone Pianigiani che pure fallirono il bis dopo aver vinto lo scudetto al primo colpo. Pur con un altro anno di contratto. Mentre Messina, mica scemo, ha già firmato il rinnovo sino a giugno 2024. Non so se ci siamo capiti. Penso proprio di sì. A domani. Se avrò tempo e voglia,