La nazionale di Sacchetti che piace solo ai petrucciani

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E’ fattuale, come direbbe Vittorio Feltri, straordinariamente preso per i fondelli da Maurizio Crozza, che Giannino Petrucci (nella foto) si diverta negli ultimi tempi a tirare la corda, correndo anche il rischio di spezzarla, pur di capire sin dove può arrivare a raccontarla alla corte dei giornalisti ruffiani che lo circonda e che gli ripetono sino a sfinirlo che è davvero una Volpe del deserto in questo universo di sabbia. Come fu soprannominato il feldmaresciallo Erwin Rommel per la sua scaltrezza e per i successi militari ottenuti in Nordafrica durante la seconda guerra mondiale. Proprio ieri nel mio Scacciapensieri mi ero preso a cuore di convincervi che nella razza umana le volpi sono in via d’estinzione e che i gatti se la passano sempre peggio, ma evidentemente non ci sono riuscito. Anche se pure io spesso e volentieri, leggendo i giornali che gli danno largo spazio, più di quello che meriterebbe una nazionale azzurra che è imbarazzante, tanto è scarsa, e poco e mal allenata, mi domando come Giannino se le possa inventare certe cose che non stanno né in cielo né in terra e che invece lui ti snocciola facendole passare per le più scontate di questo mondo. Di sicuro va molto presto a letto. Assieme alle galline o quasi. E la notte deve portargli consiglio se di buon mattino, prima d’andare a Messa, è già pronto a spararle parecchio grosse. Magari anche sapendo di trovare una contraerea ancora addormentata e quindi non in grado di tenergli testa. Ma è comunque diabolico. E politicamente ineccepibile. Senza rivali. Furbo e svelto. Tuttavia a mente lucida poi mi domando: può la Volpe del deserto dichiarare: “Non vedo in giro un cittì migliore di Sacchetti” nemmeno ventiquattr’ore dopo il clamoroso ceffone beccato a Danzica da una squadra di mezze cartucce che gli ha quasi staccato la zucca dal collo? Io credo di no e mi piacerebbe di non essere il solo. Oppure devo dare retta alle pispole che si sono inventati Ciccioblack e il Nonno di Heidi domenica in diretta all’ora di cena? A sentire i quali non serve un apparecchio acustico e comunque per loro la Polonia è sembrata il Dream Team delle ultime Olimpiadi e non quello inguardabile del 2004 ai Giochi di Atene. Dove, non lo ricorda mai nessuno, riuscì nell’impresa di perdere ben tre partite nel torneo dei cinque cerchi ai piedi dell’Acropoli conquistando solo la medaglia di bronzo per il rotto della cuffia. Mentre l’oro fu dell’Argentina di Manuel Ginobili e l’argento dell’Italia di Re Carlo Recalcati. Grande Carletto. Ma chi era il genio che guidava quell’Armata Brancaleone a stelle e strisce formata da LeBron James, Allen Iverson, Tim Duncan, Carmelo Anthony e Dwyane Wade tanto per prenderne cinque a caso? Forse la leggenda Larry Brown? Risposta esatta. Avete vinto un orsacchiotto di peluche da ritirare alla Fiera di Torino. Allo stand della Fiat. Dove, se avrete culo, potete sempre farvi un selfie con Flavio Tranquillo che cercherà di convincervi, dopo averci provato con me e non esserci riuscito, che “se non apprezzate le piccole cose che fa Paul Biligha sotto canestro non vi piace la vita e neppure la pallacanestro”. Sic! Mentre Davide Pessina confermava annuendo con il testone e quello non cambiava disco: “Avesse un miliardesimo del talento di Lampe sono sicuro che Biligha sarebbe già dall’altra parte dell’oceano”. Sì, nei Lakers o forse nei Clippers. A Los Angeles. Dove tra dieci anni si disputeranno le Olimpiadi e MaraMeo sarà sempre il cittì degli azzurri con Petrucci over 80 ancora presidente federale e Mario Canfora, suo fratello non di latte, fedelmente accanto nei secoli dei secoli. Amen. Ora Macje Lampe non è Marc Gasol e non gioca nei Memphis Grizzlies, ma in Cina coi Qingdao DoubleStar. E Biligha ogni qual volta torna alla Reyer dalla nazionale succede che debbano passare almeno un paio di settimane prima che torni in palla e scenda dalla pianta. Sperando che almeno Stefano Tonut l’abbia capita e si sia allenato per conto proprio come hanno fatto durante tutto il ritiro estivo di Pinzolo sia Gigi Datome che Nicolò Melli. Altrimenti poi lo senti Obradovic. E tutto questo Petrucci lo sa meglio di me dal momento che glielo sussurrano tutti all’orecchio: giornalisti, allenatori e azzurri. Resta però il fatto che dalla Polonia le abbiano beccate di brutto perdendo di 16. O ce lo siamo già dimenticati? Tirando con l’8 su 35 da tre. Le bombe sono le nostre migliori ma pure uniche armi d’attacco. Ma è basket o tiro al piccione? Mentre in difesa siamo un muro del pianto. Che dico? Magari un muro: soltanto un pianto. Per nostra fortuna esiste l’Ungheria. Che non vale più del San Vendemiano del buon Marco Mian in serie B e così andremo ai Mondiali con metà squadra che rema contro Sacchetti e l’altra metà che fa finta di sopportarlo davanti al figlio. Evviva. E Tanjevic? Confinato al settore giovanile, non lo tiro nemmeno in ballo. Perché sono troppo amico del Boscia. Invece ho finalmente afferrato il motivo per cui Giannino ha consegnato la sua nazionale maggiore a Sky. Perché meno italiani la guardano e meglio è. E meno ascoltiamo Ciccioblack e meglio stiamo di salute. Mentre ancora non ho capito la ragione per la quale il presidentissimo di Valmontone nasconde alla pletora dei petrucciani le buone iniziative che ha preso dietro le quinte. Come quella d’affidare la Sperimentale a Max Chef Menetti o di far incontrare Proli con Baraldi, uno più livido dell’altro. Che erano ai ferri corti e adesso sono diventati amici per la pelle. O quasi. E comunque un’alleanza Armani-Segafredo non può che essere utile alla causa. Magari per ospitare in Italia gli Europei, se non i Mondiali, che i due colossi della moda e del caffè potrebbero sponsorizzare insieme all’Umana del sindaco Brugnaro.  Ammesso e non concesso che la Volpe nel deserto non ci abbia già pensato. Come credo.