Perché più italiani in serie A se ce ne sono anche troppi?

donzelli

Non avevo mai visto nessuno sbadigliare in quella maniera. Neanche un ippopotamo dopo un pranzo luculliano. Giannino, Giannino: capisco che la gara delle schiacciate e del tiro da tre non fosse il massimo della libidine, ma almeno un po’ di rispetto per Mamma Rosa, che con tanto amore aveva organizzato il contorno alla finale di Coppa Italia, io penso che comunque se lo fosse meritato. Anche a me per la verità sarebbe venuto un sonno micidiale se, dopo la santa messa, fossi andato in quel ristorantino di pesce che tutti ti consigliano a Rimini e non avessi saputo rinunciare al fritto di scampi e calamari con due piccole sogliole, ma non ero seduto in prima fila e neanche avevo le telecamere della Rai che mi spiavano di continuo. Né mi ero abbuffato a mezzogiorno, ma mi ero affrettato a tornare a casa per evitare d’infilarmi in autostrada con il traffico di ritorno da una bella domenica al mare e al sole delle spiagge della Romagna. In più lo sbadiglio non è solo una reazione alla noia o un indizio di cattiva digestione: può essere anche un segnale d’incalzante senilità o di comprensibile stanchezza dopo quattro giorni di stressanti sfide sul parquet della fiera dei sogni. La sveglia di Petrucci poi, se non ha cambiato abitudini, ma non credo, suona ogni mattina alle sei in punto. Quindi, visto che ha anche quattro anni più di me, giustifico in pieno la sua fiacca. Però una mano davanti alla bocca poteva anche mettersela come credo che abbia insegnato a fare pure ai suoi nipotini. E difatti non deve essere stato carino nemmeno per loro vedere alla televisione il nonno che sbadigliava in quel modo. E’ ovvio: mi piace scherzare con il vecchio presidente federale perché so che non mi prende troppo sul serio e non mi vuole tanto male. Altrimenti, invece di dribblarmi alla Kurt Hamrin piombandomi alle spalle, mi avrebbe potuto benissimo dare uno scappellotto sulla nuca e giuro che non avrei fiatato: in fondo me lo sarei anche meritato dal momento che è uno dei due o tre bersagli preferiti della mia ironia da due soldi e del mio blog di satira spicciola che vorrebbe essere anche un tormentone. Quanto invece alla querelle tra lui e Enrico Campana non ci voglio metter becco: dico soltanto che alla nostra età non ci si dovrebbe più arrabbiare perché non fa bene al cuore. E nemmeno al fegato. Prendete per esempio Pedrazzi: per me sarà sempre il giovane Werther che ad aprile compirà settant’anni, ma che ha ancora lo spirito del ragazzino coi baffi sporchi di tiramisù che però ti giura di non aver assaggiato più un dolce dalle calende greche della terza ma forse anche della seconda guerra punica. Tutto questo ve lo sto raccontando con mucho gusto perché sul Corriere della sera di lunedì ho letto una sua splendida intervista al coetaneo Boscia Tanjevic, l’ultima monolitica pietra del basket, come Werther lo ha definito a proposito. E la copio. Sempre  che la possa copiare, ma credo proprio di sì dopo aver opportunamente citato la fonte. Come invece mai si ricorda di fare quella maleducata della Gazzetta del Cairo. Domanda: “Una cosa che ha sempre detto ai giocatori”. Stride un po’ l’uso della terza persona singolare, dal momento che i due si conoscono da una vita, ma non importa: il Corrierone ha ancora queste sue mosaiche regole. “Cercate la fidanzata a scuola o nel negozio sotto casa, mai in discoteca”. Nemmeno il suo maestro Aza Nikolic avrebbe saputo rispondere meglio. E comunque bisogna che pure io, prima di Pasqua, faccia un salto a Trieste per incontrarmi con quel grande uomo che ogni volta mi sorprende e mi entusiasma quando parla. E provoca: “Nei miei prossimi 35 anni farò il presidente della Fip. L’ho detto anche a Petrucci che mi ha telefonato per farmi gli auguri dei 35+35. “Ma stai sereno, Gianni: sai che scherzo”, ho aggiunto come disse Renzi a Letta tre giorni prima di fregarlo”. Più che a capo del Palazzo amuffito, dove per spostare una biro da qua a là può passare anche un lustro, Boscia lo vedrei meglio di Ettore Messina alla guida della nostra nazionale fantasma perché non regala niente a nessuno, ma ti rovescia come un calzino anche il più indolente dei fricchettoni e lo fa sentire di colpo importante. Però ugualmente lo contesto quando predica “più italiani e meno stranieri” perché mi sembra un pappagallo sulla spalla di Giannino. Quali italiani? Quelli che giocano all’estero, e mi potrebbe ancora andar bene, o forse quelli che giocano in A2 che, a parte due o tre, collezionerebbero solo magre figure al piano superiore? O quelli delle final eight di Coppa Italia? Io a Rimini c’ero e quindi ha poco da prenderci in giro Stadio con un titolo di ieri: “C’è una nuova Italbasket che cresce”. Ovvero? Eccezionale Dada Pascolo, ma lo sapevano tutti. A parte il cittì e Gelsomino Repesa sino a Natale. Chapeau a Luca Vitali che mi ha lasciato di sasso. Pietro Aradori lo si conosce. Così e così Ricciolino Della Valle. Male Cervi, ma non è ancora primavera. Andrea Cinciarini a lampi isterici e poco altro. O dovremmo sbattere le porte della serie A in faccia agli stranieri per spalancare quelle della nazionale a Daniel Donzelli (nella foto, così ce l’avete più presente), ventenne cremonese che scalda la panca a Brindisi, quando il figlio del suo allenatore, Brian Sacchetti, come del resto Polonara e De Nicolao, o Mussini e Arcidiacono, non sono nemmeno presi in considerazione da Ettore Messina? Via, facciamo i bravi. Coi piedi possibilmente per terra.