Il Poz ringrazia Pesaro e Torino preferendo Formentera

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Un’autostrada per Milano. A quattro corsie, ma anche a sei. Avellino e Venezia hanno lavorato per lei. Stasera Cantù senza Culpepper e probabilmente Crosariol: perdere non si può. A meno che non fai peggio della Reyer ieri nei primi dieci minuti: un solo canestro, un tap-in di Peric, venuto giù dal pero, e due liberi di Haynes e Watt, quattro punti in tutto e niente più. Domani la vincente di Virtus-Brescia: una vale l’altra. Bologna senza Pietro il grande Aradori, la Leonessa che paura più non fa. A meno che non si risveglino i miei leoni: Marcus Landry e David Moss. Domenica la finale contro una delle due: Cremona o Torino già comunque felici d’essere arrivate così lontano. Una Coppa Italia a portata di mano. Da pigliare facilmente all’ultimo casello dell’autostrada. Abbassando il finestrino e poi via. In un lampo o quasi. Anche perché Simone Pianigiani, vi piaccia o non vi piaccia, a me piace e non l’ho mai nascosto, una finale tricolore non l’ha mai persa. L’Armani si tocchi pure. Nessuno glielo vieta. Ma io non posso raccontarvi le favole. Quelle sono per i mie tre nipoti d’oro e basta. Dalla collina di Fiesole tra gli ulivi neanche Firenze imbronciata mi guarda storto e dovrebbe essere anzi felice di vedere tanta gente correre ancora dietro ad una palla nel cesto. D’accordo, i campioni d’Italia contro la Fiat del Bimbo Galbiati, che è uguale al giovane Al Pacino, come mi ha suggerito di scrivere un carissimo professore, quella palla non l’hanno mai infilata nel cestino se non per sbaglio. Capita. Ma non ne farei un dramma. Anche se capisco la faccia incandita di Ray-ban De Raffaele e esterrefatta di Federico Casarin. A furia di ricordare che Venezia non aveva mai vinto una partita nelle final eight, magari alla fine uno anche ci crede che questa coppa sia davvero maledetta per la Reyer. Come lo è la Champions per la Juve. Difatti già mi viene male solo a pensare che a mezzogiorno di domenica dovrò guardare il derby di Torino nella mia stanzetta d’albergo dalla terra che più detesta i gobbi. Però questa del Nelson Mandela, oggi pieno come un uovo, è una festa del basket che come tale va presa. Senza se e senza ma. E soprattutto senza piangere sulle nostre miserie. Ma vedere come ieri scherzavano tra loro in tribuna il Poz, De Pol e Andrea Meneghin, oltre a farmi ricordare il loro splendido ultimo scudetto di Varese, mi ha messo addosso un’allegria che ha in fretta cancellato i cattivi pensieri e la nostalgia per quei tempi che erano tutta un’altra cosa. Cosa invece GianMarco Pozzecco fosse venuto a fare da Formentera, dove vive e sta da papa, e mi ha invitato quest’estate ad andare in vacanza, è presto detto: gli avevano fatto un’offerta in due. Prima Pesaro e poi Torino. Alla quale pare che abbia comunque rinunciato lasciando soprattutto basite le vu-elle perché la Fiat, da quando ha in panca Michael Al Pacino, ha semmai sinora fatto la parte del figlio del Padrino. Ovviamente il Poz mi ha subito smentito regalandomi però anche, nel generoso abbraccio, un sorriso così beffardo che sembrava piuttosto volermi dare soddisfazione. Tornando alla final eight non pensi la Sidigas d’aver fatto ieri poi tanto meglio della Reyer. Anzi, quei sette punti beccati in undici secondi nella fase calda del match dalla Vanoli di MaraMeo Sacchetti dopo il tecnico fischiato a Sacripantibus, dal -1 al +6 per Cremona, sono il nuovo record olimpico, o quasi, in negativo senza dover adesso tirare in ballo i Giochi di PyeongChang. Wells per esempio è da spedire precipitevolissimevolmente via come Peric se continua a mandare tutti quanti a quel paese e non se la prende in primis con se stesso. Anche Dominique Johnson non finisce più di deludermi al pari di Hamady Ndiaye. Aiuto, aiuto: entrambe le grandi navi stanno affondando e nella scialuppa di salvataggio non saprei in verità quale naufrago mettere. Senz’altro Fesenko e Rich. Come Watt, ultima schiacciata a parte. E non certo Fitipaldo e Daye o Scrubb e Tonut. In particolare il figlio di Darren è in una condizione di forma imbarazzante al punto che mi tocca ripetermi: io l’avrei lasciato a Gerusalemme davanti al Muro del Pianto. Però se il padrone del vapore irpino, Gianandrea De Cesare non era a Firenze e non segue da un bel pezzo la squadra, irrobustendo le voci che lo vorrebbero lasciare il basket per il calcio Avellino, quello di Venezia, che poi è pure il mio sindaco, non solo non è entrato ieri nello spogliatoio del Mandela per strigliare i suoi mortificati giovanotti, ma oggi ha twittato: “Se non la ami quando perde, non puoi amarla quando vince”. Qua la mano: così mi piaci Napoleone Brugnaro.