I pochi fuoriclasse rimasti sono adesso affidati al WWF

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Sono rimasti pochi i fuoriclasse in Italia. Ieri mattina ne è mancato uno e non uno qualunque: Gianni Mura. Di cui ho un cassetto pieno di ritagli di Sette giorni di (suoi) cattivi pensieri che custodirò gelosamenteL’ultimo di domenica scorsa parlava d’imbecilli senza confini come Diego Costa, attaccante (grezzo) dell’Atletico Madrid, e Rudy Gobert, cestista francese e centro (spaccone) degli Utah Jazz. A Gianni il basket non entusiasmava. Come del resto a Gianni Brera. Ma aveva molto più stile e buona educazione del suo maestro e difatti non ha mai disprezzato la nostra passione. Intendo la mia e quella ancora più accesa di Gesù Cripto, alias Oscar Eleni. Continuo a volare alto. Anzi, altissimo. E così mi sembrano davvero piccini piccini sulla terra quei fenomeni di Sallusti, Belpietro, Adani, Littorio Feltri, Turrini, Bombolone Condò, Sgarbi, Ciccioblack Tranquillo e Marta Fascina, 30 anni, l’ultima morosa di Silvio Berlusconi un cincinin più giovane del mandrillo d’Arcore (83). La quale è sì deputato di Forza Italia e segretario della IV Difesa della Camera, ma ha lavorato anche nell’ufficio-stampa del Milan e ha scritto sul Giornale sempre in difesa del Pregiudicato eccellente. Polvere e cipria: quasi il nulla sotto vuoto spinto. E qui mi fermo perché altrimenti farei notte con la lista dei (miei) preferiti in negativo. Oggi è domenica, ma se l’edicolante della piazza non mi avesse infilato sotto al portone l’Espresso, assieme ad altri cinque quotidiani, forse non me ne sarei neanche accorto. Del resto di questi tempi grami tutti i giorni sono uguali con la pioggia o con il sole. E da quindici non vedo altro che la Tigre e la televisione. Ma non mi sto lamentando. Anzi. Scrivendo e leggendo un buon libro, arriva l’ora d’andare in branda che nemmeno me ne accorgo. Non scrivevo poi così tanto intensamente neanche quand’ero praticante al Giorno e ogni mattina dovevo andare a Milanello e ogni pomeriggio inventarmi minimo sessanta righe sul Diavolo di Massimo Giacomini allenatore e di Gianni Rivera vicepresidente con Ricky Albertosi che taroccava le partite e Fabio Capello che prendeva a calci sulla neve i cronistelli. Che l’Abatino sia stato un fuoriclasse è un dogma: non lo si discute e basta. Che Giacomini invece sia stata la persona più intelligente e illuminante che abbia mai conosciuto nel calcio prima di Michel Platini ve lo dico io e provate per una volta a fidarvi. Platini lo chiamavo l’Immenso. Difatti quella domenica in cui a Como non toccò palla, e si capiva che non ne aveva proprio voglia, gli diedi sv (senza voto) in pagella. Ma come, mi chiamarono affannati dalla redazione, il Trap l’ha sostituito? E si è fatto molto male? No, sta meglio di me, risposi, ma piuttosto mi sparo che mollare una brutta insufficienza all’Immenso. Intanto la pila dei giornali che devo leggere, e poi ritagliare, ha superato il metro e venti. E ho davvero paura che domani la Tigre me li butti giù dalla finestra. Quindi bisogna che mi sbrighi a finire in fretta questo Scacciapensieri. Anche se avrei una marea di cose ancora da raccontarvi nonostante lo sport sia tutto fermo e Sky Q provi goffamente ad addolcirmi la pillola offrendoci gratis L’Immortale, il primo film diretto e interpretato da Marco D’Amore, che altrimenti mi sarebbe costato tre euro e 99 centesimi se non fossi abbonato a Sky Sport+Cinema a 85 euro mensili. Cosa ne pensate? Non vi sembra una grande presa per i fondelli? A me sì. Dal momento che, mentre sto guardando su Raiuno l’Eredità, che appassionava anche Gianni Mura dal suo letto nell’ospedale di Senigallia, matto com’era per i giochi(ni) di parole, in alternativa la tivù satellitare a pagamento mi proponeva Grazie Totti o Calciomercato story o Barcellona-Manchester United datato 2011 o Miami-San Antonio del 2013 o i racconti di Buffa già visti e rivisti cento volte. E allora non so cosa aspetto a non mandarla precipitevolissimevolmente al diavolo. Il coccodrillo a Gianni l’ha scritto in prima pagina di Repubblica (nella foto) un’altra dei pochi fuoriclasse che ci sono rimasti nel giornalismo sportivo: Emanuela Audisio. Oltre a Gianni Clerici (89), il caro Dottor Divago, al quale passavo gli splendidi affreschi di tennis e provavo a titolarli, e a Paolo Ormezzano (84) col quale ho diviso l’appartamentino alle Olimpiadi invernali di Calgary nel 1988. Ho avuto due fortune nella vita, confessava a me gobbo esagerato: non essere nato donna afghana a Kabul e tifoso della Juve a Torino. Ma soprattutto dettava a braccio un pezzo su Alberto Tomba al dimafonista della Stampa e contemporaneamente scriveva una marchetta su Larry Bird dei Boston Celtics e chiacchierava con me del più e del meno. Qualcuno di bravo c’è ancora nella Gazzetta o al Corriere di Cairo, ma di fuoriserie nemmeno più l’ombra e difatti il WWF Italia sta tentandole tutte per salvare la specie in via d’estinzione. A meno che Marco Travaglio e Andrea Scanzi non tornino ad occuparsi di pallone, ma fortemente ne dubito. Con Andrea non mi sento da un pezzo, eppure su Gianni Mura l’abbiamo vista uguale e lui ha scritto oggi sul Fatto: “Ho sempre pensato a Gianni (Mura) come solo e soltanto a Gianni (Brera): aveva il suo stile, la sua musica. La sua utopia. Per chi ha amato la letteratura sportiva e per chi ha creduto anche in tempi non sospetti che lo sport potesse essere epica, Gianni è stato un amico. Un faro. Un compagno di strada e di sogni”. Manuela invece la leggerò gustandomela stasera a letto. E lieve e dolce sarà il mio dormire. Mentre lo so benissimo che fate fatica a digerire che per me Marco sia un indiscutibile fuoriclasse. A molti di voi infatti è antipatico perché magari lo pensate trinariciuto come Giovannino Guareschi disprezzava nell’immediato (secondo) dopoguerra gli iscritti al partito comunista. Ed è inutile che vi dica che Travaglio è un timido che sembra arrogante e che nasce al Giornale di Indro Montanelli e del fratello di Silvio per il quale ha collaborato dal 1987 al 1994. Ma non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire e in più non devo convincere proprio nessuno. Però come io non mi sogno di mettere il naso nelle cose che non conosco, per esempio nell’economia o nella giustizia, così pretenderei d’essere almeno ascoltato nelle cose alle quali ho dedicato la vita intera. E comunque il povero Alessandro Sallusti, “caposcuola del giornalismo-cabaret”, che ha osato sfidare a duello il direttore del Fatto, ne è uscito sanguinante e scarnificato dalla lama sottile di Travaglio. “Il tapino ce l’aveva con me non per qualcosa che ho scritto, ma che lui prevede potrei scrivere. Più che alle intenzioni, un processo alle invenzioni. Infatti chi cercasse traccia di qualcosa da me detta o scritta per meritarmi la qualifica di cretino dal massimo esperto mondiale del ramo rimarrebbe deluso”. E ancora. Stigmatizzato dal direttore del Giornale “di non dire nemmeno un “grazie presidente” dopo che questi (Berlusconi) ha messo ancora una volta mano generosamente al portafogli – 10 milioni non sono pochi, tutti frutto di lavoro super tassato – per aiutare la collettività”, il fuoriclasse juventino gli ha fatto una parata e risposta degna di Edoardo Mangiarotti, il più grande schermidore di tutti i tempi. “E anche qui sbaglia di grosso. Io sono letteralmente commosso da quel giovanotto indigente, neofidanzato e costretto a emigrare a Nizza per farsi le sue esperienze e una famiglia. Grazie presidente (presidente di che?), com’è umano lei, per l’ennesimo regalo alla sanità lombarda che già gli deve molto: da Formigoni all’igienista dentale Nicole Minetti alle olgettine infermiere. Donare ai malati la metà di quel che donò a Dell’Utri, il doppio di quel che donò a Ruby e il triplo di quanto donò a De Gregorio è commovente. Una sola, minuscola perplessità mi assale: posto che il giovin virgulto è stato condannato a 4 anni di reclusione e 10 milioni di multa da pagare all’Agenzia delle Entrate per una frode fiscale di 7,3 milioni, ultima tranche sopravvissuta alla prescrizione di una frode di 368 milioni di dollari di fondi neri nei paradisi fiscali, siamo proprio sicuri che il termine esatto per qualificare l’assegnino proveniente dalla Costa Azzurra sia “aiuto”, “donazione”, “beneficenza”, e non, puta caso, “tardiva restituzione del maltolto in comode rate?”. Alla faccia delle 33 righe, l’ho fatta un po’ lunga con questo Scacciapensieri, ma credo che ne valesse la pena per mettere definitivamente i puntini su certe i. E quindi chiudo subito con una previsione che toglie qualsiasi speranza a chi ancora pensava e pensa di poter tornare a giocare a pallacanestro in serie A alla prima o alla seconda domenica di maggio. E’ di Pierluigi Lopalco, ordinario di Igiene a Pisa e eccellenza della epidemiologia nel mondo: “Il coronavirus durerà molto, almeno sino alla prossima estate e comunque prima di ottobre assolutamente no agli stadi del calcio aperti”. E men che meno, purtroppo, ai palasport del basket.