Gelsomino può raccontare ai giornali le fiabe che vuole

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E’ risaputo che sono allergico all’Inter dei cinesi che non posso vedere neanche dipinta. Come la Confraternita dell’Osiris e la Nba su Sky. Altrimenti mi viene il prurito e mi gratto come una scimmia. E così, se ci riesco, accuratamente le evito. Ma non sempre mi è possibile. Come l’altro giorno quando il pullman nerazzurro, per la verità elegantissimo, uno yacht a tre assi, con i vetri fumé e un muso sfacciato, si è fermato giusto davanti alla mia macchina, parcheggiata nel box di un hotel di Reggio Emilia, impedendole l’uscita. Doveva scaricare i giovanotti della Primavera che tornavano affaticati dall’allenamento insieme alle borse, i palloni e a tutto il resto: tecnici, che loro chiamavano mister, fisioterapisti, dirigenti, medici. Quasi un esercito. Insomma, per farla breve, rischiando d’arrivare tardi alla partita, la settima tra GrissinBon e Sidigas, non ci ho impiegato molto a mandare la Beneamata al diavolo. E senza neanche passare per la reception. Risultato? Ho trascorso la notte grattandomi. Mentre nelle stanze accanto non so cosa avessero tanto da ridere gli intertristi se hanno smesso di farlo solo con le prime luci dell’alba. Ma “ride bene chi ride ultimo” è uno dei proverbi più saggi che conosco. Difatti ieri sera, cercando invano col telecomando la diretta di gara due tra Treviso e Fortitudo, che TeleGiannina si è dimenticata di trasmettere e nella quale il Pilla Pillastrini ha dato una tostata mica da poco a Boniciolli, sono inciampato su Raisport e la semifinale del campionato Primavera tra Inter e Roma che si stava giocando al Mapei Stadium di Reggio Emilia. Ebbene 2-2 al 90esimo, 3-3 al termine dei supplementari e 9-8 per i giallorossi del papà di Daniele De Rossi dopo i calci di rigore ad oltranza e l’errore dal dischetto del numero 10 nerazzurro, Enrico Baldini, che pure aveva segnato uno splendido gol a metà del primo tempo. E così, a proposito, mi è venuto in mente un altro detto popolare che trovo molto azzeccato: non svegliare mai il leone che dorme. Tanto più quando è nato, come me, il 13 di agosto. Sulla maleducazione dei viziatissimi ragazzi del calcio e dei loro genitori potrei continuare a parlare in eterno. Come del bomberino della Roma, Marco Tumminello, due reti, che sempre ieri sera, espulso dall’arbitro per proteste, lo ha affrontato a muso duro, faccia a faccia, e quasi lo ha colpito con una testata. Io gli darei un anno di squalifica. Come minimo. Né mi voglio ora occupare delle testate che non s’occupano di basket nemmeno durante la stagione dei playoff, che pure incendiano molte piazze d’Italia: ce la farò, e ce la faremo, lo stesso a sopravvivere. E comunque se i quotidiani vendono sempre meno una ragione anche ci sarà: forse s’interessano troppo di politica e solo di calcio. O, anche, l’ultima generazione dei giornalisti è più mediocre ancora della pallacanestro che ci raccontano senza una goccia di sudore e di passione. Se per esempio Repesa una volta (il 28 aprile) si lamenta che gli italiani della sua Armani sono stati troppo criticati “nonostante siano gli unici del giro della nazionale ad aver alzato quest’anno un trofeo” e il cronista di Mamma Rosa che raccoglie il suo sfogo non gli ricorda che magari Aradori, Della Valle e Polonara hanno vinto a fine settembre la Super Coppa sculacciando in finale (80-68) proprio la Milano di Ale Gentile (9 punti) e Cinciarini (8), poi il mio Gelsomino piangente è oggi autorizzato anche a raccontare a un repubblichino dell’ultima ora la favola “delle tante tegole che durante la stagione sono cadute addosso alla EA7: squadra nuova, niente ritiro, mille infortuni, cambiamenti, turnover”. Povera Milano: quasi quasi Repesa è riuscito a commuovermi. Non fosse che la verità è un’altra e cioè che l’Armata di Armani non avrebbe vinto neanche questo scudetto se in corsa non fossero arrivati Sanders, Batista e Kalnietis che, oltre ad essere costati un occhio della testa, sono la forza ora di una squadra che ha avuto molte meno disgrazie di una GrissinBon che ha dovuto rinunciare per un bel pezzo a Kaukenas e Lavrinovic, non avrà Stefano Gentile in finale, ancora non sa quale siano le condizioni fisiche di Veremeenko e si sogna di poter avere una panchina lunga come quella sulla quale siedono McLean, Macvan, Lafayette e il Cincia. Volutamente dimenticandomi di Cerella e Magro, oltre che delle varie ed eventuali come Stanko Barac e Charles Jenkins. Ma mi faccia il piacere. Mentre la Gazzetta intervista Kaukenas e glielo devo dire io che il mitico lituano è tentato di tornare in nazionale per i Giochi di Rio de Janiero assieme al compagno Lavrinovic. Mentre al Gazzettino di Venezia, delle plance e della fisicità, devo svelare il nome del probabile vice di Walter De Raffaele alla Reyer: è Alessandro Magro della grande scuola di Siena. Alla quale Alessandro Ramagli aveva giurato amore eterno, battendosi la mano sul cuore e saltellando assieme ai tifosi. Salvo poi tradirla al primo canto del gallo per accettare la corte del dottor Stanamore Bucci e volare tra le braccia della Virtus Bologna. Mangiandosi la parola data alla Mens Sana e stracciando in mezzo secondo il contratto biennale. Così si fa: da veri uomini.