Carlo Recalcati, non l’hanno ancora fatto santo ma il paradiso se l’è già guadagnato

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Mi lodo e m’imbrodo. E ne so una più del diavolo. Me lo dice spesso Carlo Recalcati. Che potrei anche chiamare Charlie, ma non mi piace. Di sicuro è l’allenatore di basket più pacifico di questa terra e, per questo, un giorno lo faranno anche santo: San Carlo da Milano. Come il cardinale Borromeo. Che in verità è nato ad Arona ed era figlio di Margherita Medici di Marignano, sorella di papa Pio IV, che lo nominò arcivescovo. Insomma un santo fatto in casa. Mentre Recalcati è proprio milanese doc. Di via Giusti. Tra il Monumentale e l’Arena. Cresciuto sotto i canestri sotto casa: al Pavoniano. E sotto le ali di Arnaldo Taurisano, che a Cantù ha vinto due scudetti. Il primo come vice del mitico Borislav Stankovic, che a luglio compirà novant’anni. Il secondo con il marchio Forst, un solo straniero (Lienhard) e Recalcati, che allora tutti chiamavano Carletto. Più Ciccio Della Fiori e Pierluigi Marzorati. Dal centro pavoniano il Simmenthal del Principe Rubini pescava ogni anno il migliore giovane talento della scuola del BarbaTau. Nel 1962 c’era da scegliere tra due sedicenni: Franco Longhi, 2 metri e zero 4, e Carlo Recalcati che era poco più alto di un metro e ottanta. Ovviamente Milano prese il pivot e Gianni Corsolini ne approfittò per portare il piscinin a Cantù. Come avrete notato, il discorso mi ha portato lontano da quel che vi volevo oggi raccontare. Meglio così. L’Armani di Giorgio infatti mi ha di nuovo tradito. Soprattutto Samardo Samuels, stritolato prima da Bryant Dunston e poi da Othello Hunter. Del caraibico avevo parlato soltanto bene appena una settimana fa. Magari anche abbagliato dai 36 punti che aveva schiacciato in faccia ai ciclopi russi e comunque straconvinto che fosse tra i primi cinque centri d’Europa. Beh, ora facciamo dieci. Se non addirittura quindici. Esagero? Forse, però lo sapete come sono fatto: quando mi convinco, e non è facile, d’aver clamorosamente sbagliato giudizio sulle cose e sulla gente del basket, il che per fortuna mi succede molto di rado, divento una belva e vado giù di piccone. Mi andrebbe così a Samardo Samuels di domandare se per caso sa come si dice sogliola in spagnolo. Lo aiuto io: lenguado o suela. Ecco lui ieri sera è uscito dallo scontro con l’ex varesino e l’ex senese appiattito come un lenguado. Quattro punti e appena un rimbalzo. O una sola (in romano). E non aggiungo altro. Perché in fondo sono un buono. Non come San Carlo, ma quasi. Al quale non sognatevi però di far venire la mosca al naso perché, alla terza che gli fai, si licenzia e se ne va. Anche da Venezia. Seconda in classifica. Fidatevi. Cambiando discorso, ma poi neanche troppo, Bear Eleni dice che anch’io vengo dal Pavoniano, ovvero dal centro di gravità permanente di quei magnifici uccelli che, quando fanno la ruota, mostrano d’avere occhi multicolori che guardano ovunque. Ed in effetti non posso neanche dargli torto, visto che non ce l’ha mai e soprattutto mai ammetterebbe d’averlo, però anche lui non potrà negare che è un po’ strano che nella sua Milano non solo Recalcati non abbia mai giocato, ma nemmeno neanche mai allenato. Eppure ha vinto tre scudetti in tre piazze diverse e neanche facili. Come è riuscito soltanto al Vate Bianchini. E ha conquistato l’argento olimpico con la nazionale ad Atene. Senza nessuno dei Re Magi (o Re Mogi) della Nba. E per me è l’allenatore dell’anno 2014-15: l’ho già proclamato a Natale e non credo d’essermi sbagliato almeno da qui a Pasqua. Né il prossimo, o quello successivo, lo vedrei male proprio sulla panchina dell’Armani. Meglio di Michelino D’Anton o di Simone Pianigiani. Ma evidentemente nemmeno il figlio della portinaia di via Giusti ha santi in paradiso. Anche se Carlo il paradiso se l’è già guadagnato dopo le due stagioni a Montegranaro e questa in laguna. Tra calli e campielli, bisbigli e ciacole, sotto i ponti e sotto i canestri. Perché mi lodo e m’imbrodo, ne so una più del diavolo e sarò anche un pavone, ma ho occhi dappertutto e orecchie d’elefante. E se anche a me salta la mosca al naso, svuoto il sacco e non sono sempre farina da far ostie. Mentre D’Antoni ha fatto sapere alla Gazzetta e al Corrierone di voler tornare ad allenare nella Nba. Magari di nuovo a Denver. Dopo i Knicks e i Lakers. Ma i Nuggets e soprattutto la Nba lo sanno? Non credo. Altrimenti sarebbero già corsi ai ripari.