Cosa non ho fatto per non vedere la Bertè a Sanremo

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Ultimo è arrivato secondo al festival. Bravo, anzi bravissimo. Perché meglio di così non avrebbe potuto fare. Proprio come il Napoli di Marx Sarri e del povero Carletto. Che vorrebbe strozzare Mertens, Insigne e Milik per tutti i gol che si sono divorati ieri a Firenze a due passi dal ventenne Lafont che mi è sembrato la dea Calì. C’è poco da fare: Matteo Salvini e Elisa Isoardi non vanno più d’amore e d’accordo. Ora bisticciano anche su Twitter. Lui d’impeto: “Mah. La canzone italiana più bella? Io avrei scelto Ultimo”. Lei a caldo: “Mahmood ha appena vinto dimostrando che l’incontro di culture genera bellezza”. Ma quanto la fa difficile? Torni ai fornelli. Che sarà meglio. Io so solo che a Sanremo ha vinto “Soldi”. Come al solito. E allora a te dare cammello. Il resto non m’interessa. Tanto più che il dottore mi ha proibito di vedere questo pasticcio di populismo ad un tanto al chilo che non sa di niente, ma che purtroppo dura cinque giorni e andrà avanti ancora oggi, che è domenica, sulla rete-ammiraglia della Rai sino a notte fonda e sino a sfinimento. Con Fazio e Littizzetto, Mollica e Marzullo. E senza pietà. Così per una volta ho ascoltato il mio medico di famiglia che è arrivato addirittura a dirmi: “Piuttosto fatti una canna o fumati una Marlboro”. Anche perché sono anni che il festival dei fiori mi fa venire un terribile prurito. E poi mi gratto dalla mattina alla sera. Mi sono così inventato di tutto per girare alla larga da Baglioni, la sfinge di cera, da Bisio, un pesce fuor d’acqua, e da Virginia Raffaele che non sa nemmeno imitare se stessa, ma soprattutto da Loredana Bertè (nella foto) che mi è odiosa persino più di Cristiano Malgioglio e Marino Bartoletti messi insieme. Per non parlare di Zio Aurelio De Laurentiis. Che zitto zitto ha già venduto Alan al Paris Saint Germain e non ha ancora trovato il coraggio di dirlo ai napoletani. Che in questa occasione potrebbero ammazzarlo sul serio dopo aver intanto svuotato il San Paolo. Per evitare Sanremo, al quale se non l’avete già capito sono allergico, mi sono allora dovuto inventare di tutto. Però vi proibisco lo stesso di pensar male: non ho (più) l’età per fare certe cose. Come cantava Gigliola Cinquetti da Verona più dolce di Giulietta con Romeo. Altri tempi. Quando il festival era una bella festa di tre sere, dal giovedì al sabato, con le famiglie riunite intorno ad un televisore e non la fastidiosa gazzarra d’oggi. Dove le canzoni si dimenticano in un lampo anche se in due minuti e mezzo ripetono ottantotto volte la stessa parola: Rolls Royce. E c’è qualcuno che ha anche il coraggio d’applaudirli. Come ha fatto Mara Venier, rauca e ormai lessa, con Achille Lauro e la sua band romana che grottescamente, e quindi spero per scherzo, hanno accusato addirittura di plagio. Sono così andato tre volte su cinque fuori a cena e una quarta al cinema dietro casa. Dove ho visto un film che mi è straordinariamente piaciuto: Green Book. Una storia vera del 1962 narrata benissimo che si è meritata la candidatura all’Oscar 2019. Incrociando le dita. Mentre ieri sono arrivato al colmo di  vedermi l’Intertriste di Lucianino Spalletti a Parma che ha segnato il suo primo gol dell’anno con l’oggetto misterioso, Lautaro Martinez, subentrato a Joao Mario a una dozzina di minuti dal novantesimo. Quasi per sbaglio e per giunta su Dazn. Non so se mi sono spiegato.