Amplifon è pronta a sponsorizzare gli arbitri di basket

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Una notizia bella e una brutta. Prima la brutta. Così mi passa la luna. Nel pomeriggio si è alzato di nuovo un vento che “rebaltava” gli uomini come si dice nelle campagne venete e forse anche dalle parti di Roberto Pasetto che è nato a Padova, se non sbaglio, e lì ha vissuto sino a tredici anni, ma ora parla un altro dialetto e un’altra lingua. Che è molto diversa dalla mia. Io scrivo di basket senza usare il preservativo. E lui? Lui una volta faceva, e non so se lo faccia ancora, il vigile urbano a Firenze. Come Luciana Littizzetto in Manuale d’amore 1. Che ho rivisto con molto piacere ieri sera su Cinema Passion HD (canale 308 di Sky). In più era un arbitro di pallacanestro così e così, se mi è concesso di poter dire ancora la mia: non bravo ma neanche modesto e comunque nella manica di qualcuno che contava nel palazzo dove o ci si mette sull’attenti o ne fai poca di strada se non sei un’aquila. E Pasetto di certo non lo era. Insomma una vita passata con il fischietto in mano sulla strada e sul parquet. Come io con la penna. Che spesso intingo nell’ironia senza avere la pretesa che sempre mi riesca e che soprattutto venga capita, specie da un arbitro. Credo che lui detenga tra l’altro ancora il record del maggior numero di partite dirette in serie A (compresa l’A2). Il che non significa che sia stato anche il migliore di tutti come va in giro a raccontare vantandosi. Piuttosto è diventato famoso in un giorno di maggio di 27 anni fa, lo ricordo come fosse ieri, per una clamorosa svista che costò a Varese probabilmente e nientepopodimeno che lo scudetto. Quella sera infatti c’ero anch’io a Masnago, ma preferisco che sia il padovano sull’Arno a ricordare quel che successe nella decisiva terza semifinale dei playoff allora al meglio delle tre partite. “Il pesarese Cook, dopo aver tirato e sbagliato il canestro della vittoria, catturò il rimbalzo e mise mezzo piede fuori dalla linea laterale prima di segnare i due punti del sorpasso (77-78) che valsero la finalissima alla Scavolini di Valerio Banchini che poi diventò campione d’Italia. E io non me ne accorsi”. Ma bravo. Ora non so quale numero di scarpette portasse Darwin Cook, ma mezzo piede sono almeno una dozzina di centimetri buoni e bisognava essere proprio con gli occhi foderati di prosciutto per non vedere l’infrazione. Insomma il canestro andava annullato e la palla assegnata alla DiVarese. No, non c’entra niente la malafede. Se infatti pensassi una cosa del genere, e qui ora parlo seriamente, non avrei passato una vita all’ombra dei canestri d’Italia. E’ che talvolta gli arbitri non ci vedono bene, ma soprattutto non ci sentono da quell’orecchio e non fanno mai un passo indietro. E comunque Pasetto ha continuato ad arbitrare per altri cinque lustri, o quasi, come se niente fosse accaduto. E quindi non mi può adesso dare una lezione di comportamento scrivendomi che il suo amico, pure lui arbitro, non ha bestemmiato in diretta su TeleGiannina, ma ha esclamato in dialetto “porco due” che non so bene neanche cosa voglia dire. Né nel mio, né nel suo dialetto. O magari ha anche ragione lui. E così sono corso a farmi l’esame dell’udito. Mi spiace, ma ci sento benissimo. Da entrambe le orecchie d’elefante. E allora? Forse è il caso che Gaetano Laguardia, commissario straordinario dei fischietti in divisa nera e arancione, che è un vero pugno in un occhio, invece che microfonare i suoi arbitri di Goldsilver, li rifornisca di un bel paio di occhiali, che non fanno mai male a nessuno, o di lenti a contatto. E poi, già che c’è, di un moderno apparecchio acustico che sostituisca il vecchio cornetto. Mal dei Primitives, sì proprio quello di Furia cavallo del west, o addirittura Amplifon sono difatti pronti a sponsorizzare gratuitamente la Federbasket di cui Laguardia è anche il vicepresidente molto temuto dai ladri di polli che preferiscono sempre girargli alla larga. Mi sono perso dietro a Roberto Pasetto e alle sue difese d’ufficio (e di casta) e non vi ho ancora detto la brutta notizia del giorno. Nel pomeriggio si è di nuovo alzato un vento che a raffiche ha spogliato gli alberi di ciliege che già i merli avevano al mattino preso d’assalto. E così adesso i duroni di Vignola sopravvissuti, per i quali potrei anche uccidere, mi costeranno l’occhio della testa. E la bella? Ve la racconto domani. Se tutto andrà bene.